Le multinazionali della Rete hanno monopolizzato l’accesso alla conoscenza, neutralizzando il potere degli Stati e l’interesse collettivo. Il pensiero di Lyotard e altri
Ne La condizione postmoderna, suo saggio del 1979, il filosofo Jean-François Lyotard ipotizzava che la diffusione dei calcolatori avrebbe avuto un effetto significativo sulla «circolazione delle conoscenze» e sulla «stessa natura del sapere». Lyotard individuava questo effetto, profeticamente, in una «mercificazione del sapere»: in quanto «merce-informazione», il sapere viene prodotto esclusivamente «per essere scambiato».
In un flusso solo apparentemente ordinato e razionale, ogni bit di cui l’utente può venire a conoscenza spalanca un mondo di altri bit collegati (“linkati”) fra loro. Così, l’universo delle conoscenze è talmente vasto che l’uomo non è in grado di renderne ragione con le sole proprie forze e il tentativo di tenere il passo con i flussi di informazione genera inevitabilmente alienazione: il sapere è percepito da chi lo produce come qualcosa di non pienamente afferrabile. L’altra conseguenza della «mercificazione del sapere» è politica e investe in modo diretto la libertà dell’individuo. Secondo Lyotard, tale processo non può «lasciare intatto il privilegio che i moderni Stati-nazione detenevano e detengono ancora in materia di produzione e di diffusione delle conoscenze» e lo Stato stesso «comincerà ad apparire come un fattore di opacità e di “rumore” per una ideologia della “trasparenza” della comunicazione». Impossibile non leggere queste parole alla luce della recente monopolizzazione dell’industria digitale da parte delle grandi multinazionali private, il cui potere e i cui introiti spesso superano quelli di singoli Stati.
Si domandava il filosofo francese: «Ammettiamo per esempio che un’impresa come la Ibm [l’azienda informatica statunitense International Business Machines Corporation, ndr] sia autorizzata ad occupare un corridoio orbitale attorno alla Terra per piazzarvi dei satelliti di comunicazione e/o delle banche di dati. Chi vi avrà accesso? Chi deciderà quali siano i canali e i dati riservati? Lo Stato? Oppure esso sarà un utente come tutti gli altri?». La domanda centrale che Jean-François Lyotard sollevava negli anni Ottanta era: quale ruolo decisionale avrebbe avuto il potere pubblico sulle infrastrutture private di trasmissione delle informazioni? A posteriori – nonostante il contesto storico e persino i nomi dei big player siano mutati – la risposta è “nessun ruolo”. Infatti la politica neoliberista ha lasciato, in particolare negli Stati Uniti, campo libero alla penetrazione delle multinazionali private in ogni ambito del sapere e della conoscenza.
La monopolizzazione del mercato operata dalle multinazionali del digitale, secondo la sociologa Shoshana Zuboff, ha provocato un’inaudita concentrazione del potere nelle mani di questi soggetti transnazionali e sovrastatali, una vera e propria «privatizzazione non autorizzata della divisione del sapere». Oggi, il rapporto fra fruitori e produttori dell’informazione è drammaticamente asimmetrico, con i primi completamente tagliati fuori da ogni decisione – sulla quale le multinazionali del digitale si sono arrogate un diritto arbitrario – sul sapere. L’informazione – si dirà – non è mai neutrale, in quanto dietro le scelte editoriali dei media tradizionali ci sono troppo spesso gli interessi degli editori. Nel caso del sapere digitale, però, cade ogni residua possibilità di scelta: l’utente non può neppure sentirsi libero di scegliere e acquistare ciò che davvero desidera; infatti, dal primo momento in cui accede a internet, i flussi di informazione che riceve sono calibrati in modo da spingerlo a comprare sempre di più, poiché più clicca sulle pubblicità che riceve e maggiore è il quantitativo di dati che mette a disposizione del capitalismo digitale, in un circolo vizioso.
In quanto utenti del web siamo influenzati non solo dalle opinioni degli altri, dall’opinione pubblica, come avviene in società, ma da una diffusione delle informazioni che, per la maggior parte, fa capo alle grandi multinazionali digitali. Lo spazio digitale non è quel luogo della libertà assoluta che i pionieri di internet avevano immaginato, né è il luogo dell’uguaglianza assoluta: l’asimmetria fra ricettori passivi e diffusori del sapere affonda le sue radici in una fortissima disuguaglianza sociale, che riguarda l’accesso alla conoscenza. Come ha affermato Luciano Floridi, rischiamo di preparare «il terreno per le baraccopoli informazionali del domani».
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 185, maggio 2021)