In un convegno tenutosi all’Università cattolica di Milano è stata proposta una nuova tesi intorno alle cause del morbo che provoca la distruzione dei neuroni
Si deve al neuropatologo tedesco Alois Alzheimer (1864-1915) e al suo collaboratore Gaetano Perusini, giovane ricercatore italiano, la scoperta della forma di demenza senile − precoce, progressiva e, per ora, incurabile − nota come morbo di Alzheimer. Entrambi, tramite un accurato studio clinico sui pazienti, giunsero a una esatta definizione di questa forma di degenerazione cerebrale altamente invalidante. Successivi studi anatomopatologici hanno rilevato nel sistema nervoso la presenza di placche ostruenti il collegamento tra le fibre neuronali, il che costituisce la causa anatomica dell’insorgere dell’Alzheimer.
Nel mondo ci sono ventiquattro milioni di individui affetti da demenza, il 70% dei quali soffre del morbo di Alzheimer. Per capire meglio la malattia, proviamo a immaginare il cervello come una fitta rete stradale ricca di vie di comunicazione che rendono agevole il passaggio dei mezzi di trasporto, nel nostro caso non autoveicoli ma impulsi nervosi che viaggiano lungo questi tragitti, il cui movimento è frenetico, continuo e intenso, rendendo possibile l’esatto funzionamento dell’apparato neuronale. La distruzione dei neuroni inizia dalla corteccia cerebrale nella zona dell’ippocampo e si estende a tutto il cervello, determinando gradualmente la morte delle cellule del sistema nervoso. All’esordio la malattia si manifesta con lievi avvisaglie, dovute al deterioramento di poche vie di comunicazione, con la formazione di placche causate dal deposito e accumulo della proteina β-amiloide tra i neuroni.
Le placche tendono poi ad aumentare fino a provocare la quasi totale ostruzione delle vie di comunicazione, per cui la sintomatologia si aggrava progressivamente, manifestandosi con i seguenti sintomi: perdita di memoria, regressione mentale, aprassia ideomotoria, afasia, violenti e traumatici sbalzi di umore fino a giungere a uno stato di ipertonia generalizzata. Il malato diventa completamente dipendente e si rende, pertanto, necessaria la collaborazione di tutti i familiari, che vengono a trovarsi in situazione di grande difficoltà nella gestione dei malati (la presenza costante di caregivers rende di fatto questa grave affezione una malattia sociale). La causa anatomica può essere innescata da fattori ereditari, genetici e ambientali.
Venerdì 25 ottobre 2013, presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, sono stati presentati e discussi i risultati di oltre 10 anni di studi effettuati da alcuni ricercatori dell’Associazione Fatebenefratelli per la ricerca (Afar) sul ruolo del rame nello sviluppo dell’Alzheimer (cfr. Alzheimer, test per identificare malattia ai primi sintomi, in www.ansa.it). A promuovere l’evento è stata la Canox4drug, società italiana di ricerca nel campo biomedico, nata nel 2012. Dopo uno studio su migliaia di malati di Alzheimer, i ricercatori hanno dimostrato la relazione esistente tra il declino cognitivo e i livelli nel sangue di rame “libero”, cioè non legato alla ceruloplasmina, una proteina che normalmente lo trasporta: infatti, nel gruppo preso in esame gli individui con quantità di rame normale avevano circa il 20% di probabilità di progredire verso la malattia, mentre in quelli con rame elevato tale probabilità saliva oltre il 50%. Se questo tipo di anomalia venisse rilevata in tempo, potrebbe aiutare a identificare quei soggetti pre-sintomatici (ai quali viene diagnosticato il mild cognitive impairment) che hanno un elevato rischio di sviluppare la malattia nei successivi 5-6 anni.
La Canox4drug, in collaborazione con l’Afar, ha elaborato un test innovativo, capace di misurare con rapidità e precisione la quantità di rame “libero” in circolo. Il sangue prelevato ai pazienti viene analizzato con una sonda fluorescente, che emette dei segnali in proporzione alla quantità di rame non ceruloplasminico presente nel campione. Questo test è già operativo presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e sarà presto reso disponibile in molti altri ospedali e centri italiani che si occupano di Alzheimer. Al convegno sono intervenuti molti studiosi del settore, tra i quali la neurobiologa Rosanna Squitti dell’Afar, alla quale va riconosciuta la paternità delle ricerche sul rame, che ha affrontato il tema Metabolismo del rame e malattia di Alzheimer: 10 anni di evidenze.
La conclusione del convegno è stata dedicata all’illustrazione del nuovo test C4d per la rilevazione del rame non-ceruloplasminico, a cura del Professor Nicola Antonio Colabufo (cfr. Francesco Strippoli, Seminarista e calciatore, ora studia l’Alzheimer, in http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it). È del 30 ottobre la notizia che sono stati rinvenuti undici nuovi geni associati all’Alzheimer: si tratta di una scoperta importante che potrebbe contribuire a comprendere meglio le cause di questa grave patologia (cfr. Alzheimer, scoperti undici nuovi geni associati alla malattia, in www.lanazione.it).
Nel 2010 il regista Pupi Avati ha dedicato alla tragedia dell’Alzheimer il delicato film Una sconfinata giovinezza, di cui segnaliamo il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=RCTpqNNYGbE.
Le immagini: in apertura, bioimmagine dell’encefalo di una persona affetta dal morbo di Alzheimer; foto di Alois Alzheimer; confronto tra un cervello sano (a sinistra) e uno malato (a destra); la locandina di Una sconfinata giovinezza.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno VIII, n. 95, novembre 2013)