Si spegneva poco più di un anno fa in un tragico incidente stradale (Roma, 18 luglio 2008) lo scrittore Rocco Carbone. Nato a Cosoleto di Reggio Calabria nel 1962, dopo gli studi liceali si era trasferito a Roma dove aveva conseguito la laurea e il dottorato in Lettere comparate. Quindi aveva iniziato a collaborare con vari quotidiani nazionali e riviste culturali, occupandosi di analisi letterarie e di cultura contemporanea. Una vocazione autentica la sua, alimentata da proficue letture, studi impegnativi e assidue ricerche in ambienti universitari e accademici.
Nel 2001 si era deciso, insieme ad altri autori provenienti da varie parti del mondo, a seguire in una cittadella universitaria in America, Iowa City, un corso di scrittura, per tre mesi.
L’11 settembre 2001 e l’alienazione umana
Era stata quell’occasione fonte di intense emozioni. Aveva seguito in diretta da lì l’attacco alle Torri gemelle e ne aveva riportato un’indelebile traccia nell’iter che aveva scelto, d’indagare il dolore e l’ingiustizia nel mondo.
Nei suoi numerosi viaggi negli States, in Israele e in altri paesi negli anni successivi, la sua capacità di comunicazione e di analisi si era arricchita ed affinata. Esercitare la professione letteraria per lui non significava seguire un abile gioco combinatorio di strutture correnti, ma professare un impegno sociale strettamente vincolato ad incontri e corrispondenze.
Evidentemente intendeva trasferire la vita nella letteratura, rispettando l’antico binomio dei grandi interpreti del Novecento, da Svevo, Pirandello a Moravia e Morante, da Proust, Joyce alla Yourcenar, a Garcia Marquez, cercando di studiare alcune tematiche della contemporaneità che più urgeva risolvere: il terrorismo, la minaccia dell’inquinamento ambientale, la condizione umana di alienazione.
L’insegnamento nelle carceri di Rebibbia
Per questo aveva scelto negli ultimi anni d’insegnare alle recluse di Rebibbia: per capire meglio il loro stato d’animo e fare un’esperienza di certo unica, quanto a scambio di opinioni e dialogo.
Affermava, in un’intervista rilasciata a Luigi Vaccaro per il giornale L’Avvenire nel 2004, che «quell’insegnamento lo stimolava e gli faceva intendere alcuni meccanismi sociali che si era proposto di analizzare: “La “libertà”, all’interno della galera è inversamente proporzionale all’impegno nello studio. Più una detenuta è “libera”, meno vuole studiare: più è in costrizione, più vuole studiare affrontando anche sacrifici: perché le celle sono piccole, perché molte si svegliano assai presto, lavorano fino alle due di pomeriggio, mangiano qualcosa in fretta, poi vengono a scuola». Aveva una forte tensione etica: alle sue allieve di Rebibbia infatti proponeva come lettura esemplare Tolstoj, l’autore russo, profondo conoscitore dell’animo umano.
L’amico scrittore Emanuele Trevi che firma l’appassionata presentazione del suo ultimo romanzo postumo Per il tuo bene, di cui parleremo tra qualche riga, traccia di lui un ritratto forte. Secondo Trevi, che aveva conosciuto Carbone ai tempi dell’università e poi nei momenti delle scelte che più contano, lo scrittore reggino aveva intrapreso dapprima la via dell’analisi critica e dato alle stampe già numerosi saggi (1). Seguiva diversi itinerari che però avevano un’unica direzione: collegare l’eredità del passato alla ricca e tormentata storia del presente, individuare i nodi più suggestivi della creatività che diviene di volta in volta mito, elegia, dramma, senza peraltro mai sconfessare la via della concretezza che affonda le sue radici nel documento e nella cronaca.
La scelta di essere romanziere
Contemporaneamente aveva scoperto il romanzo e la sua complessa trama di situazioni che coinvolge personaggi di varia estrazione e consente un affresco sociale più ampio e metamorfico. Carbone aveva prima esordito con Agosto (Theoria 1993), cui erano seguiti: Il comando (Feltrinelli 1996), L’assedio (Feltrinelli 1998), L’apparizione (Mondadori 2002). Come sempre accade, riusciva nei propri testi a ricavarsi spazi che chiarivano meglio la sua vicenda esistenziale in rapporto a quella degli altri.
In Libera i miei nemici (Mondadori 2005) sembra di leggere alcuni elementi autobiografici, naturalmente trasfigurati. Effettivamente egli impartì lezioni alle recluse del carcere di Rebibbia, perché amava accettare le sfide e direttamente conoscere le motivazioni che avevano spinto tante persone alla violenza. Scritto in una prosa asciutta, senza compiacimenti estetici, il testo – successivamente adattato per il teatro – narra infatti la crisi degli anni di piombo e lo straniamento che ne deriva. Oltre all’intenso dramma umano c’è la speranza che dal dolore possa derivare una rinascita.
Il romanzo postumo
A questa tematica si richiama anche l’ ultimo romanzo di Carbone: Per il tuo bene, recentemente uscito per Mondadori (2). E’ un lavoro che lo scrittore ha a lungo meditato, senza naturalmente sapere che sarebbe stato la sua ultima prova, intriso di tutti gli elementi di un vissuto problematico e apparentemente contraddittorio. I luoghi sono indefiniti, ma identificabili con quelli di una grande città, messi a confronto con un piccolo paese da cui provengono i protagonisti, probabilmente lo stesso in cui è racchiuso il mondo dell’infanzia e della maturità dello scrittore.
Narra di due amici che, dopo essere stati molto vicini nel tempo dell’infanzia, si incontrano molti anni dopo che si erano estraniati, maturi e in diverse condizioni economiche: quello che prima era povero è divenuto ricco e viceversa. Ma non è la questione economica ad essere al centro dell’attenzione quanto la loro vicenda personale e la differenza caratteriale. Anche sotto questo aspetto sono l’uno l’antitesi dell’altro: Bruno è sicuro di sé e ben inserito nel mondo delle relazioni sociali, ma lontano dagli affetti che più contano, l’altro, Gilberto, fragile e incerto nei suoi rapporti con il mondo esterno, quasi disadattato, è capace di intuire il fondo di verità delle cose circostanti, per una sua perspicace vista interiore che non arriva però a migliorare la qualità della sua vita. Quest’ultimo perde la partita della vita, l’altro apparentemente riesce vittorioso.
Anime tormentate
Due esperienze dunque che potrebbero integrarsi e addirittura costituirne una completa. Ma così non è. Forse per l’accelerata evoluzione dell’agire moderno, per una sopraggiunta indifferenza e apatia di coscienza, le loro due personalità sono logorate da ripensamenti, tormentate dall’impossibilità di sentirsi veramente autentiche: a una manca la volontà, all’altra la lucidità dell’analisi introspettiva. La tematica sembra appuntarsi sulla sfera dell’affettività, come nocciolo della questione del disagio esistenziale. Questo infatti viene rivisitato per trarne interrogativi di grande comune interesse: cosa sono la comunicazione e la vita? L’autore crede che a loro fondamento ci sia l’amicizia, non quella dell’assuefazione abitudinaria o di convenienza, ma quella che nasce dallo scambio sincero di opinioni ed è offerta di sé all’altro, in termini di corrispondenza leale e disinteressata assistenza. Ben diversa dall’amore che chiede senza nulla dare in cambio, sa essere generosa e spontanea nella sua espressione migliore, quando non è interessata. A volte la quotidianità smussa i sentimenti e li rende opachi, ma poi basta un incontro, un ricordo, una pausa di riflessione per trasformare l’insoddisfazione in senso costruttivo e invertire il corso della parabola infruttuosa.
La vicenda, che è quasi sempre di anime tormentate, è seguita puntualmente con una serie di flashback che hanno rigore di tempi e di dialoghi, contrappunti all’interno di uno studio attento degli ambienti e dei luoghi, presentati talvolta in antitesi tra loro. All’ambito urbano decisamente più dinamico e complesso ma più grigio e spento viene contrapposto quello provinciale più rallentato, ma per niente monotono con il fascino dei suoi piccoli riti e delle sue microstorie. L’autore scava nei solchi della vita, dei suoi personaggi, per trarne importanti risposte a meglio aiutare a intendere, nella nostra contemporaneità, quelle che sembrano contraddizioni e che in realtà sono assenza dei veri e perduti valori.
Una lezione di vita
La comunicazione nella forma del dialogo resta l’unico elemento possibile per vivere la realtà e adeguarla alle istanze soggettive degli individui.
Carbone affronta così il tema dell’affettività e con essa i difficili percorsi della coscienza contemporanea, rivelandone gli aspetti più segreti e suscitando domande che affida ai lettori, consapevole che nessuno è il detentore della verità. Questa infatti ha una pluralità di volti: si nasconde e sembra apparire là dove meno la si cerca, è l’indefinibile causa di una indagine all’infinito, di cui solo qualche frammento può emergere nella confusione del mondo in cui l’uomo contemporaneo si è perso.
Un senso di vaga solitudine e di profonda insoddisfazione circola nella narrazione come condanna mai pronunciata, comunque suscettibile di riscatto. Solo che la possibilità che questo accada è rinviata ad un tempo diverso da quello narrativo, in un possibile futuro di cui però non si conoscono i tratti, né il disegno.
Note
(1) Finzione e realtà. El perseguidor di Julio Cortazar fra interpretazione e lettura (Rubbettino, 2001); Semiotica del libro e narratologia (Bulzoni, 1986); La natura dell’antico. Studi pascoliani (La Nuova Italia, 1989); A. Moravia e Gli Indifferenti (Loescher, 1992); L’educazione al Risorgimento. Fr. De Sanctis da esule a ministro (Edizioni scientifiche italiane, 1993); Il silenzio e la parola (Guida, 2005); serie di studi su figure femminili: Ripensando Elsa (Massa, 2001); Cara Matilde. La Serao, la scrittura e la vita (Kairòs, 2008).
(2) Per il tuo bene (Mondadori, 2009, pp. 238, € 18,00).
Il presente saggio, seppure in forma diversa, era già apparso, col titolo Uno scrittore calabrese: Rocco Carbone, sulla rivista Calabria Sconosciuta (n. 123, 2009, pp. 27-28).
L’immagine: la copertina di Per il tuo bene.
Gaetanina Sicari Ruffo
(Lucidamente, anno V, n. 52, aprile 2010)