È bello sapere che le nostre aziende italiane di telefonia mobile vivono un periodo particolarmente florido, si distinguono nel mondo per tecnologia e fatturati, ci allietano ogni giorno con proposte ed offerte sempre più allettanti, irresistibili. Meno bello è ciò che sta dietro ai nostri cari grandi colossi.
Nelle pubblicità spesso compare un omino, solitamente ben vestito, munito di cuffietta hi-tech e beccuccio bodyguard-style, che, con un sorriso a 24 carati risolve qualsiasi problema (ma proprio qualsiasi…) e, contemporaneamente, trova anche il tempo di proporre qualche affare al cliente.
La realtà non sta proprio in questi termini: lo stesso omino, nella vita reale, non veste bene, perché non se lo può permettere; non può perdere la cuffietta ed il beccuccio che ha avuto in dotazione perché non gliene fornirebbero più; non ride, a meno che non sia scemo, e non ha il tempo di proporre assolutamente nulla, poiché è pagato a tempo e a cottimo.
Un cottimo legalizzato.
Una nuova forma di schiavitù – Lo strumento di cui si serve questa nuova forma di schiavitù è il cronometro: non percependo uno stipendio fisso, non percependo retribuzione per ferie, malattie, gravidanza, ma guadagnando solo in base al numero di chiamate ricevute e solo in base alla loro durata, ecco che l’omino vive ogni sua giornata lavorativa esclusivamente rapportandosi con il cronometro, con il paraocchi, isolato dal mondo circostante.
Globalizzazione, competitività e flessibilità – Questa fantastica situazione si dice sia figlia della competitività, a sua volta figlia della globalizzazione: certamente quest’ultima ha impresso una svolta, un’accelerazione senza precedenti al sistema economico internazionale, ma la riduzione delle barriere doganali, la libera circolazione di beni e servizi, la delocalizzazione delle fasi produttive – fenomeni di cui la globalizzazione si alimenta – hanno costretto le diverse economie nazionali a confrontarsi sul piano della competitività con le aziende estere. E tale concorrenzialità, spinta ai massimi livelli, ha pertanto condotto paesi e datori di lavoro ad adottare politiche più flessibili, affiancate da offerte di contratti più precari.
Treu e Biagi, i padri della flessibilità – In Italia il problema della competitività è stato affrontato nel giusto modo con il pacchetto Treu prima, con la legge Biagi dopo: ne è derivata una precarizzazione bipartisan, che permette di abbattere il costo del lavoro all’azienda ricorrendo ad una miriade di forme contrattuali atipiche, che non garantiscono alcuna forma di stabilizzazione. Tutto giusto: ma che c’entrano la globalizzazione e la competitività con il mercato nazionale della telefonia mobile?
L’oligopolio italiano: nessuna concorrenza – In Italia vige da sempre un oligopolio composto dai nostri mitici quattro gestori, il mercato è egemonizzato da loro, non vi sono minacce internazionali da fronteggiare. Con chi competono i nostri gestori nazionali? Che bisogno c’è di utilizzare quegli strumenti studiati per sviluppare la competitività con le imprese estere, se non a trarre maggiori profitti a discapito del lavoratore? Certo, nessuno minaccia con una pistola alla tempia il dipendente che firma uno dei mille contratti atipici utilizzati per competere, ma, alla lunga, davanti ad una prospettiva di vita inesistente, chi assicura che egli quella stessa pistola non se la punti da solo?
L’immagine: un celebre fotogramma di Metropolis (1926) di Fritz Lang; il lavoratore non può reggere i ritmi imposti dalla macchina e vi resta “crocifisso”.
Pierfranco Piccinni
(LucidaMente, anno I, n. 9, settembre 2006)