Proviamo a comprendere l’attuale scena politica attraverso un’analisi tecnica di un fenomeno sociale dilagante
L’odierna definizione di populismo coincide con il significato dispregiativo del termine, la demagogia, ossia una pratica usata dalla classe politica per ottenere consenso senza curarsi della realizzabilità delle proprie promesse elettorali. Esempi di questo fenomeno sono oggi riscontrabili in buona parte dell’Europa e negli Stati uniti. L’Italia ha sperimentato tale tipo di autorità fin dall’ascesa del fascismo mussoliniano e ne ha avuto altre dimostrazioni – se pur di diversa entità – prima con il berlusconismo, ora con le due forze di governo (Movimento 5 stelle e Lega).
Ma quali sono le cause dell’odierno dilagare del fenomeno? Quali le dinamiche che portano all’affermarsi del populismo? Una delle più illustri voci che ha dato risposta ai quesiti è quella del filosofo greco Aristotele, che riteneva la questione strettamente vincolata alla democrazia. Secondo la sua tesi, infatti, il rafforzamento di un’élite e la conseguente crescita di disuguaglianze sociali portano a una risposta populista delle minoranze ai margini, che si appellano alle masse affinché si rivoltino contro il gruppo dominante, considerato usurpatore della democrazia. Il dato interessante è però che, una volta al governo, il demagogo si farà a sua volta élite, secondo una dinamica insita nel sistema politico stesso. Adattando il pensiero di Aristotele ai tempi recenti, vediamo che il processo dell’affermazione del populismo ha inizio sempre da una situazione di crisi – redditi ridotti, tracolli finanziari, esposizione dell’economia a globalizzazione e concorrenza – che sfocia in un sentimento di paura e incertezza collettiva. Di tale insicurezza si “nutre” il leader populista, che approfitta della perdita di fiducia delle masse nei partiti tradizionali (vedi anche Quando il populismo era di sinistra).
Ciò avviene oggi in un contesto in cui la rete e la comunicazione multimediale sono di cruciale importanza anche nella formazione dell’opinione pubblica. Gli ambienti digitali – soprattutto i social network – sono stati sapientemente sfruttati dagli odierni governi populisti. Basti pensare, nella realtà italiana, all’uso del web che ha fatto il partito pentastellato fin dalla sua nascita (fornendo ai propri futuri elettori un’illusione partecipativa che riempiva il “vuoto” democratico da questi percepito) o ai provocanti tweet e hashtag “effetto bomba” di Matteo Salvini, costantemente alla ricerca di affermazioni virali (leggi anche “Fake news”, quando l’ignoranza diventa una virtù).
«Il populista è colui che si crea un’immagine virtuale della volontà popolare», sosteneva il semiologo Umberto Eco. Una rappresentazione mentale non reale – in quanto il popolo come tale non esiste – ma nella quale i cittadini finiscono per identificarsi. E sul processo incide l’evoluzione dei mezzi di comunicazione. Non può mancare a questa analisi l’ancora attuale definizione di Antonio Gramsci, secondo il quale il populismo è una forma di neutralizzazione del potere delle masse. È il travestimento della destra che, per conservare la propria forza in un momento in cui è largamente diffuso un sentimento “antipolitico”, accoglie parte dei temi storicamente di sinistra: lavoro, tasse, identità sociale. Per questo può essere considerato un sinonimo di demagogia. Le politiche populiste si rivelano, infatti, solitamente inefficaci, poiché attuano soluzioni che incidono sulla causa prossima della problematica in oggetto ma non sulla causa profonda e alla lunga presentano più costi che benefici (vedi anche De Cataldo: “Populismo e integralismo nascono dalla stessa insoddisfazione”).
Per fare un esempio, l’imposizione di dazi e barriere commerciali sembra, in un primo momento, risolvere il problema della perdita di lavoro causata della concorrenza estera ma in realtà, a lungo termine, genera un “gioco a somma zero” senza vincitori, poiché i Paesi a cui si impongono dazi ne imporrano a loro volta (vedi Scattano i dazi europei contro gli Usa: dai Levi’s al bourbon. Trump minaccia le auto). Quindi, per concludere, laddove il populismo mette in atto una banale semplificazione della realtà, le autorevoli voci del passato (e del presente) ci insegnano che, se chi governa fornisce risposte semplici a problemi complessi, la società può trovarsi in serie difficoltà.
Le immagini: vignette ispirate alla tematica del populismo tratte dai siti termometropolitico.it e anticap.wordpress.com.
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 151, luglio 2018)