Note critiche a margine del discusso libro “Decomposizione di Dio” di Rino Tripodi
Come era logico aspettarsi, Decomposizione di Dio. Un racconto e cento apologhi tra Kafka e Cioran (pp. 104, € 10,00; anche in versione ebook, presso Amazon, a soli € 1,70) di Rino Tripodi, seconda uscita della collana di letteratura Nerissima delle nostre edizioni, sta suscitando svariate reazioni. Se la stragrande maggioranza dei lettori apprezza la scrittura e il valore estetico del libro, non tutti concordano sulla visione di fondo dell’opera, sulla sua Weltanschauung. Ecco al riguardo il pensiero, critico ma equilibrato, e certamente di alto profilo culturale e intellettuale, dello studioso Francesco Quaranta.
Dare ancora nell’anno 2008, sia pure probabilmente come espediente letterario, la colpa e la responsabilità del negativo esistente ad una persona onnipotente chiamata Dio, non è controproducente, se si condivide, come Rino Tripodi fa, l’idea che la religione è patrimonio e arma delle culture e delle psicologie primitive oggi risorgenti?
Se Dio non esiste, bisognerebbe invece ribadire che è una proiezione di quello che è l’uomo, col suo desiderio infantile di onnipotenza e di rifiuto del limite, considerato come lesa maestà. Dio è l’uomo stesso che si ribella al fatto che è palese che il mondo non è fatto per lui, è indifferente e talvolta nemico vittorioso. Dobbiamo recriminare per questo? Se provo a immaginare il contrario, non ci riesco, anzi ho il presentimento di qualcosa di disgustoso. Forse ci sono infinite dimensioni parallele, ma questo universo lo percepisco come l’unico possibile, risultato di irripetibili coincidenze. Se è così, può essere definito non il migliore dei mondi possibili, ma l'”ottimo”, privo com’è di ogni logica comparazione.
Per gli gnostici questa sarebbe un’offesa verso la sofferenza universale, ma neppure io credo nell’armonia prestabilita: se il mondo creato ha qualcosa a che fare con la bellezza – mundus e kosmos, come dice il nome stesso – la sua armonia non è soprannaturale, ma di origine naturale, fatta di equilibri, rotture e nuove sintesi. Ho apprezzato le critiche gnostiche alla teodicea verso una pretesa perfezione della creazione e del creatore, verso un provvidenziale ordine e destino, ma non ho mai saltato il fosso della critica nei riguardi della compresenza della luce e dell’ombra, recriminando sul fatto che mi cade il molare o che mi può venire il tumore alla prostata. Sono cose possibili, in quanto proprie della caducità (oggi si direbbe precarietà), ovvie ma neppure inevitabili. La stessa morte è sempre stata vista nei secoli, anche dalle persone più semplici, come una porta di liberazione dalla cattiva vita, una possibilità che la natura dava a chi sapeva fare due conti, mentre si è sempre levata contro il Dio la protesta nei confronti della felicità del malvagio, al contempo veemente atto di fede nella possibile gioia terrena.
Il Male che mi ha sempre colpito, invece, è sempre stato quello della Storia: quello fatto da Dio, cioè dagli uomini. Per me il grido disperato dell’ostaggio coreano a cui stanno per tagliare la gola in Iraq e che urla la sua angoscia e la sua innocenza è qualcosa di veramente intollerabile e insostenibile. Sì, le cose stanno andando molto male e il male sta prevalendo definitivamente, se non altro perché sta distruggendo la Natura del pianeta, ma questo ha almeno una cosa buona: rende accetto il morire anche a noi, fortunati sopravvissuti. Ormai, a cinquant’anni, il pensiero c’è.
L’immagine: la copertina di Decomposizione di Dio. Un racconto e cento apologhi tra Kafka e Cioran di Rino Tripodi (inEdition editrice/Collane di LucidaMente).
Francesco Quaranta
(LucidaMente, anno III, n. 12 EXTRA, 15 luglio 2008, supplemento al n. 31 dell’1 luglio 2008)