La verità sugli effetti dannosi, a breve e lungo termine, delle “canne”. Cosa prevede la legislazione “proibizionista” della vicina Svizzera, in particolare quella italofona
Sotto il profilo strettamente giuridico, la Legge federale svizzera sugli stupefacenti (Lstup) non legalizza l’uso ludico-ricreativo della cannabis, pur se prevede un trattamento sanzionatorio attenuato, specialmente quando l’infrattore è un minorenne o un giovane adulto infra 25enne. Dopo la riforma entrata in vigore nel 2007, l’art. 19a Lstup ha depenalizzato il consumo esclusivamente personale, punito con una semplice multa. Anzi, ex comma 2 art. 19a Lstup, «nei casi poco gravi, si può abbandonare il procedimento o prescindere da ogni pena. Può essere pronunciato un avvertimento».
Analogamente, dal 1° ottobre 2013, ex art. 19b Lstup, «chiunque prepara un’esigua quantità di stupefacenti soltanto per il proprio consumo o ne fornisce gratuitamente un’esigua quantità ad una persona di età superiore ai 18 anni, per renderne possibile il simultaneo consumo in comune, non è punibile. Per esigua quantità, si intendono 10 grammi di uno stupefacente che produce effetti del tipo della canapa». Viceversa, anche nella Giurisprudenza del Tribunale penale federale, il traffico di cannabis o di altre sostanze proibite è reputato «grave», dunque severamente punito, se viene messa in pericolo la salute di molte persone, se il trafficante agisce all’interno di un’associazione per delinquere, se dallo spaccio proviene «una grossa cifra d’affari» e, come prevedibile, se la sostanza è ceduta ad infra 18enni (lett. a-d comma 2 art. 19 Lstup). Parimenti, dal 2011, l’art. 19 bis ribadisce il principio di tutela assoluta dei minorenni, tranne nel caso di uso terapeutico dello stupefacente. Di eguale tenore è pure l’art. 19c Lstup, che prevede e punisce con la multa l’istigazione a consumare illecitamente droghe.
Nella realtà concreta, sotto il profilo criminologico, l’Autorità giudiziaria svizzera, almeno quella italofona, reca, nei confronti della canapa, un approccio severamente e tassativamente proibizionista, imperniato sulla tradizionale ratio svizzera della «nessuna legalizzazione e nessuna differenziazione tra droghe leggere e pesanti» (Keine Legalisierung und keine unterscheid zwischen harten und weigen drogen). Sino al 2003, ovvero prima dell’Operazione Indoor, in Canton Ticino, i canapai, di fatto, vendevano hashish e marjuana sotto forma di “sacchetti odorosi”, ufficialmente utilizzabili per profumare gli armadi. Non mancavano infusi per tisane, shampoo, insalate a base di canapa, cosmetici, foglie rilassanti e altri innumerevoli “specchietti per le allodole”, che aggiravano la Lstup e decantavano le presunte proprietà terapeutiche della cannabis. Pareva che il Thc fosse fondamentale come l’acqua potabile.
Coltivare canapa, fumarla e adoperarla per fini medicali era una moda cui nessuno si doveva sottrarre. I cannabinoderivati, nella propaganda degli antiproibizionisti, costituivano la nuova frontiera della fitoterapia. Anche alcuni pseudomedici ciarlatani auspicavano che l’impiego della marjuana e dell’hashish sostituisse l’uso delle benzodiazepine o di altri tranquillanti. Il Canton Ticino era invaso da giovani turisti della cannabis, provenienti soprattutto dall’Italia settentrionale. Pareva, financo, che nessuno potesse più fare a meno delle presunte proprietà rilassanti del tetraidrocannabinolo, che è uno dei circa 63/64 principi attivi della cannabis. Tuttavia, la realtà era ben diversa. Gli studenti che facevano uso di hashish e di marjuana giungevano, alla mattina, nelle aule scolastiche come degli ebeti deconcentrati e spersonalizzati. L’uso ludico-ricreativo del Thc si trasformava, e si trasforma, in raggruppamenti criminogeni nei quali dominavano pure l’alcol e il sesso selvaggio. Dopodiché, come sempre accade, la madre di famiglia aveva e ha l’ingrato compito di accompagnare il figlio, ormai uncinato, da un medico specialista, le cui cure peggioravano i sintomi, dal momento che il ragazzo proseguiva nelle proprie esperienze trasgressive, mescolando i farmaci alle sostanze d’abuso, con risultati devastanti dal punto di vista psicofisico.
La verità, sebbene sottaciuta, è che la cannabis rappresenta il primo gradino verso sostanze più pesanti, come l’eroina, la cocaina, l’ecstasy e gli allucinogeni. Presto o tardi, il giovanotto che fuma uno spinello proverà anche altri stupefacenti. Il Thc è quasi sempre l’inizio di una triste carriera tossicomaniacale. Senza contare, poi, che gli ambienti nei quali si fumano hashish e marjuana recano una spiccata vocazione alla criminogenesi. Ci sarà sempre, nel gruppo, alcol che scorre a fiumi; ci sarà sempre la ragazza stuprata dopo la fumata in compagnia; ci sarà sempre l’aggressione nel piazzale esterno della tal discoteca. Il mondo della canapa non è né pulito né idilliaco, come dimostrano violenti fatti di cronaca in cui tutto era innocentemente cominciato con “le canne”.
I cannabinoderivati, peraltro, hanno uno scarso uso terapeutico e non sussistono particolari proprietà rilassanti del Thc. Fumare marjuana non porta ad alcun risultato antidolorifico scientificamente provato, tranne nella fattispecie del farmaco denominato Sativex, a base di cannabis sativa e somministrato, sotto controllo medico, nella terapia del dolore oncologico. Oppure, ancora, si ponga mente al Bedrobinol, anch’esso somministrabile con l’ausilio di personale medico, ma si tratta, in ogni caso, di eccezioni, tanto più perché i cannabinoderivati producono effetto nel lungo periodo. Nella Medicina europea pare che il Cbd, derivato anch’esso dalla canapa, abbia proprietà rilassanti se inalato per contrastare spasmi muscolari, ma, pure in tale ipotesi, un conto è l’impiego terapeutico, un altro conto è l’uso ludico-ricreativo. In epoca contemporanea, il politicamente corretto ha sposato le teorie antiproibizioniste, senza alcun serio fondamento scientifico. Si consideri pure che l’uso di cannabinoidi è alla base di incidenti stradali che causano solo e soltanto tragedie familiari nel nome di mode prive di giustificazione. Nel lungo periodo, l’hashish e la marjuana distruggono il cervello, generano ossessioni, dispercezioni spazio-temporali e persino allucinazioni.
Oltretutto, oggi si assiste a una politossicomania, nell’ambito della quale le bevande alcoliche sono simultaneamente unite a più di una sostanza d’abuso, con risultati drammatici tanto sotto il profilo mentale quanto dal punto di vista corporale. Anzi, il panorama normativo e criminologico italiano è attualmente messo in pericolo dai santoni della legalizzazione. In Italia, dopo la concettosa sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale, è stata ripristinata la distinzione tra droghe pesanti (cocaina, eroina, ecstasy, Lsd e Ghb) e droghe leggere (i cannabinoderivati), ammesso e non concesso che esistano sostanze d’abuso qualificabili come “leggere”. Come conseguenza, la Corte di Cassazione ha, talvolta, tentato di creare un trattamento sanzionatorio attenuato nei confronti dell’hashish e della marjuana. Il proibizionismo rigido e rigoroso non costituisce una forma di severità o di bigottismo. La verità è che la cannabis, nel lungo periodo, nuoce gravemente alla salute psicofisica dei propri assuntori. Si tratta di una realtà tossicologico-forense che prescinde dalla moda della legalizzazione. Drogarsi fa male, sempre.
Andrea Baiguera Altieri – criminologo italo-svizzero – Brescia/Bellinzona
(LucidaMente 3000, anno XVII, nn. 199-200, luglio-agosto 2022)