Bologna 1944, il lager (dimenticato) delle Caserme Rosse: l’azionista Antonino De Biase inventa malattie immaginarie per non far deportare in Germania i rastrellati. La pagherà cara
Su Il lager (dimenticato) delle Caserme Rosse di Bologna abbiamo già dedicato un articolo nel quale abbiamo ricordato i carabinieri, gli antifascisti, i partigiani, vittime dell’internamento e della prigionia in via Corticella. Ora vogliamo parlare dello straordinario ed eroico comportamento di un medico. Si chiamava Antonio De Biase, detto Antonino. Il suo “nome di battaglia” di militante nel Partito d’Azione – uno dei gruppi partigiani antifascisti più attivi durante la Resistenza con le proprie brigate denominate Giustizia e Libertà – era “Delfini”.
Il dottor De Biase era calabrese. Medico chirurgo, era nato nel 1909 a Rocca Imperiale, in provincia di Cosenza. Ecco la sua vicenda. Dal 1943 risiede a Bologna, aderendo all’8ª Brigata Masia di Giustizia e Libertà. Guida l’ufficio medico delle Caserme Rosse. Il suo compito è gravoso. Deve dividere i prigionieri, d’accordo con un ufficiale medico tedesco, in tre categorie: 1) in buona salute, e dunque in grado di partire per la Germania; 2) cagionevoli, quindi adatti solo a lavori nella Pianura padana; 3) vecchi e/o malati, di conseguenza da rilasciare. De Biase fa di tutto per attribuire malattie gravissime, quali la tubercolosi, a tutti gli internati visitati: «Da quanti anni soffrite di…». Il deportato, che non soffre di particolari patologie, resta prima perplesso, poi capisce, s’inventa una data e cerca di dire “grazie” con gli occhi; ma intanto il medico, per non far scoprire tutto al nazista (che urla «2!» o «3!»), fa l’indifferente.
Documenti in bianco, diagnosi alterate, certificazioni assolutamente false, per evitare tragici viaggi nei lager nazisti: questo l’operato di De Biase alle Caserme Rosse tra il giugno e il settembre 1944. Ma i nazisti non si ingannano facilmente, né impunemente. La sua attività viene sottoposta a un controllo. Tutto viene scoperto. È schiaffeggiato da un ufficiale delle SS che si era fidato delle sue diagnosi, condotto in mezzo al campo e colpito di continuo e furiosamente con un calcio di fucile. Cade a terra svenuto e sanguinante. Viene quindi rinchiuso per due giorni e due notti in una cassa di legno, atta al trasporto della verdura, lasciata in mezzo al campo.
Vi fuoriescono lamenti, mentre i deportati scandiscono «dottore-De-Biase-dottore-De-Biase», finché le sentinelle si avvicinano minacciose. Allora il coro tace per ricominciare appena gli sgherri si voltano, e cosi via per decine di interminabili ore. Il terzo giorno la cassa è recata fuori; miracolosamente il medico è ancora vivo. Dopo essere stato curato in ospedale, l’Ufficio politico del Comando provinciale di Bologna della Guardia nazionale repubblicana, ossia la polizia militare della Repubblica di Salò, lo arresta nel settembre 1944, insieme con altri dirigenti del Pda quali Massenzio Masia (che sarà fucilato il 23). A De Biase viene imputato di concorso nel reato «di aver promosso in concorso fra loro una insurrezione armata contro i poteri dello Stato e di avere arruolato e armato i cittadini per insorgere contro lo Stato stesso». Con l’avvento dell’Italia repubblicana è riconosciuto partigiano dal 15 settembre 1943 alla Liberazione.
Gli viene conferita la medaglia di bronzo al valore con la seguente motivazione: «Comandante militare di settore, organizzava e dirigeva atti di sabotaggio che gravi danni arrecavano al nemico. Incaricato clandestinamente dal Comando partigiano della visita medica ai cittadini destinati alla deportazione e ai lavori obbligatori in Germania, incurante dei rischi cui andava incontro, ne escludeva la quasi totalità per deficienza fisica abilmente simulata. Sospettato e arrestato, subiva cinque mesi di duro carcere e di tormentosi interrogatori, senza fare alcuna rivelazione che potesse compromettere i compagni di lotta».
Tuttavia, le tante sofferenze patite non sono passate senza lasciare il segno. Dopo la Liberazione, avvenuta a Bologna il 21 aprile 1945, De Biase continua a vivere nel capoluogo emiliano, esattamente in via Montegrappa, fino al 9 giugno 1948. Si trasferisce quindi in Venezuela, a Caracas. La morte lo coglierà, poco dopo, ancora giovanissimo, appena più che quarantenne, il 27 luglio 1950. La sua salma è stata traslata in data 7 maggio 1952 nella Certosa di Bologna e ora riposa nella cappella di famiglia, ubicata nel Campo ospedali, viale di accesso nord n. 0006L.
Sulla tragica vicenda delle Caserme rosse, è stato girato un documentario di 53 minuti Caserme Rosse. Il lager di Bologna (di Danilo Caracciolo e Roberto Montanari, 2009): vedi il trailer su LucidaMente: Il campo di concentramento sotto le Due Torri.
Le immagini: foto vecchie e nuove delle Caserme Rosse e foto di gruppo di medici e impiegati presso il campo di prigionia (Antonino De Biase dovrebbe essere il quinto in piedi da sinistra).
Rino Tripodi
(LM MAGAZINE n. 28, 20 gennaio 2014, supplemento a LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)