Gli incanti marini di Scilla in cinque poesie del poliedrico Francesco Cento
Nel presente numero agostano di LucidaMente ci è sembrato opportuno scegliere, delle poesie contenute in Scilla. Descrizione in versi di un mito (Genova, 2003), quelle dedicate ai luoghi più caratteristici della nota località balneare e turistica collocata sul mar Tirreno, nella provincia di Reggio Calabria.
Paesaggi naturali, microurbani e umani trasognati, dove «la sete del sole s’avverte», un universo mitico, senza tempo, nel quale compare, talvolta, la memoria dell’infanzia.
Alla Marina
Le stelle luccicanti alla Marina e le favole iniziate
dalla sera non hanno fine.
Tra le barche ruffiane.
Affondando nella sabbia il batticuore.
Dove sarai domani? e dove corri, se il nulla
ti sta accanto. Arpeggi vaghe canzoni
con la rabbia della fantasia le intoni, insicuro
ricordi appena quei versi quando la spiaggia, divisa
da fiumare, riposava sola.
Le campane al rintocco della sera.
Giorno di bufera, con le barche piegate allo scirocco.
Vorresti correre sul limitare delle onde. Provi a scappare.
Semplicemente, dall’altra parte del mare.
Chianalèa
Strade ricurve e smozzicate
sdrùcciole scale, arroccate al Forte
coi tetti riarsi
le reti a rifarsi le maglie.
E le voci rischiarano la notte
mano nella mano
giovani che passano a frotte
lontano.
Rimbombano i passi
nel tramestio solare, domani
se ne andranno
ma ora guardano
il mare oscuro
l’essenza d’oriente,
coi lustri d’argento e d’oro
rugiada
sui rampicanti
e l’alloro.
Sotto il lampione
dallo scoglio, guizza la schiuma
e li bagna.
Il Castello
Da lontano sobbalza tra cielo e mare
il tuo ruggito di pietra
nell’onda che arretra e ribatte.
Tra le torri mozzate
la Storia ha fatto baldoria delle tue ossa,
scalcinate, raccolte in disparte.
È bastata una scossa.
senza alabarde alla guerra, senza coccarde
appiccicate alla vittoria.
Barche calafatate alla Marina. Luntri neri di pece
al porto, piccolo ritrovo assorto nella pace.
La caligine dei giorni tu dall’alto dominasti.
Sospiri ora, Forte amico, di ciò che sei rimasto:
l’attònito macigno.
Al Porto
Al porto spunta l’alba e Bagnara si stende lontana
è cosa rara, il silenzio. Lo sciacquettìo placato
delle barche a vela, alla fonda, tenera sequela di sogni
sull’onda la luce del sole ribolle nell’acqua pescosa.
Odorosa di sale.
Assonnata risale la bella tra il fasciame e la gomena unta.
Si pettina, in faccia al Castello.
Si sporge, saluta con la mano.
Lontano, alle vigne stremate,
indugia un gabbiano.
Ombre lunghe tra piccole strade ritorte
e qualcuno sull’uscio, e quell’altro alla piazza
ripara la rete, la sete del sole s’avverte.
Coperta non ha più la notte, né buio.
Vico Spirito Santo
Ruderi, le case a schiera, gli scuri riarsi
appiccicati ai cardini erosi e i muri.
Bastioni poderosi dai mattoni irrequieti
intonaci secolari di polvere salsedine
e calce.
Arabescava il sole la superficie glabra
delle pareti quando ti conobbi,
Vico Spirito Santo,
Ragazzini eravamo. Imberbi, ridanciani.
Profani di poesia e di vita. Il limitare dell’ombra dava
il giusto tempo per il mare. Indagare quanto
durasse non spettava a noi, allora,
dietro alla palla sulla rena.
(da Francesco Cento, Scilla. Descrizione in versi di un mito, Genova, 2003)
L’immagine: veduta di Scilla, col castello Ruffo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IV, n. 44, agosto 2009)