Un gioco narrativo, costruito su calchi e rimandi: è il nuovo romanzo (“Pimpernel”, edito da Einaudi) dello scrittore goriziano
C’entra il celeberrimo narratore anglo-americano Henry James (1843-1916). C’entra il solito “manoscritto ritrovato” (in una vecchia scatola di biscotti). C’entra la bella quanto inquietante e fatale Venezia. C’entra un amore forte ma straziante e impossibile tra un uomo un po’ freddo e razionale e un’affascinante figura di giovanissima donna infelice. C’entrano l’arte e l’estetica, la ricerca della bellezza.
Questi sono alcuni degli elementi che costituiscono il nuovo libro (Pimpernel. Una storia d’amore, Einaudi, Torino 2020, pp. 198, € 16,00), da poco uscito nelle librerie, di Paolo Maurensig. Lo scrittore (Gorizia, 1943) è venuto alla ribalta per il grande successo del suo romanzo d’esordio La variante di Lüneburg (1993) e di Canone inverso (1996), dal quale è stato pure tratto il film diretto nel 2000 da Ricky Tognazzi. In seguito il letterato, che oggi vive a Udine, ha sviluppato molte altre eccellenti prove narrative, contraddistinte, quasi sempre, dalle strutture romanzesche molto complesse: a incastri, a rimandi, a scatole cinesi o simili a matrioske, con forti scarti temporali. Anche nel caso di Pimpernel, sia per non rivelare troppo al lettore, sia per la complicata costruzione narrativa del libro, è preferibile non delinearne un chiaro profilo. Basti solo sapere che il romanzo è costituito da una sorta di prologo, dalla pubblicazione delle «pagine ritrovate», cioè «una specie di palinsesto, in parte autentico, in parte contraffatto» (quindi, dove finisce la finzione?; è un «falso d’autore», un calco di James?), da un’aggiunta finale («Una spiacevole incombenza») e da una nota del curatore, che, più che chiarire, getta altri dubbi e ambiguità sul testo-James/testo-Maurensig.
È anche significativo il singolare titolo: pimpernel è, in lingua inglese, la nostra mordigallina o centonchio, bella e vivace piantina, eppure tossica; inoltre, The Scarlet Pimpernel (La primula rossa) è il celebre ciclo di romanzi d’avventura concepito da Emma Orczy. L’andamento stilistico e i temi predominanti nelle «pagine ritrovate» da Maurensig ci riportano indietro nel tempo, forse anche più rispetto a quello in cui ha vissuto e scritto James. Il timbro, infatti, è romantico, a volte svenevole, e il romanzo, anche per la trovata del manoscritto, ha un sapore antico.
Al centro si collocano un amore caratterizzato da palpiti sottili e intermittenti; una donna statunitense (Annelien Bruins), fragile e pudìca quanto tormentata e passionale; uno scrittore (Paul Temple), anch’egli americano, ambizioso e alla ricerca dell’arte e della bellezza, a tal punto da intraprendere un’impossibile ricerca nelle botteghe antiquarie di Venezia nel tentativo di rintracciare quel dipinto perfetto, intravisto in un sogno (pp. 101-102), che possa stimolarlo alla “grande opera” («l’umana bellezza rispetto alla bellezza dell’arte era transitoria, mutevole, fallace»); la stessa città veneta, perfetto gioiello, ammaliante ma ossimorico («quanta dolorosa bellezza!»). Anche il personaggio del veneziano Samuele Damiani, che in qualche modo plagia Paul, è uno stereotipo dell’italiano secondo lontane ascendenze letterarie romantiche, ben più che decadenti. In quanta letteratura inglese troviamo personaggi italiani ambigui o, in quella tedesca, proprio malvagi? D’altra parte, in Pimpernel tutto è indefinibile, così come etereo e diafano, forse perché avvolto nel provvisorio, nella precarietà esaltante e sorprendente della vita.
In conclusione, un romanzo sofisticato, delicato, per lettori smaliziati, ma fruibile anche da chi va alla ricerca di una storia d’amore tradizionale, davvero trasognata e all’antica. Del resto: «Anche i libri possono determinare l’andamento della nostra esistenza e darci una spiegazione di ciò che ci accade. A volte ce li ritroviamo tra le mani ed ecco che tra quelle pagine riconosciamo un messaggio indirizzato a noi stessi».
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 180, dicembre 2020)