Isaia Sales, con “Storia dell’Italia mafiosa” (Rubbettino Editore), indaga gli intrecci tra organizzazioni criminali e Belpaese, dalla loro nascita ai giorni nostri
Prima che Giulio Andreotti dichiarasse che non avrebbe partecipato alle esequie di Carlo Alberto dalla Chiesa perché preferiva i battesimi ai funerali, che Silvio Berlusconi lodasse la lealtà del suo stalliere Vittorio Mangano o che Pietro Lunardi affermasse che con la camorra bisognava convivere, erano già molti gli episodi indicanti che tra mafia e politica non vi era un abisso incolmabile.
Un recente libro scandaglia proprio la zona grigia di scambi di favori volti a rafforzare la commistione di poteri che consente alle mafie di resistere a qualsiasi governo e contesto sociale. La pubblicazione è Storia dell’Italia mafiosa. Perché le mafie hanno avuto successo di Isaia Sales (Rubbettino Editore, pp. 446, € 19,50). Secondo tale studio, l’analisistorica della criminalità organizzata non può che riflettere il passato stesso dell’Italia, sin dai tempi dell’Unità. Se, infatti, è assodato che le mafie hanno avuto origine in alcune regioni del Sud, la loro resistenza nel tempo e la progressiva diffusione mondiale non possono essere ridotte a un problema territoriale o culturale. Il loro successo va ricercato nell’affermazione di un blocco sociale e politico cui esse già facevano riferimento nel periodo preunitario. È dunque evidente che sia stato necessario proprio l’appoggio di quel fronte, dominante al Nord, per rendere possibile un simile esito.
In seguito, le scelte di conservazione operate in politica e in economia a livello nazionale non fecero altro che difendere e consolidare l’ambiente nel quale i mafiosi erano a proprio agio e nel quale dominavano. Come osserva Sales: «La storia delle mafie meridionali non è storia di semplici organizzazioni criminali, bensì la storia dei rapporti che l’insieme della società (locale e nazionale) ha stabilito, nel tempo, con questi fenomeni criminali, e viceversa, è storia dei rapporti che il crimine organizzato ha allacciato con il mondo esterno».
Se l’Ottocento è il secolo della camorra e il Novecento quello della mafia siciliana, quello che viviamo, secondo lo scrittore, è il periodo d’oro della ’ndrangheta. Il ruolo predominante è dato, a seconda dei casi, dall’influenza che le organizzazioni hanno nei processi decisionali dello Stato, ma anche dalla loro capacità di diffusione a livello mondiale. Proprio questo aspetto diventa un punto centrale del libro di Sales, il quale demolisce la convinzione che le mafie siano nate e abbiano prosperato solo laddove le condizioni culturali ed economiche consentissero il dilagare del crimine. La presenza della mafia negli Stati Uniti e della ’ndrangheta in tutto il mondo prova che la spiegazione culturalistica non può reggere e dimostra anzi come solo la collusione e la cooperazione con i poteri forti, con vantaggi da entrambi i lati, siano l’elisir d’immortalità delle cosche.
Il saggio di Sales lascia quindi intravedere un modello criminale il cui successo dura ininterrottamente da duecento anni. Il racconto delle mafie come frutto esclusivo del Mezzogiorno, della sua arretratezza economica e sociale, di una società omertosa e complice, pressoché immutato da due secoli, continua a costituire un formidabile ostacolo alla comprensione del fenomeno e a rappresentare, nella migliore delle ipotesi, un colossale abbaglio. Ne è prova lampante il fatto che le associazioni criminali, nonostante gli auspici di tanti, non siano state per nulla sconfitte dalla modernità, anzi vi si siano trovate pienamente a loro agio, nel mondo di Internet e di Google, e non solo nel Meridione d’Italia.
Isaia Sales è docente di Storia delle mafie presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ed è editorialista del quotidiano Il Mattino. Tra gli altri incarichi, è stato sottosegretario al Tesoro nel primo Governo Prodi.
Le immagini: la copertina del libro Storia dell’Italia mafiosa e una foto dell’autore Isaia Sales.
(a.c.)
(LM EXTRA n. 34, 19 maggio 2016, Speciale scomparsa di Pannella, supplemento a LucidaMente, anno XI, n. 125, maggio 2016)