“Scoprii allora che nessuna delle tante persone intelligenti con cui avevo parlato in Inghilterra era stata in grado di dirmi alcunché della Persia”: le parole di Vita Sackville-West, scrittrice e intellettuale inglese, sembrano ancora essere le uniche valide quando si parla dell’atteggiamento degli occidentali nei confronti dell’Iran, un paese complesso e stranamente bello; laddove l’aggettivo “complesso” si dipana inaspettatamente, come in un labirinto, mostrando anche le sue più alte qualità culturali.
Farian Sabahi, in occasione di un seminario sull’Iran, svoltosi a Cagliari, ha parlato dell’Iran, accompagnando il pubblico alla scoperta di un paese di cui spesso si discute senza averlo mai conosciuto.
Un elogio della laicità – La sua voce è cortese, modulata, distintamente settentrionale, lo sguardo diretto. La Sabahi, iraniana e piemontese, giovane giornalista de Il Sole 24 Ore e de La Stampa, porta nella sua parola i sogni e le speranze di due culture e nel suo discorso porge le chiavi per aprire la serratura fra i due mondi. L’occasione per vederla e ascoltarla è un convegno sul suo Paese d’origine La mezzaluna ed il mondo capovolto: nel cuore dell’Iran, organizzato qualche tempo fa presso la Facoltà di Scienze politiche di Cagliari. L’ospite è indubbiamente un personaggio: è meticolosa ricercatrice, affabulatrice, giornalista e scrittrice apprezzata. Ha studiato a Londra e Bologna, insegna al master sull’immigrazione della Scuola di Direzione aziendale dell’Università Bocconi di Milano ed è autrice dei libri (vedi anche bibliografia a piè di pagina) Storia dell’Iran, The Literacy Corps in Pahlavi Iran, La pecora e il tappeto. I nomadi Shahsevan nell’Azerbaigian iraniano e Islam: l’identità inquieta dell’Europa, libro inchiesta sulle comunità islamiche in Europa ed elogio spinozista, nemmeno troppo nascosto, della laicità dello stato. Scrive infatti la Sabahi che in una società multietnica e multireligiosa, la laicità è il fondamento della democrazia. L’Europa è ormai, di fatto, meticcia, attraversata da disuguaglianze che rendono le nostre vite più esposte a rischi ma allo stesso tempo più aperte verso nuove forme di esistenza politica. Il suo stile è diretto, scarno, onesto e sincero, a tratti polemico; ricorda quella di Oriana Fallaci, ma senza le ombre degli ultimi anni. Il suo è senza dubbio l’unico linguaggio che, in grado di giocare fra scientificità e comprensibilità, possa offrire agli occidentali un serio punto di vista sul paese di Khomeini.
Educazione e università in Iran – Parla spesso di suo figlio e suo padre, un uomo che sembra aver riposto in lei l’amore per i tappeti e la cultura persiana. Si confronta con piacere davanti al cibo sardo; in Italia non ha mai portato il velo, che indossa invece abitualmente in Iran e in Yemen. Parrebbe di trovarsi davanti ad una laica oblatrice della sua cultura, impressione del tutto errata. Mentre sale sulla cattedra dell’aula magna della Facoltà non ci si aspetta che dalla sua voce possa uscire una chiave di lettura per capire l’Iran, quel “Castello dei sogni” che la poetessa iraniana Forugh Farrokhzad, fra le anime più sublimi del nostro secolo, ha cantato in modo controverso nei suoi versi. La prima parte dell’intervento della Sabahi riguarda l’istruzione in Iran: L’85 per cento degli iraniani ha frequentato la scuola pubblica ed è in grado di leggere e scrivere, mentre il 63 per cento delle matricole universitarie è donna”. Queste le cifre enumerate rapidamente dalla giornalista, davanti ad un pubblico scettico, che scopre, così, di avere una conoscenza parziale, direi incompleta, del paese del presidente Ahmadinejad. La scrittrice utilizza spesso le percentuali, i dati reali, per opporre all’immagine stereotipata dell’Iran un’immagine reale, non priva di difetti e ombre, ma anche lontana dal territorio polveroso e ostile descrittoci dai mass-media occidentali.
Disoccupazione e “fuga dei cervelli” – L’Iran, prosegue, è infatti anche terra di disoccupazione in cui il 15-20 per cento delle persone non riesce a trovare una sistemazione lavorativa adeguata e ricorre spesso a due lavori per sbarcare il lunario. Gli stipendi sono bassi e, a dispetto dei criteri selettivi delle università nell’ammissione degli studenti, un grave problema è rappresentato dalla cosiddetta “fuga dei cervelli” che scelgono principalmente di emigrare in Giappone, Emirati Arabi e, in misura limitata, soprattutto dopo l’11 settembre, pure negli Stati Uniti d’America. I dati offrono certamente il quadro di un grande bacino culturale e le difficoltà del mercato del lavoro sono sintomatiche sia dell’Iran che dell’Europa, due regioni antiche e dalla grande storia che, invece di schierarsi in blocchi più o meno freddi, dovrebbero riconoscersi l’uno nell’altro e risvegliare una mutua partnership, cosa che peraltro l’Italia fa già da tempo, specialmente in campo petrolifero. Un primo parallelismo, questo tra Italia e Iran, nel campo della cultura e del lavoro, che si fa strada in me e che, con tutte le lapalissiane differenze, mi prendo la responsabilità di sostenere, non senza una certa buona dose di paradossale ironia.
La donna e la Shari’a – I minuti scorrono veloci e si avvicina l’argomento più scottante, le donne e la loro condizione nel paese più aristocratico di quello che può essere definito oggi come “vicinissimo oriente”: La storia dell’emancipazione femminile in Iran, chiamata fino al 1935 Persia è fatta di piccole “sciabolate di luce”: ricordiamo come uno dei primi scioperi della storia del paese, e forse del Sud del mondo, sia stato quello che vide le donne dell’harem dello Shah impegnate a boicottare il tabacco dato in concessione a uno straniero ma la cui coltivazione e vendita rappresentava una fonte di reddito per molti iraniani. Più recentemente, negli anni Settanta, Muhammad Reza ha introdotto le leggi a protezione della famiglia, tutela a dire il vero demagogica della donna nell’ambito familiare e sociale. Leggi che seguivano di poco la concessione del voto alle donne, diritto-dovere che a sua volta precedeva di molto le conquiste fatte in alcuni paesi occidentali, come la Svizzera, in tale direzione. La rivoluzione del 1979, che portò al potere il “velayati faqi“, ovvero il governo dell’esperto in fiqh (diritto islamico) – costituzione di stampo platonico – basata sulla legge coranica (Shari’a) e sul governo degli esperti religiosi, sancì anche, come molti sanno, una nuova ondata di limitazioni per la donna, che andarono di pari passo con l’imposizione del velo che, tolto forzatamente nel 1936 da Reza Pahlavi, veniva in quel momento forzatamente imposto.
La gente, i giovani, i fermenti – Tutta la storia dell’Iran è una storia di imposizioni alle quali la gente, di quel genere orgoglioso e testardo di cui parla Maria Bellonci riferendosi alle genti lombarde, ha sempre cercato di sottomettersi e ribellarsi al medesimo tempo. La risposta a secoli di tali avvenimenti ha prodotto nel paese una forte base di giovani, a volte molto colti, caratterizzata da un fermento intellettuale e politico dal sapore democratico. Una sorta di fil rouge che serpeggia nelle strade, scarta abilmente le guardie della rivoluzione, svolta agli angoli delle imposizioni e ricerca un suo equilibrio fra Shari’a, lezioni all’università e il sogno di una vita migliore. Tutto questo compone un vero e proprio labirinto persiano, una congerie di strade e stradine a volte parallele e a volte contraddittorie. Questo, mi sembra di capire, è l’Iran. Il fermento per un Iran migliore lo si nota anche nelle aule di tribunale, dove avvocati come il premio Nobel Shirin Ebadi lottano quotidianamente per un’interpretazione aperta della legge per la quale, ricordiamolo, la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo, sancendo in questo modo una evidente, ma non insormontabile, posizione di subordinazione della donna: Per la stessa legge, che in caso di divorzio assegna quasi sempre al padre i figli, è però consentito stipulare un contratto fra due sposi in modo che, come spesso succede in questo periodo, la sposa stessa possa vedere riconosciuto il suo diritto al divorzio o ad una vita maggiormente libera. Per la questione dell’assegnamento dei figli si sta cercando di introdurre nella prassi giurisprudenziale il principio della competenza che tira in ballo, nella coppia, le qualità di educatori di entrambi i genitori, cosa che pone entrambi i sessi, con una prospettiva egalitaria, sullo stesso piano. Una terra divisa fra la laicità economica dei Bazarì, mercanti, e l’esasperazione religiosa di certi mullah, quella che, senza dubbio in modo stupefacente, prevede che alla donna, al momento del matrimonio, sia assegnata una cifra in monete d’oro della quale, in caso di divorzio, è prevista la restituzione indicizzata.
Tre domande sull’Iran – Ho posto alla Sabahi tre domande sull’Iran, alle quali, con la solita gentilezza, ha risposto con sollecitudine.
M. Tuveri: Professoressa Sabahi, lei offre al pubblico un aspetto diverso dell’Iran. Ci vuole però parlare brevemente di un aspetto, politico o sociale, del suo Paese verso il quale lei sente di dover essere più critica?
F. Sabahi: L’attuale regime, che non gode delle simpatie di tutta la popolazione ma che si regge grazie alla distribuzione di sussidi per i generi alimentari e il carburante. Il tallone d’Achille della mullacrazia è proprio l’economia, che ha bisogno di essere diversificata rispetto all’industria energetica: l’Iran vende petrolio a prezzi di mercato ma non riesce a raffinare l’oro nero necessario al consumo interno e deve quindi importare il 40 per cento della benzina necessaria: importa a prezzi di mercato (internazionale) e rivende il carburante ai propri cittadini a soli 8 centesimi di euro al litro, una cifra sottocosto. Nonostante la diffidenza di molti iraniani (ma non di tutti) nei confronti del clero al potere, la popolazione non vuole un cambio di regime attuato dall’esterno e tanto meno un’invasione americana per essere “liberata”.
M. Tuveri: Un angolo di Iran che vorrebbe mostrare con orgoglio…
F. Sabahi: La città di Isfahan, chiamata in persiano nesf-e jahan, vale a dire “metà del mondo”, per le sue numerose bellezze architettoniche.
M. Tuveri: Una frase in Farsi che esprima l’anima persiana…
F. Sabahi: I versi del Canzoniere di Hafez, che gli iraniani tengono sul comodino insieme al Corano: aperto a caso, dà una chiave di lettura della questione che si vorrebbe risolvere. Versi sulla tolleranza e sul desiderio di libertà degli iraniani che da sempre lottano contro l’integralismo e il fanatismo. Alle prese con questi problemi, Hafez invitava ad essere pazienti perché “per volere di Dio le porte delle taverna riapriranno e i nodi della repressione saranno sciolti, alla fine ognuno raccoglierà ciò che ha seminato, ogni luogo è la casa dell’amore, sia esso la sinagoga o la moschea”.
Ed io, ringraziando Farian Sabahi, taccio davanti a questi versi, pregando che il mondo intero, e non solo gli iraniani, ne capisca il significato.
Bibliografia di Farian Sabahi
La pecora e il tappeto. I nomadi Shahsevan nell’Azerbaigian iraniano, Ariele, Milano, 2000;
Storia dell’Iran, Mondadori, Milano, 2003 (nuova edizione aggiornata 2006);
Islam: l’identità inquieta dell’Europa. Viaggio tra i musulmani d’occidente, Il Saggiatore, Milano, 2006.
L’immagine: la copertina di Islam: l’identità inquieta dell’Europa. Viaggio tra i musulmani d’occidente.
Matteo Tuveri
(LucidaMente, anno II, n. 13, gennaio 2007)
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