Presentazione nella città emiliana del toccante libro (Edizioni Noubs) scritto insieme a Pino Giannini
Venerdì 4 maggio, alle ore 16, a Modena, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (Largo Sant’Eufemia 19), Mina Welby presenterà il libro, scritto con Pino Giannini, L’ultimo gesto d’amore, edito da Noubs. Presiederà Augusto Carli (Università di Modena-Reggio). Introduce Elena Finelli (Associazione LiberaUscita). A seguire dibattito pubblico. Al termine dell’incontro è prevista una cena presso il ristorante La Piola. Chi volesse prendervi parte è pregato di telefonare entro il 30 aprile allo 059469832. La spesa, di tutto favore, si aggirerà intorno ai 15 euro, pari alla metà del prezzo normalmente praticato.
Per l’occasione, ripubblichiamo l’articolo di Simone Jacca sulla pubblicazione, apparso sul n. 56 (agosto 2010) di LucidaMente.
Recentemente Mina Welby, assieme a Pino Giannini, ha pubblicato L’ultimo gesto d’amore (Prefazione di Emma Bonino, Postfazione di Beppino Englaro, con una lettera aperta di Piergiorgio Welby al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Edizioni Noubs, pp. 78, € 10,00). Mina è una donna che con estrema lucidità e intensità ci racconta quelli che sono stati gli ultimi giorni trascorsi con il proprio marito. È il 20 dicembre 2006 quando si spegne Piergiorgio, con un grande atto di coraggio e di amore per la vita.
Lo stesso coraggio che ha Mina: «Ho dovuto lottare con me stessa ed entrare in una nuova dimensione mentale prima di decidere di sostenere la volontà di Piergiorgio. Tutti coloro che perdono una persona cara devono accettare per forza quello che succede ma, nel mio caso, la differenza è stata nella richiesta che mi veniva fatta da Piergiorgio. Mio marito, affetto ormai da molti anni da distrofia muscolare, mi chiedeva di esaudire la sua preghiera e di essere d’accordo con lui nella richiesta di staccare il respiratore. In pratica, mi stava chiedendo di potermi lasciare o, almeno, io intendevo così la sua richiesta.
Ricordo un episodio in cui sono arrivata ad esclamare: «Il divorzio non te lo do!». Quella che io avvertivo nella sua richiesta, infatti, era una separazione e, quindi, continuavo a ripetergli «il divorzio non te lo do!». Abbiamo discusso, e anche pesantemente, per questo motivo. Non avevamo mai litigato in tutta la vita passata insieme ma, quella volta, in quegli ultimi mesi, scoppiò una lite accesa e io, resami conto del livello di tensione a cui ero arrivata, andai in un’altra stanza e scoppiai in un pianto isterico che riempì la casa. […]
Mi diceva: «Non mi ami abbastanza». E io rispondevo: «Sì, invece, ma è difficile amarti in questa situazione». Mi vengono spesso in mente, quando meno me lo aspetto, dei ricordi della nostra vita insieme e ci sono degli avvenimenti che, ancora oggi, mi trascinano in uno stato mentale di non ritorno. È accaduto, ad esempio, quando il premier, Silvio Berlusconi, ha cercato con ogni mezzo di far approvare il decreto “salva-vita” per Eluana Englaro. Quel giorno ho avvertito tutta la crudeltà di un gesto simile e ho capito che anche io, a mia volta, avevo fatto soffrire Piergiorgio per lo stesso motivo». Nel libro è contenuto anche il testo della letteradi Piergiorgio al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Le sue parole avevano commosso e fatto riflettere milioni di italiani e tuttora mantengono intatta la forza e la ragionevolezza di allora:
«Io amo la vita, presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso, morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio… è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà. Starà pensando, presidente, che sto invocando per me una “morte dignitosa”. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere “dignitosa”; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia “dignitosa” è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è».
Il libro è chiuso dalla postfazione di Beppino Englaro, padre di Eluana, anche lei morta per eutanasia. Le sue parole hanno un significato che va oltre l’umano e si avvicina al politico, a quella parte del nostro animo che rivendica giustizia e rispetto: «Le nostre strade si sono spesso incrociate durante convegni e incontri nei quali in questi anni abbiamo dovuto ripetere che cosa è la libertà di cura. Un diritto sancito dalla Costituzione, eppure, messo a repentaglio da un certo modo di fare politica e dal tentativo di far prevalere l’etica religiosa sulle libertà della persona. Per ragioni diverse, in circostanze differenti, ci è toccato in sorte qualcosa che nessuno di noi aveva immaginato: ragionare sul rapporto tra il medico e il paziente, sui limiti delle nuove tecnologie, sulla vita e sulla fine della vita, tutte questioni che l’essere umano normalmente preferisce rimuovere». E non manca quella speranza, quell’attesa, quell’augurio che tutti noi porgiamo: «Sebbene molte cose siano accadute in questo Paese nel nome di Piergiorgio e di Eluana mi auguro che la legge sul testamento biologico in discussione in Parlamento vada fino in fondo riguardo alle libertà fondamentali». Tale messaggio di Beppino sembra collegarsi alla Prefazione di Emma Bonino, della quale riportiamo alcune parti:
«Se solo tutti i deputati, che stanno per affrontare il tema della legge sul testamento biologico, potessero o volessero “regalarsi” il tempo di leggere questo libro con il cuore e con onestà intellettuale, oltre che con gli occhi, ne scaturirebbe un dibattito diverso, ne sono sicura. Perché da queste pagine esce potentemente un richiamo al rispetto e alla accettazione della volontà dell’altro, tanto più necessario quando l’altro, e cioè Piero, decide: “Basta, Basta, Basta!!!”. E Mina si dispera, si affanna e fatica a capire che – per amore – lo deve lasciare andare verso “una buona morte, una morte tranquilla, una morte opportuna”, come diceva Piero. Ovviamente c’è molto di più in questo libro, come il tema del diritto all’autodeterminazione e il rapporto con la morte o meglio “il vivere e il morire”, raccontato con la voce sempre piana di Mina (per chi, come me, la conosce un po’, in effetti pare di “sentirla” più che leggerla). C’è l’incontro con l’impegno politico radicale attraverso l’associazione Luca Coscioni; c’è tutto il dolore e la nostalgia per un tempo felice, a dispetto di tutto e di tutti; ci sono i dialoghi di Piero con Marco Pannella; c’è Giovanni Nuvoli e la sua storia; c’è l’elogio della tecnologia che aiuta molti malati a comunicare/vivere ma che non è sempre disponibile in Italia perché “non ci sono i soldi”. C’è soprattutto la voglia di non mollare e di contribuire a un futuro migliore per tutti. Grazie, Mina, nella speranza che questa tua nuova fatica sia raccolta da molti come invito all’impegno civile, perché dal “corpo dei malati” arrivi “al cuore della politica” e la connoti, questa esigenza di rispetto, dignità e libertà che appartiene a tutti gli esseri umani».
Le immagini: la copertina del libro e foto da siti dei Radicali italiani.
Simone Jacca
(LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)