17 MARZO, MARONI FA LA FESTA… AI POLIZIOTTI – Una recente disposizione del ministro dell’Interno, con un’interpretazione certamente lontana dallo spirito normativo, di fatto equipara il giorno festivo del 17 marzo a uno dei giorni di congedo ordinario che il dipendente fruisce di norma nell’arco solare e che gode secondo la sua volontà. È paradossale che il poliziotto della Nazione Italia non possa godere del servizio festivo che celebra e onora l’Unità d’Italia ma debba essere posto in congedo, un diritto che dovrebbe esercitare durante l’anno secondo la sua volontà, e non quando lo vuole il ministro dell’Interno e, guarda caso, proprio il 17 marzo! Ci pare evidente che esiste una continua forma di sonora presa “in giro” aggravata dallo spirito “leghista” che connota i nostri ambienti e che noi ci rifiutiamo di assumere. Noi siamo sempre più convinti che il 17 marzo è la “nostra festa”, quella di coloro che sudano, soffrono e combattono ogni giorno per tutto il bello e sano dell’Italia. (Franco Maccari, segretario generale del Coisp, Sindacato indipendente di Polizia)
SACROSANTO FESTEGGIARE IL 17 MARZO – È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2011, il Decreto Legge n. 5 con cui il Governo – limitatamente all’anno corrente – considera festivo il giorno 17 marzo 2011. Mi sembra una decisione degna e importante per celebrare in modo palese questo anniversario storico che vuole sottolineare il significato dei valori unitari della Nazione. Certamente i termini con cui si è affermata l’unità d’Italia non sono esenti da riflessioni di vario tipo. Diversi contorni elegìaci e taluni aspetti o tendenze riconducibili a un romanticismo manierato non esente da ingenue o tollerate influenze strumentali hanno talvolta distratto la realtà non tanto dagli avvenimenti quanto dalle loro motivazioni. I libri di storia e gli insegnamenti scolastici andrebbero rimeditati alla luce di più attente e adeguate considerazioni, per aiutare la migliore comprensione dei problemi persistenti nel tempo presente. Le stesse azioni dei “padri della Patria” andrebbero rivisitate per sottoporle a una analisi obiettiva che, dopo tanti anni, sarebbe utile sia per la corretta interpretazione storica, sia per scrollarsi di dosso il retaggio di qualche pregiudizio e di diversi luoghi comuni. Basti un riferimento: l’abilità politica di Cavour è fuori discussione ma di certo la sua azione non è stata priva di alternative altrettanto o ancor meglio idonee a conseguire non l’espansionismo di Casa Savoia ma il progetto unitario del nostro Paese. È pur vero che ogni fatto può essere osservato da molti punti di vista, alcuni più giusti, altri meno. Tuttavia, non dovrebbero esserci dubbi che la decisione di considerare festivo il 17 marzo di quest’anno sia da apprezzare. Non si tratta di una scelta retorica, né di una recuperata prospezione risorgimentale. Si tratta invece di consentire agli italiani di celebrare loro stessi, la loro identità. Non trascurando le diversità residue che ancora (opportunamente) sussistono e che sono – in definitiva – fonte di arricchimento culturale e sociale. D’altra parte appare fin troppo debole la motivazione di coloro che hanno dichiarato d’essere contrari a questa giornata di Festa. Qualcuno ha cercato il litigio sul niente, evocando i danni all’economia in conseguenza di un giorno lavorativo in meno. Peccato che questa osservazione avvenga proprio nell’anno “sbagliato”, in cui alcune festività casualmente cadono di domenica (vedi il 1° maggio) per cui si lavorerà comunque di più, non di meno. Non sarebbe stato utile che lo spazio occupato per questa polemica fosse stato dedicato ad altri scopi che pur riguardano il lavoro, come la gravissima persistenza della disoccupazione e della precarietà del lavoro giovanile? (Franco Franchi – Direzione nazionale Psi)
RISORGIMENTO TRA RETORICA E REALTÀ – Nessuna nostalgia per l’Italia pre 1870, ma puro amore per la lettura della storia a 360 gradi. Asservirsi alla retorica delle celebrazioni e di Napolitano dimenticando – lo diceva a suo tempo anche Gramsci – che i liberali prima hanno fatto l’Italia e poi se la sono mangiata, dimenticando i massacri sui contadini del Sud, dimenticando la persecuzione religiosa (che innegabilmente vi fu), dimenticando che il Risorgimento fu l’opera di una oligarchia (massonica) senza minimo apporto popolare (anche questo lo affermava già Gramsci), dimenticando che, insieme ai cattolici, a essere sconfitta da Cavour e soci fu la “sinistra nazionale” (mazziniani e garibaldini) antesignana (vi è un bellissimo libro in argomento di Parlato) del “fascismo di sinistra” (a sua volta sconfitto dai compromessi mussoliniani con la monarchia sabauda), dimenticando che lo Stato liberale uscito dal risorgimento era quello della borghesia egemone e che contro di esso nel 1898 a Milano si trovarono sulla stessa barricata, anche se provenienti da culture diverse, i cattolici di don Albertario ed i socialisti e che il liberal-massone Bava Beccaris fu insignito dal Savoia proprio per aver cannoneggiato i predetti rivoltosi milanesi, dimenticare tutto questo, solo perché un Bertone qualunque celebra (e non dovrebbe!) Porta Pia o per continuare a mantenere in piedi sterili schemi di esegesi storiografica di tipo ottocentesco, porta acqua soltanto a chi vuole farci passare l’idea che, in fondo in fondo, avevano ragione coloro che hanno preparato l’attuale mondo del capitale globale vincente (e che avrebbero storicamente sconfitto tutte le opposizioni di destra e di sinistra). Contro ogni uso retorico o strumentale della storia: quello di Napolitano come quello di Bossi. (Luigi Copertino)
VENTO DI PRIMAVERA – Il prossimo 17 marzo sarà Festa nazionale per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e vorrei che non ci fosse un presidente del Consiglio al soldo di un movimento politico che minaccia la secessione a ogni piè sospinto. Il 25 aprile si festeggia l’anniversario della Liberazione dall’occupazione nazista, ma il presidente del Consiglio troverà una delle sue tante scuse per non partecipare ai riti ufficiali, perché i partigiani erano tutti “comunisti”. Il Primo Maggio è la Festa del Lavoro, ma il presidente del Consiglio sarà con Marchionne a Detroit, perché gli operai americani sono più bravi dei nostri. Il 2 giugno è la Festa della Repubblica; quella italiana, non la repubblica delle banane… Poi la primavera volgerà al termine, e chissà se vivremo in un Paese migliore. Viva l’Italia! (Antonio Di Furia)
QUALCHE ANNOTAZIONE SUL RISORGIMENTO – A far le spese dell’Unità fu soprattutto il Meridione. La conquista del Sud cominciò col sequestro dell’oro del Banco di Palermo, che finanziò la campagna acquisti di ufficiali borbonici. Si incancrenirono le due piaghe della Mafia e della Camorra. Le società segrete nacquero contro Napoleone, il quale aveva incoraggiato la nascita delle nazionalità e poi le aveva tradite. L’Ortis del Foscolo è una testimonianza della delusione dei patrioti italiani dopo il trattato di Campoformio. È probabile che Lega nera, Carboneria e Patto d’Ausonia fossero un’unica società segreta. Prima di aderire alla Giovine Italia Garibaldi fu carbonaro. La sua iniziazione alla Massoneria avvenne nel giugno del 1860. Fra Massoneria e Carboneria c’è un abisso: la prima è cosmopolita, la seconda è patriottica, la prima ha una concezione volontaristica, la seconda deterministica. Questa distinzione coincide con i due partiti in cui si divide il Parlamento di Torino: Destra e Sinistra, partito moderato e partito d’azione. Cavour nutriva perplessità ad affidare a Garibaldi il comando della spedizione, per i timore che il suo proposito di attaccare lo Stato pontificio facesse fallire il suo lavorio diplomatico, provocando la reazione congiunta dei due imperatori. Egli diede ordine all’ammiraglio Persano di arrestarlo se avesse toccato il porto di Cagliari. Dopo la presa di Palermo, mandò di rincalzo a Garibaldi un’altra spedizione di duemila uomini, ma diede ordine al Persano di schierare la sua squadra, insieme a quella francese e napoletana, per impedirgli lo sbarco sulla costa calabra. Salpato segretamente da Taormina, Garibaldi sbarcò a Melito Porto Salvo a sud di Reggio Calabria. I primi Mille erano veramente “il fior fiore degli Italiani”. Lo stesso non si può dire delle loro vittorie militari, ascrivibili al tradimento dei generali borbonici, tutti ex carbonari che avevano avuto la carriera spezzata dopo i moti del 1821 e del 1831. La presenza di Alexandre Dumas in Sicilia ci aiuta a meglio valutare il contributo di Garibaldi all’unità italiana. Napoleone III, ex carbonaro, si atteggiava a gran Protettore, ma mirava a insediare due napoleonidi: suo cugino Girolamo nel’ex Regno d’Etruria e il figlio di Gioacchino Murat nel Regno di Napoli. Il Dittatore seppe aggirare ogni ostacolo, e dopo la battaglia del Volturno, portò tanto avanti la Rivoluzione nazionale da rendere impossibile l’insediamento di dinastie straniere sul suolo italiano. (Giuseppe A. Spadaro)
…MA I BORBONE MERITARONO DI CADERE – Purtroppo, dopo l’Unità d’Italia, due grandi eventi edificarono una coltre impenetrabile tra la situazione meridionale e il resto d’Italia, rendendo illeggibile buona parte della storia del Sud: la cosiddetta “lotta al brigantaggio” e, di conseguenza, l’emigrazione. Queste due cose hanno impoverito talmente tanto il territorio, le potenzialità intellettuali, la società meridionale che, davvero, con la nascita della Repubblica, noi meridionali (io sono calabrese) sembriamo scesi da Marte. Impoverimento della cifra intellettuale e sociale che ha portato a forti pregiudizi nei confronti dei meridionali, fino a provocare la nascita di un partito (la Lega), il quale, anche se “distratto” (dall’antimeridionalismo di nascita) dal problema degli extra comunitari, non riesce a nascondere la sua xenofobia inveterata verso gli abitanti del Sud Italia. Sorvolando su tutto ciò che è legato alla faccenda dei Mille e dell’Unità d’Italia, mi permetto delle riflessioni, per così dire, sul fronte borbonico. Ma perché mai il più grande regno d’Italia fu conquistato da un gruppo di dilettanti (la maggior parte non lo erano affatto perché comunque reduci dalle battaglie del 1859 e similari) guidati dal guerrigliero Garibaldi? (E già qui sarebbe interessantissimo aprire una parentesi per riflettere su come Garibaldi era visto, per esempio, da Carlo Pisacane (ne parla nella sua La guerra combattuta in Italia nel 1848 1849, pubblicato in Svizzera nel 1851) e sulle riserve che l’ufficiale meridionale ebbe su Garibaldi soprattutto durante la difesa di Roma nel 1849). Perché gli alti ufficiali borbonici si fecero corrompere? E in maniera così spudorata? A cos’era dovuto il “tarlo” che s’impadronì del sistema borbonico fino a farlo crollare sotto i colpi degli schioppi garibaldini? Non è che, forse, bisognerebbe dare uno sguardo “anche” all’interno della Casa di Borbone napoletana? Forse, il tarlo di cui parlo qui sopra, si era incuneato nel legno borbonico fin dai tempi della Rivoluzione napoletana del 1799. Fin dalla fuga precipitosa di Ferdinando (IV; III; I) da Napoli, con corte, famiglia e tesoro, sulla nave di Nelson, quando i suoi ufficiali, compreso l’ammiraglio Caracciolo, lo strapregarono di rimanere per difendere il Regno. No, lui scappò. Gesto che sarà ripreso in epoca murattiana. (E anche con i Savoia avremo pagine memorabili di regnanti che fuggono dalle responsabilità). Ma torniamo ai Borbone. La strage che seguì alla Rivoluzione del 1799 portò il Regno (che ancora di chiamava “di Napoli”) a ritrovarsi ex abrupto senza un’intera classe intellettuale, senza la flotta (bruciata per non farla cadere in mano ai francesi), senza il suo maggiore ammiraglio, Francesco Caracciolo, impiccato da Nelson (con grande spregio verso il codice della marineria e delle leggi internazionali vigenti all’epoca). Caracciolo era l’unico della marineria militare napoletana (e italiana tout court) che poteva fare ombra al supposto eroe britannico. Senza dimenticare l’odio verso i Borbone, che rimase nella cenere, in numerose famiglie aristocratiche o borghesi napoletane, conseguente alla morte dei familiari messi alla forca durante la reazione alla Repubblica napoletana. Certo, le ragioni dell’una e dell’altra parte, nella questione della Repubblica napoletana, sono ben più complesse di questi miei brevi accenni, e la storia dei sessant’anni successivi è altrettanto multiforme e composita. Ma il ritardo della classe intellettuale delle Due Sicilie, conseguente a quella mattanza (eliminazione della cultura?); la perdita della flotta, certo ricostruita; la mancanza di una figura carismatica all’interno dell’Esercito e della Marina, che l’ammiraglio Caracciolo (traditore dei Borbone o difensore di Napoli?) impersonava (e le defezioni, quarant’anni dopo, di Pietro Colletta e Carlo Pisacane sono lampanti). Infine, la colpevole formazione del principe ereditario Francesco II (alias “lasagna”), duca di Calabria, che giammai ebbe consiglieri adatti alla sua cultura e alla sua formazione da futuro re; ma ognora fu circondato da un ambiente bigotto e retrogrado che ne segnò irrimediabilmente il carattere e la maturazione. Tutti questi elementi, a mio avviso, anche se distanziati nel tempo, contribuirono, inesorabilmente, a far “ammalare” il legname borbonico e a farlo crollare alla prima spallata. (Francesco Cento)
CHI HA AVUTO HA AVUTO, E CHI HA DATO HA DATO – Non solo il Risorgimento, ma anche la Prima guerra mondiale e la Resistenza – le tre pagine storiche principali su cui si pretende di fondare di solito la nostra identità e unità nazionale – devono essere soggette alla libera critica storica: che il Risorgimento sia stato un movimento gestito dall’alto, da una minoranza responsabile anche di massacri e repressioni contro un popolo del Sud che si pretendeva di liberare e che venne invece assoggettato e spesso rapinato dalle politiche annessioniste; che la prima guerra mondiale, rispetto alla quale l’Italia all’ultimo momento cambiò campo di alleanze, sia stata un grande massacro inutile e doloroso per quel che attiene il ridisegnamento dei confini, ivi compreso il Sud Tirolo-Alto Adige, perché l’Impero austroungarico conferiva sostanziale autonomia alle minoranze etniche e linguistiche, italiani compresi; che infine, la Resistenza non solo comprese pagine crudeli – come tutte le guerre civili – ma inoltre sia stata fortemente condizionata dalle trame e dagli interessi delle potenze vincitrici, soprattutto quelli angloamericani, infiltratisi dentro le sue fila fino a determinare come ogni probabilità eventi cruciali della seconda guerra mondiale, a cominciare dalla fucilazione di Mussolini: che tutto questo sia assumibile come una critica positiva perché volta a comprendere la storia passata per meglio capire il presente, questo è sostanzialmente e generalmente vero. Ma il voler dedurre da queste revisioni storiche più o meno datate, la necessità di un ritorno alle divisioni preunitarie è assurdo, antistorico e soprattutto a rischio di ripercorrere sotto nuova forma – non unitaria, ma balcanizzata – esattamente gli stessi errori del passato, assoggettandosi sia pure inconsapevolmente agli stessi poteri forti internazionali e transnazionali che operarono nel risorgimento e nella prima guerra mondiale. Gli Stati estesi si difendono dalla globalizzazione meglio che gli staterelli privi di consistenza territoriale, economica e finanziaria. Questi possono credere di diventare “indipendenti” separandosi dallo Stato esteso, e invece diventano privi di potere internazionale, come insegna il caso della vicina ex Jugoslavia. (Claudio Moffa)
L’UNITÁ D’ITALIA , IL GRANDE EVENTO EUROPEO DEL 1861
Questo scenario negativo ha generato i nostri guai socio-politici di oggi ; meglio eliminare la causa dei nostri guai, costruendo una vera…….. ?
Come prevedibile nell’era del Villaggio Globale, anche lo Stivale evolve rapidamente.
Il Bel Paese è infatti, a 150 anni dall’Unità raggiunta, un enorme contenitore. Il quale appare con gran bei colori, con valli e montagne, con angoli verdi e laghi bucolici. Contenitore, all’inizio del XXI secolo, con qualche speranza perduta, qualche progetto politico fallito, ma anche promesse sgonfiate, illusioni smentite. Non mancano anche affermazioni di progressi o conquiste, rivelatesi poi dei fallimenti.
Si tratta, è ormai chiaro a questo150/mo anniversario, anche di un’evoluzione continuata in una direzione negativa : verso l’échec degli obiettivi che furono definiti, a metà 800, con rivoluzioni, sangue, fucili e sacrifici di genti diverse. Li vollero, tali obiettivi, genti con forze coraggiose e cuori gagliardi, tutte accomunate da una speranza : fondare un nuovo stato unico, un vero Paese europeo, mettendo insieme mentalità, capacità, e cucine diverse, legate alle diverse regioni finalmente unite.
La nuova nazione, appena formata, inizio’, come altri stati europei, a percorrere i sentieri della storia. Con alleanze, guerre e conquiste, aventi lo scopo di ottenere, per i futuri Italiani, un posto al sole dell’Europa. Uno spazio riempito con materiali, invenzioni e con il duro lavoro, all’ombra di bandiere al vento. Ma anche con mezzi di produzione e con potenze industriali che si sviluppavano, andando verso la modernità, complici l’impegno e la capacità dei nuovi Italiani.
Generazioni di Italiani sudarono e regalarono al nuovo Paese sforzi di muscoli e slanci di cuore. Molti di loro morirono convinti di aver regalato ai propri discendenti una speranza, una potenza, una modernità, un nome rispettato. Ci fu il grande sviluppo di un’industria e di un commercio nazionali, fra cui da segnalare le evoluzioni dell’era di Giolitti (a cavallo del 1900) e il cosiddetto “miracolo italiano” degli anni 1950-70.
Con l’unificazione, le diverse strutture sociali/gestionali degli staterelli diventarono formalmente unica società nazionale. Solo formalmente. Infatti una seria inchiesta storica (che dovrebbe completare l’inchiesta sociale del sottoscritto, fatta a confronto con la U.E. occidentale) mostrerebbe probabilmentre che, nel corso degli ultimi 60 anni (forse dei 150 anni ?) ci sono sempre stati “poteri nascosti”, attivi nel chiuso di stanze blindate, capaci di mediare, condizionare, frenare, i formali poteri nazionali. L’immobilismo recente è figlio di tale scenario.
Dove siamo poi finiti ?
Ci siamo accorti, all’inizio di questo secolo, che l’eredità promessa non è ben conservata, anzi è in corso di disfacimento. Difficile trovare oggi, nel Bel Paese: la pace sociale, le risorse sufficienti ai molti appetiti di parte, capacità di gestione efficiente nelle istituzioni, speranze da lanciare in alto per poter superare qualche difficoltà. In alcuni contesti si sono apparentemente nascoste, o appaiono raramente, la certezza del diritto, la coesione sociale e l’affidabilità di programmi sbandierati dai vari governi. Le facce grige aumentano, davanti ad insuccessi o a promosse non mantenute. Le speranze di progresso sono rare o perdute. Il potere di acquisto scema. La fiducia dei cittadini nella gestione del Paese da parte di questi politici, sembra poca assai. La povertà rischia di avanzare, se non si riconosce la vera realtà sociale italiana, con una buona dose di realismo. E’ necessario focalizzare il quadro entro cui avvengono le evoluzioni negative di una società che non ha grandi capacità sociali positive: è questo il primo passo da fare, se si volesse rinnovare (da sopra a sotto) il Paese.
Le evoluzioni degli ultimi venti anni sono state raramente positive. In certi settori è oggi evidente l’immobilismo di un “fu pimpante Paese”. Anzi comincia ad apparire una degradazione dei comportamenti sociali, una difficoltà frequente nei rapporti fra i cittadini e lo stato. E insieme diviene più evidente il grippaggio di alcuni servizi pubblici, specie nel Sud.
Gli invocati investimenti degli imprenditori (Italiani o non), invocati dai politici, non si vedono. Ma ci possono essere imprenditori disposti a investire, nel Paese che non garantisce la certezza del diritto, la selezione dell’eccellenza,l’efficienza di servizi e le gestioni corrette dell’amministrazione pubblica ?
La società, unificata 150 anni fà , mal vive due divaricazioni, le quali appaiono sempre più chiare :
– quella fra la società italiana e le altre società europee occidentali ;
– quella fra il Paese legale e quello reale, talora nascosto.
Le evoluzioni negative sono divenute recentemente più visibili, in parallelo con il peggiorato funzionamento dei bastoni e delle carote, talora gestiti da funzionari pubblici non motivati per il progresso del Paese, ma piuttosto sospinti da interessi o tornaconti di parte. Appare il lassismo nella società. La doppiezza in aumento nella vita pubblica fa divenire dubbie o non chiare le evoluzioni sociali su cui i cittadini pongono le residue speranze ed attese e che i politici sbandierano come decisioni di progresso.
La crisi sociale, negata dalle istituzioni, è invece ben chiara a molti cittadini, che ne soffrono le conseguenze. Fra le conseguenze della crisi si notano :
– che i diritti dei cittadini, garantiti dalle leggi, si rivelano teorici ;
– la inefficiente, inaffidabile – talora terribilmente complicata – gestione di molte amministrazioni pubbliche ;
– i costi troppo elevati di alcune gestioni statali (in almeno due casi – energia elettrica e costruzione infrastutture) doppi rispetto alla media europea ;
– la poca autorevolezza e fiducia che i rappresentanti italiani riscuotono, nelle discussioni e contatti europei.
Il fattore maggiore di degrado e immobilismo sociali : le pressioni sullo stato formale da parte di consorterie e cricche esistenti nell’ombra, perché esso ceda qualche residuo potere formale, qualche prebenda, o faccia scelte di qualche tornaconto privato, ha generato : a) la non volontà dello stato di adottare forti contromisure, dopo la scoperta di Tangentopoli (che fu commistione di affari di partito o di clan o congrega con i ruoli pubblici), che arrestassero il dilagare della corruzione ; b) la sempre maggiore diffusione, per mano di uomini investiti di ruoli pubblici, di lottizzazioni e affidamenti di cariche pubbliche senza l’uso del criterio competenza, sostituito dal criterio complicità realizzate nell’ombra..
L’abusiva condotta delle istituzioni esisteva già (ma in misura minore) negli anni ’50.
La realtà di questo fatto è evidenziata da una nascita che molti ricordano :
60 anni fa nacque il partito dell’Uomo Qualunque, con programma : “Eliminare gli abusi e le sopraffazioni dello Stato sui cittadini”. Partito di un certo successo, il quale spari pero’ alla morte del suo fondatore, Giannini, senza riuscire a raggiungere l’obiettivo.
Essendosi fiaccata, negli ultimi decenni, la forza o la presenza degli antivirus istituzionali, i”tornaconti di parte” degli uomini di alcune istituzioni sono divenuti più visibili. Iniziano ad apparire alla luce del giorno i dissapori fra VIPs della società o delle istituzioni, che si accapigliano per prendere il controllo delle risorse o strutture. Intanto molteplici sprechi (da cattiva gestione, da lottizzazioni, da scelte di managers non professionali) sono in aumento, senza che a nessuno venga in mente di eliminarli (forse perché alcuni sono rendite di posizioni personali ?). Appaiono, in questo secolo, allarmi della Corte dei Conti, relativi agli effetti sul bilancio nazionale della inadeguata lotta alla corruzione e dell’assenza delle riforme istituzionali, pur dichiarate necessarie ormai da un lustro.
Intanto, mentre la Corte dei Conti, probabilmente la sola, fa denunce, tanti politici, formati alla scuola della Commedia dell’Arte Politica, si danno da fare con frequenti belle dichiarazioni pubbliche, discussioni parlamentari senza risultati, litigi troppo frequenti dentro o fuori il parlamento. Litigi che sono talora inframezzati da auspici del tipo “da domani più rispetto per l’avversario” o “dobbiamo lavorare per il Paese” ….. E tanti auspici degli ultimi anni, tali sono rimasti, a lungo. Fra gli auspici, da notare quelli frequenti del Capo dello Stato, il quale fa quel che puo’ : dice alcune verità, cosa apprezzatissima dai cittadini, ormai tanto stanchi degli scenari inventati o deformati dai politici…. Ormai pare che, essendo molto aumentata la sfiducia nelle istituzioni, l’ultimo baluardo solido rimanente è la fiducia nel Capo dello Stato, diffusissima. Ma santo Napolitano potrà fare il miracolo ?
I motivi delle evoluzioni negative del Paese sono tanti, ma non se ne vuol discutere. Chi è più è portato alla riflessione, rispetto a chi vive nel Bel Paese, li puo’ raccontare con la sensibilità di espatriato, avendo fatto per tanti anni paragoni con l’Europa occidentale.
I ministri della P.I., dall’unificazione del regno d’Italia a oggi, non hanno mai capito che la famosa frase “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani” indicava la necessità di un’azione educativa determinata, continua, seria (non all’italiana) e ben organizzata.Dopo l’Unità, bisognava, era evidente a persone di buon senso, educare, strutturare una società, chiarendo i diritti e doveri dei cittadini e dello stato, cioé un Patto Sociale. Per più di un secolo cio’ non si è fatto. E nel nuovo Regno d’Italia si continuo’ a gestire la cosa pubblica come prima dell’Unificazione, mediando fra i tanti interessi di parte, legati spesso a poteri nascosti o espressione degli ex staterelli unificati. Clans e principati han continuato ad agire singolarmente, quando lo hanno ritenuto utile o possibile. E’ vero che, all’inizio delle evoluzioni, l’ autorità del re limitava in qualche modo le dispute fra consorterie e ghenghe nascoste. E vero che, fino a dieci anni fa, i clans agivano nell’ombra, in quanto il doppio scenario ed il doppio linguaggio diffusi nelle istituzioni permettevano di far finta di gestire un “popolo unico”, di proteggere i suoi interessi nazionali. Mi chiedo se non siamo divenuti ….. l’ esempio europeo del doppio scenario ? E se siamo degli europei, in termini di mentalità e capacità gestionali ?
Negli ultimi quindici anni l’attivismo dei poteri nascosti, insieme alla globalizzazione, ha fatto saltare il coperchio del calderone, ove erano e mescolati e in ebollizione i tornaconti di parte. I quali divengono ora più visibili e sembrano in aumento a causa del problema sociale non risolto..
Una seconda tendenza negativa : pur vivendo in Europa, gli abitanti dello Stivale non sembrano aver grande interesse per l’organizzazione e qualche altro strumento o valore che è necessario per gestire un Paese. Come la chiarezza, la coerenza, l’efficienza, la correttezza e l’onestà, il rigore, la responsabilità, il realismo, il valore, il merito che genera impegno, applicati alla vita sociale. Cioé i valori positivi, conditi da bastoni e da carote. Quei pochi che c’erano trent’anni fa sono stati spazzati via da politici senza scrupoli, ma non solo da loro…. Non è chiaro agli Italiani perché questo sia avvenuto. Forse perché il serpente corruzione viaggia un po’ troppo veloce ? Forse perché gli Italiani, leggermente distratti dal calcio e da spettacolini TV insulsi ma con belle cosce, non vedono cosa succede nella società ? (Barzini lo disse : “Gli Italiani danno un’occhiata rapida …. ; e credono di aver capito !). Forse per i troppi mesi di calura ? I veri motivi si vedono dall’Europa…. Ma sta di fatto che, oggi, gli Italiani accettano qualsiasi sopraffazione dal potere, senza protestare. E intanto, gli SPRECHI aumentano, esponenzialmente…., e gli Italiani restano sonnambuli !
In sintesi, dopo la grande avventura (l’Unificazione,1861), alle promesse fatte non furono accoppiati gli strumenti necessari per mantenerle. Cosi la nascita di una (si disse) “nazione” inauguro’ la tradizione politica del promettere, ma non realizzare. Non fu creato un Patto Sociale funzionante, pieno di chiarezza e di certezze, che fissasse i doveri dello stato e indicasse ai cittadini diritti e doveri. Fu pero’ subito definita la struttura del fisco per tassare le nuove popolazioni, evitando di scoprire che la popolazione del Sud – troppo ignorante – andava educata da esperti di pedagogie per popoli arretrati. Il Sud si è vendicato un secolo dopo, inviando la mentalità mafiosa nel Piemonte-Sardegna e Lombardo-Veneto…….( i cui cittadini fino a sessant’ anni fa disprezzavano i meridionali per la loro mentalità).
Ormai si è diffusa, in troppe regioni , la vita sociale doppia. Una finta società nazionale da una parte (la sceneggiata), ma anche dall’altra le associazioni esprimenti i tornaconti nascosti nell’ombra, le quali lavorano come termiti. Abbiamo tante termiti che non esitano, per tornaconti di parte, a mangiare la carne (le risorse) dello Stato. Quanto durerà questo disfacimento dello Stato ?
Any way out ? La via d’uscita esiste, ma è una strada molto stretta. Sapranno gli Italiani, che si muovono in un pantano di interessi e tornaconti di parte, che non hanno il senso dello Stato, identificarla in maniera sicura ?
Completare l’Incompiuta Unità : è urgente
L’ unica reale possibilità di avere un futuro, comincerà da una riflessione seria (immune da interessi delle parti politiche) sulla realtà effettiva, quella che non è stata detta, ma si conosce. Espatriati qualificati e di buona volontà potrebbero testimoniare quali sono i GAPs del sistema Italia verso le condizioni di sviluppo possibile, anche perché sulla vita sociale grava oggi una sorta di allucinazione collettiva. Essi potrebbero mostrare cosa é un patto sociale, come si costruisce una “società della fiducia”, come si inventano i bastoni e le carote, quali sono gli strumenti necessari a gestire correttamente un Paese : si tratta della via maestra che permetterebbe un giorno, se sforzi e metodi adeguati saranno usati, la buona gestione del Paese e il ripartire dello sviluppo economico.
Costruire una “società della fiducia” ? Essenzialmente si tratta di decidere : “Abbandoniamo lo scenario di cittadini e stato che si ignorano, talora sono nemici ; educhiamo e strutturiamo il Paese in modo da ottenere uno scenario di collaborazione positiva tra Stato (con la “S” maiuscola) e Paese”, ove tutto divenga chiaro. Che è poi l’unico scenario compatibile con un’economia in crescita……, in quanto renderebbe impegnatiper il progresso ed efficienti tanti cittadini scettici e svogliati.
Ecco l’unico modo realista per finalizzare l’Unità Incompiuta. Il collante per gli Italiani (definiti “pecore anarchiche” da Prezzolini) ) dovrebbe essere l’Educazione (che è un complemento dell’istruzione). Un tale processo, necessario, urgente, permetterebbe agli Italiani – oggi non troppo Europei – di mettersi i pantaloni lunghi !
Antonio Greco
angremi@orange.fr
Grazie, dott. Greco, ma i commenti dovrebbero essere più brevi. Rino Tripodi, direttore responsabile