Nella sua frizzante e affabulatoria raccolta di racconti “Diorama” (Splēn edizioni), lo scrittore umbro è spesso in aperta polemica con l’establishment di scrittori, editori, critici, lettori italiani…
LucidaMente aveva avuto il piacere di ospitare nel n. 80 (agosto 2012) il racconto inedito Sevdalinka di Sergio Sozi (vedi «Vado a cercare il dio ignoto»). Ed è proprio tale racconto ad aprire la nuova raccolta del narratore cinquantenne (nato a Roma, a lungo vissuto in Umbria, ora residente in Slovenia), composta, in totale, da 13 “pezzi”, scritti in diversi momenti e per varie occasioni. Il titolo complessivo della pubblicazione, uscita da poche settimane, è Diorama (Splēn edizioni, 2015, pp. 144, € 14,00).
Si tratta di una narrativa colta e raffinata, fondata su tre caratteristiche essenziali, che ben si combinano tra loro. La prima è un linguaggio creativo, vivace, brillante, che si muove tra vari registri, magari popolari («pischellata»; «sgarrupato»), ma più spesso teso a produrre neologismi, dal sapore gaddiano, a volte fondati sull’unione di due parole («maritomamma»; «melanocrinita»; «piccoloborghesemente»; «placidirrequieta»; «spiritualmondano») o sull’aperta ludicità, come «cosmonullificazione»; «Sceicspir»; la «profumuzza (profumo più puzza)». E il racconto Suppergiù oggi è tutto fondato sul divertissement linguistico, caratterizzato in alcune pagine da espressioni volutamente antiquate, gonfie, retoriche, frondose. La seconda particolarità dei racconti di Sozi è il loro tono beffardo, irriverente, trasgressivo; nell’insieme, un umorismo che, peraltro, non sempre è gioioso, ma talora venato di tristezza. Uno sghignazzo che ricorda quello di Aldo Palazzeschi.
Sicché i personaggi sono strampalati, bizzarri, sgangherati, attraversati da una vena di follia amarallegra (sia consentito anche a noi inventare una parola composta). Il terzo carattere di Diorama è costituito dal fatto che le vicende narrate sono surreali, oniriche, stralunate, fuori da un’ambientazione verosimile, quindi inattese, fondate sull’abbinamento di contesti che razionalmente non potrebbero essere accostati. E, se vogliamo continuare il gioco degli antecedenti di Sozi, ci vengono in mente Massimo Bontempelli, Tommaso Landolfi e Alberto Savinio. Nell’insieme, le tre peculiarità producono un’affabulazione vorticosa e trascinante per il lettore.
La tematica centrale di buona parte dei racconti è l’aperta polemica verso l’attuale letteratura italiana, per come oggi si è ridotta, col suo establishment di editori, autori, critici, lettori. Ad esempio, in Don Chisciotte è diverso, pungente è il quadro che l’autore offre del mondo letterario. Per non dire della totale iconoclastia de L’ultimo giro: si leggano, alle pp. 78-79 di tale racconto, le otto motivazioni del perché «la Letteratura fa ulteriormente schifo». In sintesi, l’ignoranza da parte degli scrittori proprio della lingua e della grammatica italiana e l’assurdità delle politiche editoriali, fino alle “pubblicazioni a pagamento”. Insomma, una letteratura, quella di Sozi, che parla proprio di letteratura, affrontando un discorso serio, per non dire drammatico, con toni canzonatori quanto sarcastici. Una scrittura ricercata, che ama la bellezza delle parole e dello stile e che si trova a disagio nell’attuale degrado.
Ma, dopo tutto quello che abbiamo scritto, non si pensi che la narrativa di Sozi sia del tutto lontana dalla realtà sociale odierna. Sozi denuncia molti terribili aspetti del mondo, della società e dei tempi che viviamo, dalla tragedia dell’emigrazione alla completa alienazione dell’uomo. E, chi ne volesse avere una prova, legga Buio in sala: acre, lucidissimo “diorama” del passato e del presente (e del perché siamo arrivati agli orrori e agli sfaceli contemporanei). E speriamo che Sozi non sia stato buon profeta anche del futuro prefigurato nel proprio racconto-rappresentazione teatrale.
Le immagini: la copertina di Diorama e il suo autore.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 117, settembre 2015)