Nel saggio “Sesto potere” (Laterza) Zygmunt Bauman e David Lyon denunciano i nuovi strumenti telematici che caratterizzano la «modernità liquida». Un pericolo alle libertà democratiche, auspicando forme di resistenza non violenta in difesa dei diritti civili
Nel romanzo 1984 (Mondadori) – pubblicato da George Orwell nel 1949 – viene tratteggiata una società totalitaria, nella quale l’enigmatico Big Brother controlla capillarmente la popolazione dell’Oceania grazie alla “psicopolizia”, una sorta di servizio segreto che monitora incessantemente la vita dei sudditi, ne spia le azioni e ne intuisce le emozioni grazie a un complesso sistema di telecamere e microfoni (vedi anche Telecamere ovunque: più sicurezza o meno libertà?).
L’inquietante distopia orwelliana si è in parte avverata nel primo ventennio del XXI secolo, quando l’enorme sviluppo dell’elettronica ha permesso di implementare nuovi strumenti di controllo assai efficienti. Grazie ad algoritmi, droni, microspie, trojan e telecamere, infatti, oggi è possibile non solo sorvegliare la vita delle persone, ma anche conoscerne i moti dell’animo. Nell’Università del Vermont si è giunti persino a costruire l’“edonometro”, un sistema informatizzato che analizza milioni di tweet giornalieri «per valutare la nostra felicità e la nostra disperazione» ed «effettuare una lettura rapida dell’umore dell’opinione pubblica» (vedi Dana Mackenzie, Gli algoritmi che spiano il nostro umore, in www.internazionale.it). Gli strumenti di sorveglianza servono per usi molteplici: profilare i consumatori per proporre offerte commerciali personalizzate; rubare i dati sensibili e rivenderli nel dark web; spiare i nemici politici o gli alleati di cui ci si fida poco (vedi Datagate, cos’è e com’è cominciato in www.internazionale.it); condizionare gli elettori attraverso una propaganda mirata che spesso fa ricorso alle fake news.
Dopo l’esplosione della pandemia di Covid-19, la vigilanza sociale si è ulteriormente rafforzata ed estesa in tutti gli stati del mondo. L’urgenza di contenere i contagi, infatti, ha imposto l’approvazione di norme emergenziali che, oltre a intensificare i controlli, hanno prodotto anche nuove forme di discriminazione sociale. In Italia, ad esempio, l’obbligo del green pass per l’accesso in tanti luoghi pubblici sta penalizzando coloro che non ritengono opportuno o non possono vaccinarsi – ma per assurdo anche chi si è immunizzato con un siero non approvato dall’Ema (vedi Sei vaccinato con lo Sputnik? Niente Green Pass. Il pasticcio di San Marino, in https://bologna.repubblica.it) – e sta sollevando critiche serrate anche in ambienti assai distanti dai no vax (vedi Wu Ming, Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi / Prima puntata, in www.wumingfoundation.com; Appello di un gruppo di docenti contro il Green Pass: discriminatorio, in www.lapressa.it).
Il tema della sorveglianza nella società globalizzata è stato oggetto di un’interessante riflessione da parte dei sociologhi Zygmunt Bauman e David Lyon, che nel 2013 hanno pubblicato il saggio Liquid Surveillance. A Conversation (Polity Press), tradotto nel 2014 in italiano da Marco Cupellaro col titolo Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida (Laterza, € 11,00, pp. 162). Bauman – pensatore inglese di origine polacca, morto nel 2017 – è noto soprattutto per aver elaborato il concetto di «modernità liquida» e aver scritto numerosi best-seller come Il disagio della postmodernità (Laterza) e Modernità liquida (Laterza). Lyon – studioso scozzese che insegna presso la Queen’s University di Kingston in Canada – ha scritto vari saggi sulla sorveglianza, tra i quali ricordiamo Massima sicurezza (Raffaello Cortina) e La cultura della sorveglianza (Luiss University Press). Sesto potere è un libro strutturato in forma dialogica, nel quale i due autori si confrontano sugli aspetti più inquietanti della sorveglianza nel mondo odierno e denunciano i pericoli in essa insiti.
Lyon – nell’Introduzione – ricorda come la prima teoria sull’utilità della vigilanza sociale risalga al filosofo inglese Jeremy Bentham che nel 1791 progettò il panopticon, un carcere innovativo costruito in modo da «facilitare il controllo attraverso una disposizione a semicerchio dei blocchi di celle, per consentire all’“ispettore”, situato al centro e celato dietro uno schermo, di guardare in ogni cella rimanendo invisibile ai detenuti». Secondo i filosofi francesi Gilles Deleuze e Michel Foucault, il progetto panottico fu poi preso a modello dalle classi dirigenti del Novecento per edificare la «società del controllo», fondata sulla rigida disciplina e sulla sorveglianza costante, che vennero applicate in tutti gli ambiti della vita sociale (fabbriche, ospedali, scuole, ecc.).
Bauman, tuttavia, si discosta da queste tesi, poiché è convinto che «il mondo di oggi […] è post panottico». Nella «modernità liquida» iperconsumista, infatti, chi comanda non ha più bisogno di edificare costose strutture centralizzate di sorveglianza, ma esercita il “sesto potere”, cioè il controllo tramite web di milioni di individui «adiaforizzati» – ossia apatici e moralmente indifferenti – in cerca di visibilità, che mettono spontaneamente a disposizione sui social network miriadi di informazioni personali. Nel mondo globalizzato «il vecchio incubo panottico di “non essere mai soli” ha ceduto il posto alla speranza di “non essere mai più soli”», cosicché «la gioia di essere notati ha la meglio sulla paura di essere svelati». All’inizio del Nuovo Millennio, quindi, si è assistito al trionfo di quella «società dello spettacolo» già preconizzata negli anni Sessanta dello scorso secolo dal filosofo francese Guy Debord (vedi Fabrizio Cerroni, Guy Debord, in www.filosofico.net).
I due autori concordano sulla necessità di porre un freno alla vigilanza maniacale che mette a repentaglio le libertà democratiche. Bauman in particolare – nell’ultimo capitolo del libro intitolato Slancio d’azione e speranza – sostiene che «gli esseri umani sono una specie endemicamente trasgressiva» e si dichiara certo che ci saranno sempre gruppi di cittadini – dotati di forte senso morale – pronti a resistere «ostinatamente e con enormi costi personali» in difesa dei diritti civili. Il filosofo anglo-polacco, tuttavia, auspica che le proteste avvengano sempre in forma pacifica e nel rispetto delle regole democratiche, facendo proprie le parole dello storico britannico Tony Judt, a nostro avviso molto assennate: «Miglioramenti graduali rispetto a circostanze insoddisfacenti sono il massimo che possiamo sperare e probabilmente tutto quello che vale la pena di perseguire».
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Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XVI, n. 190, ottobre 2021)