È senz’altro una “liberazione” per gli amanti della musica di Fryderyk Franciszek Chopin e per coloro i quali ammirano profondamente l’arte pianistica di Maurizio Pollini l’ultima registrazione del maestro milanese dei Nocturnes del compositore polacco, uscita negli ultimi mesi del 2005 per la celebre Deutsche Grammophon.
Due compact disc in cui sono raccolti i diciannove Notturni “istituzionali”, con l’omissione dei due giovanili e altrettanto celebri, rispettivamente in do minore e in do diesis minore.
Pollini preferisce – come ben spiega nel libretto di presentazione Carsten Dürer – seguire un rigoroso criterio evolutivo, che dai tre Notturni op. 9 conduce sino alla complessa e quasi già espressionistica intelaiatura armonica dei due brani dell’op. 62, aggiungendo pure, a compimento della raccolta, uno dei primi Notturni scritti da Chopin, quello in mi minore uscito postumo con l’indicazione di op. 72.
Un progetto lungamente atteso – Si attendeva con trepidazione questa incisione, che segna sicuramente un passaggio obbligato, dato che Pollini da tempo, oltre al progetto di esecuzione su disco delle trentadue sonate beethoveniane, registra l’opera di Chopin – si ricorderà la recente comparsa, sempre per la casa discografica tedesca, delle quattro Ballate, accompagnate dalla Fantasia op. 49 e dal Preludio op. 45. E, inoltre, il giovane Pollini era balzato sulla scena pianistica proprio con la vittoria, appena diciottenne, del concorso Chopin di Varsavia, dove aveva appunto eseguito, come prova obbligatoria, alcuni Notturni, con la benedizione finale di Arthur Rubinstein, ad annunciare che era nato un grande talento. Poi, durante la sua carriera, Pollini ha più volte eseguito, anche negli ultimi tempi, i Notturni, arrivando a questa incisione dopo un processo di maturazione durato anni.
Quando la musica diventa poesia – Cominciamo subito col dire che è una prova, questa del pianista milanese, che entra subito nella storia delle grandi interpretazioni. E quindi è giusto ed è lecito, se non indispensabile, operare un raffronto dialettico con i grandi interpreti chopiniani, da Alfred Cortot fino a Vladimir Ashkenazy, passando per il già citato Rubinstein e Daniel Barenboim. Pollini preferisce dimostrarci sin da subito che siamo di fronte ad un compositore che non si può riassumere come icona del romanticismo sognante, che non ha la perentorietà drammatica e romanticamente perfetta di uno Schumann, e che non può essere identificato come musicista da salotto parigino. Di Chopin Pollini mostra, quasi sulla linea di Rubinstein, la grande perizia armonica, la ricerca quasi ossessiva della perfezione timbrica, ma pure la virilità, la forza interiore, la riscossione della ragione all’inganno del sogno. Il pianista milanese esegue allora il primo Notturno – uno dei bis da sala da concerto – non cedendo alla tentazione di rallentare le prime sei crome d’apertura, come molti interpreti fanno (si ascolti, ad esempio, Ashkenazy), ma galoppando spedito verso la fine, eppure aprendoci squarci di grande poesia, come quando emerge la forma tripartita del brano a sancire il ritorno del tema di apertura.
Un’esecuzione minuziosa – C’è un’attenzione strutturale, certo, ma anche uno studio del colore e dell’espressione, un doveroso e sempre presente rispetto del testo scritto che rendono equilibrata la scelta interpretativa di Pollini. Ed è forse proprio in questa incisione che di più apprezziamo la decisione del pianista milanese di aderire alla partitura quasi eclissandosi come interprete, lasciando all’ascoltatore solo il piacere della musica e dell’esperienza estetica. A dispetto di altri interpreti, Pollini non si abbandona alla sua interpretazione, ma cerca di offrirci il più possibile un’esecuzione coerente e studiata nei minimi particolari. Uno Chopin che si mostra pure irruente alcune volte, come nel mezzo del Notturno op. 27 n. 1, quando l’incessante tormento esplode in una di quelle danze di passaggio che tanto ricordano l’esperienza sempre viva delle Mazurche e delle Polacche.
Il ruolo rivoluzionario di Chopin – Sempre costante è, difatti, nell’esecuzione di Pollini l’attenzione alla scrittura ritmica. Ma, soprattutto, lo svelarsi del tessuto armonico, costruito con una sapienza e con uno sperimentalismo timbrico e strutturale dal compositore polacco, che poco importante apparirebbe in un’esecuzione tesa solo a dimostrare il carattere appunto notturno – e fieldiano – di queste composizioni. Pollini, invece, ci fa quasi comprendere che i Notturni di Chopin contengono ognuno una storia, un mondo, una costruzione intellettuale, un proprio significato: da qui la scelta di farli reagire l’uno con l’altro, quasi dialetticamente. La sintesi che ne esce è quella di un grande compositore, cui spetta un ruolo nella storia della musica per certi aspetti rivoluzionario (cosa sarebbero Alexander Scriabin, Sergei Rachmaninov e Maurice Ravel senza Chopin?), e quella di un interprete ormai consacrato come uno dei più grandi pianisti al mondo.
L’immagine: la copertina dei due cd incisi da Maurizio Pollini.
Marco Gatto
(LucidaMente, anno I, n. 11, novembre 2006)