È questo il motto del dojo più famoso nella storia cinematografica del karate, ora ripreso in un sequel di Netflix. E il 20 ottobre William Zabka, “il biondo cattivo”, compie 53 anni
Dal 1984, anno della sua nascita, la celeberrima saga di Karate Kid non ha mai smesso di raccogliere numerosi fans. Infatti, le appassionanti avventure di Daniel LaRusso e la sua rivalità con Johnny Lawrence non deludono neppure all’ennesima visione. Due ruoli così impattanti sullo schermo che hanno segnato in maniera indelebile non solo il pubblico, ma persino i loro interpreti.
Tant’è vero che, se dicessimo “il 20 ottobre William Zabka compie 53 anni”, in molti non saprebbero associare il nome dell’attore al suo effettivo aspetto. Se, però, precisassimo “Johnny di Karate Kid”, aggiungendoci l’epiteto “il biondo cattivo”, il suo viso salterebbe immediatamente in mente ai più. È proprio lui, il nostro festeggiato del mese, a essere il protagonista di un “recente affare” di Netflix. Si tratta della serie intitolata, appunto, Cobra Kai. Al momento essa prevede due stagioni, entrambe composte da dieci episodi, i quali a loro volta durano circa trenta minuti ciascuno. Una formula efficace creata nel 2018 da Josh Heald, Jon Hurwitz e Hayden Schlossberg per YouTube Premium e solo successivamente acquistata dall’altro colosso di streaming precedentemente nominato. Come si è potuto facilmente dedurre, si tratta, quindi, di un sequel delle pellicole di John Guilbert Avildsen, che riprendono le vite degli ormai ex campioni trentaquattro anni dopo la prima vittoria di Daniel su Johnny.
Di quest’ultimo gli spettatori avranno la possibilità di scoprire diversi aspetti; ad esempio, il suo lato umano e le ragioni che da adolescente lo portarono ad affidarsi a John Kreese. Due elementi in cui la massima del maestro Miyagi (Pat Morita, Isleton, 28 giugno 1932 – Las Vegas, 24 novembre 2005) trova assoluta conferma: «Non esistono cattivi allievi, ma solo cattivi maestri». A proposito di maestri, la trama si sviluppa, guarda caso, sulla riaccesa competizione tra LaRusso e Lawrence, proprio nelle vesti di sensei. Il primo è al vertice del successo imprenditoriale e predica l’equilibrio interiore insieme all’uso della forza solo a scopo difensivo. Il secondo, viceversa, si trova sull’orlo dell’oblio, colleziona fallimenti sia lavorativi sia famigliari e cerca nella rabbia il motore propulsore per reagire alle sconfitte della vita.
Fin qui tutto pare in linea coi film degli anni Ottanta in cui la marcata contrapposizione tra bene e male risultava stereotipata e fissa. Invece, la novità consiste nell’adottare una prospettiva diversa volta a illuminare anche il “lato oscuro” dei personaggi e a cambiare la chiave di lettura generale, mantenendo, però, vivo il dialogo tra presente e passato. Viene, perciò, portato in scena un Daniel che combatte contro sentimenti rancorosi e un Johnny che, nonostante le proprie fragilità, vuole riscattarsi. Un percorso di redenzione, per accettare i propri errori e guardare avanti, che parte proprio con la riapertura del dojo. Lo scopo è quello d’insegnare ai propri studenti come reagire di fronte alle ingiustizie, ma non solo.
Il distacco tra il precedente Cobra Kai di Kreese e quello ripristinato dal ruolo di Zabka sta nel trasmettere ai ragazzi e alle ragazze che l’importante non è la mera vittoria ottenuta con ogni mezzo non mostrando pietà, bensì il conseguimento di essa con onore. Una versione de «la sconfitta non esiste in questo dojo» volta di più al non perdere la propria integrità, cercando sempre di crescere e rialzarsi a ogni colpo infierito dalla vita. Insomma, è la stessa ricerca della balance che predicano al Miyagi-do. Infatti, sembra proprio che i due allenatori abbiano il medesimo obiettivo, ma per conseguirlo è ovvio che partano da vie opposte. Sono complementari e la conferma di ciò si trova in un altro personaggio della serie: Robbie, figlio di Johnny, ma al tempo stesso allievo di Daniel.
Le immagini: William Zabka nel ruolo di Johnny Lawrence; Lawrence e LaRusso in una scena della serie; la locandina e lo stemma del Cobra Kai.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 178, ottobre 2020)
Tutto ritorna dagli anni 80, e come ritornano i sequel, alcuni riuscitissimi (vedi “Blade Runner 2049”) o i prequel o i reboot, tornano anche opere di un certo spessore e “Cobra Kai” lo è. Recuperare la trilogia originale e vedere la seconda stagione di questo nuovo prodotto con gli occhi di quello che eravamo nel 1984 non è un male, anzi forse ci aiuterebbe a sognare di più.