Denuncia di varie organizzazioni umanitarie sulla tragedia che si consuma ogni giorno ai confini dell’Europa
È scattato il blocco su tutti i punti d’imbarco dei profughi dalla Turchia verso la Grecia. Solo nella giornata di lunedì 30 novembre, 752 rifugiati e richiedenti asilo siriani, afghani, iracheni e iraniani, mentre tentavano di raggiungere l’isola di Lesbo, sono stati fermati e arrestati dalla Marina turca, al largo delle coste di Çanakkale. C’è stata anche una vittima: un profugo è annegato in circostanze non chiarite dalla Guardia costiera.
Già all’indomani dell’entrata in vigore del patto tra l’Unione europea e la Turchia, firmato domenica 29 novembre, si riscontrano i dolorosi e illegali effetti di questa ennesima chiusura voluta dall’Europa nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo: si è attuato un respingimento di massa indiscriminato, che rischia di moltiplicare il numero delle vittime di un’autentica catastrofe umanitaria, arrivate a 3.783 dal primo gennaio 2015 ad oggi. L’intesa con Ankara conferma la politica di esternalizzazione dei confini che l’Unione e i suoi stati membri perseguono da anni, come dimostrano nel tempo i numerosi patti bilaterali tra singoli governi europei e Stati della sponda africana del Mediterraneo (a cominciare da quello tra Italia e Libia), il Processo di Rabat (2006) e il Processo di Khartoum (2014).
Gli accordi di Malta siglati l’11 novembre di quest’anno sono il completamento di questo processo, che consiste nel “pagare” a Stati terzi il compito di bloccare i migranti: 3 miliardi di euro alla Turchia nell’arco di un anno e 3,6 (in due tranche) a vari Stati africani, in cambio del lavoro sporco di arginare l’arrivo dei profughi lontano dalle frontiere europee: la tecnica tipica della desaparición applicata a suo tempo dalle dittature argentina e cilena in Sud America. Queste scelte coinvolgono, in Africa, dittature feroci come quelle di Abdel Fattah al-Sisi in Egitto, Omar Hasan Ahmad al-Bashīr in Sudan e Isaias Afewerki in Eritrea e, in Medio Oriente, uno Stato dalla politica estera quanto meno equivoca come la Turchia, accusata di intese sottobanco con l’Isis, proprio quello stato islamico da cui fuggono migliaia e migliaia di profughi e combattuto dalle milizie curde contro le quali si schiera il regime di Recep Tayyip Erdoğan.
Si prospetta alla Turchia una sorta di “facilitazione” per l’ingresso nell’Unione europea, al posto di un percorso che ponga come primo passaggio il superamento delle violazioni dei diritti umani nel paese. Quei diritti umani che ora vengono negati a rifugiati e richiedenti asilo su mandato della stessa Unione europea. Di questo, infatti, si tratta: ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di violazione dei diritti umani, che avviene proprio mentre la Corte di Strasburgo, su denuncia di 139 ong e associazioni umanitarie, ha aperto un procedimento contro il Governo di Madrid per le espulsioni sommarie avvenute a più riprese alla frontiera spagnola delle enclave di Ceuta e Melilla in Marocco.
Alla luce di tutto questo, chiediamo che le procedure illegali di blocco in Turchia vengano immediatamente annullate, che non si adottino provvedimenti analoghi in Africa e che, come stabilisce il diritto internazionale, vengano esaminate caso per caso le singole posizioni dei richiedenti asilo e dei profughi che si presentano ai confini europei. Rinnoviamo altresì la richiesta di istituire corridoi umanitari e canali di immigrazione legali dal Medio Oriente e dall’Africa verso l’Europa.
Roma, 1 dicembre 2015
Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos Agenzia Habeshia(a cura di Nicola Marzo)
(LucidaMente, anno X, n. 120, dicembre 2015)