Personaggi e paesaggi cupi e straniati nella raccolta di racconti “Bolognesi per caso” (Giraldi Editore) di Massimo Fagnoni
«Il cielo era talmente chiuso nel suo colore acciaio che sembrava dovesse cadere a terra e schiacciare tutte le auto in fila verso casa». È una Bologna noir dai colori spenti, dai personaggi infelici e problematici, quella che fa da sfondo alla raccolta di racconti Bolognesi per caso (Giraldi Editore, pp. 208, € 12,00) di Massimo Fagnoni, uno scrittore che abbiamo già più volte recensito (vedi L’assassino? La tv spazzatura!; Una Bologna borghese e sottoproletaria nel nuovo giallo di Massimo Fagnoni; Il noir ai tempi della crisi).
La pubblicazione si compone di 21 storie, alcune brevi o brevissime. Di uno dei racconti, Primavera, prevalentemente descrittivo, avevamo offerto un’anticipazione (Com’è triste Bologna…). Al di là della nostra predilezione per la forma-racconto, che spesso consente, in poche pagine, maggiore creatività rispetto al romanzo, Bolognesi per caso appare come uno di libri più riusciti di Fagnoni, sia per le soluzioni narrative, sia per quelle stilistiche. In esso si dipanano soprattutto vicende di personaggi dalle vite solitarie, dai caratteri borderline, maligni o, al contrario, oppressi da violenti e prepotenti (Nessun dolore; Cane di paglia; Il sordo; Colpo di Fulmine; La libertà). Essi, però, possono talvolta trovare il proprio riscatto in momentanee, precarie, epifaniche circostanze. E taluni loro odiosi persecutori saranno puniti in modo feroce, per la gioia del lettore. Certi racconti incentrati su tali psicologie richiamano antecedenti nobilissimi: L’uccello del malaugurio ricorda La patente di Luigi Pirandello; Lo spirito del Natale rievoca Il canto di Natale di Charles Dickens.
Alcuni dei testi, più che narrativi, sono esistenziali e psicologici, senza svolte negli avvenimenti, a volte con un “io narrante” che permette a Fagnoni, come in molti suoi romanzi, di formulare riflessioni critiche sulla realtà e sulla società odierna, pur senza nostalgia del passato. Ricordi, crolli epocali e interiori, come in Ero comunista, o il rifiuto del presente tecnologico: «sono solo, come sempre circondato da persone che velocissime si scambiano messaggi, si inviano immagini, musica, video porno, giochini […], in linea di massima perdono tempo, si alienano, il guaio è che lo fanno a ritmo continuo» (Chissà i ragazzi). Molto delicato e intimista è Una splendida Aurora.
Anche una rimpatriata, una cena di vecchi compagni di classe, (Tornando a casa) diviene l’occasione per un bilancio della propria vita, anche se, nel suo proseguimento, la vicenda evolve verso un tragico incontro pulp. Le famiglie e i rapporti di coppia sono spesso rappresentati come irrealizzati, frustranti, tirannici (Frammenti di coppia ne è un bel catalogo…). I giovani e gli studenti (vedi Piazza Verdi) sono viziati, vuoti o violenti, comunque non portatori di valori nuovi e positivi. Al Pronto soccorso s’incrociano le vite e i pensieri di vari personaggi, con le loro ambasce. A fare da sfondo a tutto paesaggi cupi e malinconici, squallide periferie o begli scorci del centro cittadino degradato, o proprio nonluoghi, come i centri commerciali. Eh, sì: un torbido cielo grava su Bologna.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 129, settembre 2016)