Le scienze biologiche hanno da tempo accantonato l’idea che in natura esistano “fini” predeterminati, elaborando in forma più articolata e sofisticata la teoria evoluzionistica a suo tempo proposta da Charles Darwin, secondo l’impostazione che il biologo e genetista Edoardo Boncinelli ha recentemente definito “neodarwinismo contemporaneo” (cfr. Perché non possiamo non dirci darwinisti, Rizzoli). In contrasto con le tesi creazioniste e contro l’ipotesi, meramente metafisica, dell’esistenza in natura di un Intelligent Design, i neodarwinisti sostengono che le specie esistenti non sono state create da un’entità trascendente né rappresentano il punto di approdo di un processo teleologico insito nella materia, bensì sono il risultato di eventi casuali e di mutazioni spontanee insorte nelle imperfette forme naturali.
Tra gli esponenti italiani di spicco di questa corrente di pensiero ricordiamo, oltre allo stesso Boncinelli, il matematico Piergiorgio Odifreddi e l’epistemologo Telmo Pievani, autori, rispettivamente, dei saggi In principio era Darwin (Longanesi) e La teoria dell’evoluzione (Feltrinelli).
Le proprietà degli esseri viventi – Uno degli studiosi che ha aperto la strada alla prospettiva neodarwinista è stato il biologo francese Jacques Lucien Monod (1910-1976), premio Nobel per la Medicina nel 1965, il quale nel 1970 ha pubblicato il saggio Le hasard et la nécessité, tradotto in Italia col titolo Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea (Mondadori), la cui lettura risulta ancora estremamente istruttiva e di grande attualità. Monod ha riformulato la teoria dell’evoluzione secondo un impianto rigorosamente riduzionistico e meccanicistico, partendo dal presupposto che gli esseri viventi sono in realtà delle macchine complesse, le quali funzionano e si riproducono sulla base di tre proprietà fondamentali: “teleonomia, morfogenesi autonoma, invarianza riproduttiva”. La prima qualità consiste nella “trasmissione, da una generazione all’altra, del contenuto di invarianza caratteristico della specie”; la seconda va intesa come un meccanismo che “interviene sia nella riproduzione dell’informazione invariante, sia nella costruzione delle strutture teleonomiche”; la terza si esprime nella “quantità di informazione che, trasmessa da una generazione all’altra, assicura la conservazione della norma strutturale specifica”. In altri termini, la “teleonomia” stabilisce che ogni essere vivente ha lo scopo di conservarsi e di moltiplicarsi il più possibile; la “morfogenesi autonoma” indica l’autosufficienza con cui ogni organismo si struttura e si sviluppa senza bisogno di “aiuti esterni”; l'”invarianza riproduttiva”, contenuta nel Dna, consente a ciascun individuo di conservare la propria memoria genetica e di trasmetterla alla prole.
Il caso e la necessità – Monod è convinto che i mutamenti genetici funzionali alla sopravvivenza della specie sono del tutto casuali e assolutamente imprevedibili. Una volta manifestatisi in individui che riescono a superare la selezione naturale, questi nuovi caratteri vengono trasmessi alle generazioni future: il mutamento genetico si riprodurrà necessariamente nella prole, determinando così l’evoluzione della specie. Il caso, dunque, si converte nella necessità, senza tuttavia che si possa presupporre l’esistenza di un “progetto intelligente” o di una legge evolutiva predeterminata, ma solo in virtù di un processo stocastico (cioè aleatorio, probabilistico) che mantiene le mutazioni funzionali alla sopravvivenza e le tramanda agli eredi, eliminando attraverso la selezione naturale quelle superflue o dannose. L’evoluzione, perciò, non è un processo ineluttabile, orientato verso un fine, ma prende una direzione cogente soltanto dopo che sono intervenute, per ragioni spesso aleatorie, le mutazioni di alcuni geni casualmente utili alla conservazione e alla riproduzione di una specie. La comparsa dell’uomo, in tal senso, è un evento estremamente improbabile in natura, forse unico e irripetibile nel cosmo. Ma proprio per questo motivo la specie umana va difesa e potenziata sempre più.
Contro le filosofie vitalistiche e animistiche – Monod critica le filosofie vitalistiche e animistiche che tendono a spiegare le forme di vita esistenti non sulla base di fondate asserzioni scientifiche (ossia mediante dimostrazioni oggettive), ma facendo ricorso a concezioni antropomorfiche, olistiche o teleologiche della natura che scadono inevitabilmente nella metafisica. Un esempio di filosofia vitalistica è l’evoluzionismo dai toni spiritualistici di Henri Bergson, mentre l’animismo caratterizza la filosofia biologica di Pierre Teilhard de Chardin e l’evoluzionismo di Herbert Spencer, inficiando anche il materialismo dialettico di Marx ed Engels, i quali, sotto l’influsso di Hegel, hanno proposto un’interpretazione del mondo di tipo finalistico. La moderna biologia, invece, basa le proprie convinzioni teoriche sul modello della fisica: l’organismo è una macchina che si costruisce da sé, utilizzando gli elementi chimici basilari che ne costituiscono la struttura molecolare (come gli amminoacidi, le proteine, i nucleotidi e gli acidi nucleici). In natura tutto accade attraverso un processo di trasformazione che può essere descritto obiettivamente, senza appellarsi a finalità intrinseche o a entità superiori, ma attenendosi a spiegazioni di tipo meccanicistico adeguatamente supportate da prove sperimentali (avendo, però, contezza dei limiti della scienza, che non è in grado di spiegare tutto).
L’evoluzione culturale – Una volta che la selezione delle specie ha portato alla comparsa dell’Homo sapiens sapiens qualcosa, però, è mutato nei meccanismi evolutivi. Con la comparsa del genere umano, infatti, ha avuto inizio un’evoluzione di tipo culturale che ha finito per staccare gradualmente gli uomini dalla selezione puramente naturale: «È evidente che, in seno alle società moderne, la dissociazione è totale. La selezione vi è stata soppressa. Perlomeno, non ha più nulla di “naturale” nel senso darwiniano del termine». L’intelligenza, il coraggio, la fantasia, la forza di volontà, ecc. costituiscono spesso le doti personali che, indipendentemente dalle qualità fisiche, permettono ad alcuni individui di prevalere socialmente sugli altri, senza che ciò comporti necessariamente ricadute positive sul piano della riproduzione della specie e della trasmissione dei geni. Il progresso della medicina, inoltre, ha permesso a individui affetti da malattie invalidanti, destinati a soccombere in un ipotetico “stato di natura”, di vivere abbastanza a lungo per riprodursi, modificando sostanzialmente i processi selettivi di tipo naturale. L’approdo a ciò che Monod chiama il “Regno delle idee” ha portato gli esseri umani a costruire società artificiali sempre più complesse e sempre più distaccate dalla natura, elaborando sistemi d’idee rivolti a interpretare il mondo che li circonda secondo significati molteplici, in forma ora mitica, ora razionale.
L’etica della conoscenza – La civiltà umana, secondo Monod, per un lungo lasso di tempo si è fondata prevalentemente su “ontogenie mitiche e metafisiche”, cioè su convinzioni di tipo fideistico o su concezioni filosofiche astratte e inverosimili, che poggiavano i loro presupposti teorici sull'”antica alleanza animistica”, cardine di tutte le culture prescientifiche (con qualche eccezione: ad esempio, l’atomismo di Democrito, che già nel IV secolo a.C. aveva compreso il nesso esistente fra il caso e la necessità). Le società moderne, tramite la scienza, hanno saputo invece smascherare – almeno in parte – le falsità insite nelle religioni e nelle filosofie animistiche, senza peraltro riuscire ad affrancarsene completamente. Ecco, dunque, qual è il compito che sta di fronte all’umanità che si vuole liberare definitivamente dai dogmi religiosi e dalle chimere filosofico-politiche: «L’esigenza di una revisione totale delle basi dell’etica e di una rottura radicale con la tradizione animistica, il definitivo abbandono della “antica alleanza”, la necessità di stringerne una nuova». L’uomo deve riuscire, quindi, a creare un nuovo tipo di morale, che il biologo francese definisce “etica della conoscenza”, attraverso cui valorizzare la scienza, la libertà individuale e i diritti sociali per cercare di realizzare un mondo scevro dalle prevaricazioni, dai pregiudizi, dalla miseria.
La libertà di scegliere – Dopo aver delineato i tratti di una possibile nuova forma di convivenza tra gli individui, Monod conclude Il caso e la necessità facendo appello al senso di responsabilità e di piena consapevolezza di sé che dovrebbe guidare l’umanità in un’epoca d’intenso sviluppo della conoscenza scientifica e della tecnologia: «L’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre». Considerando gli esiti cui è giunta, agli inizi del Nuovo millennio, la storia umana, queste aspettative del biologo francese ci appaiono ancora disattese: oggi, infatti, si assiste in tutto il mondo a una forte ripresa delle superstizioni religiose, dell’etica confessionale e dell’intolleranza interetnica, che male si coniugano con le istanze laiche e progressiste portate avanti dagli studiosi neodarwinisti. È chiaro, tuttavia, che solo percorrendo la strada indicata da Monod l’umanità potrà porre rimedio ai disastri finora prodotti dall’ignoranza, dall’avidità e dall’inappropriato uso della tecnica.
L’immagine: la copertina de Il caso e la necessità di Jacques Monod nell’edizione Mondadori del 2001.
Giuseppe Licandro
(Lucidamente, anno V, n. 60, dicembre 2010)