Il consumo eccessivo di medicinali non fa bene alla salute, ma serve a riempire le casse delle grandi aziende multinazionali che controllano il mercato mondiale
Tempo fa ci capitò di notare delle piccole macchie rosse sulla pelle. Consultammo, quindi, uno specialista. Alle presentazioni di rito seguì una distratta e rapida occhiata a quelle – neanche tanto – fastidiose macchie e subito l’attenzione del medico si concentrò su una lunga anamnesi, incentrata insistentemente sui medicinali da me abitualmente ingurgitati: «Quali farmaci assume?». «Nessuno», rispondemmo.
Un sorrisetto ironico si stampò sul suo viso, come per dire: «Ora ci penso io!». Il dottore iniziò così a elencare una serie di possibili cause, quindi cominciò le prescrizioni: un intero foglio di analisi e altri due di medicamenti, che comprendevano antibiotici, antinfiammatori, antistaminici, cortisonici, detergenti a pH neutro e un’infinità di pomate. Usciti dallo studio, facemmo mentalmente un rapido calcolo della spesa che ci aspettava: ad andarci bene, avremmo sborsato, tra analisi e terapie, oltre 500 euro! Pensierosi, alzammo lo sguardo, che si soffermò sull’insegna di un’erboristeria. Spinti dalla curiosità, entrammo per acquistare – a 7 euro – una boccetta di essenza di bergamotto, che in sole due applicazioni risolse il problema. È tacito che l’esperienza che abbiamo raccontato non riguarda malattie serie, ma se avessimo dato retta al “coscienzioso dottore” – a parte la spesa enorme per risolvere quel piccolo disturbo – quanto ci sarebbe costato disintossicarci dall’avvelenamento che tutti quei farmaci ci avrebbero certamente procurato?
Le industrie farmaceutiche considerano la salute umana come un investimento e detengono un potere immenso, che consente ad esse di dominare su tutto il sistema medico mondiale: controllano la sperimentazione, influenzano le pubblicazioni accademiche e condizionano le agenzie dei farmaci (che dovrebbero essere garanti della sicurezza e non tossicità dei medicinali), investendo circa 11 miliardi di dollari per pubblicizzare le medicine e indurre i dottori a ordinare quelle che esse producono. Non è un caso, quindi, che il fatturato annuo delle più importanti case farmaceutiche – che sono circa una decina – ammonti intorno a 40 miliardi di dollari pro capite!
A partire dagli anni Novanta, lo sviluppo delle tecnologie genetiche ha comportato grandi cambiamenti nel settore agroalimentare e in quello dei farmaci, con l’emergere di colossi come la Monsanto (che produce pesticidi e semenze geneticamente modificate) e la società farmaceutica Novartis. Oggi si assiste a un’ondata di fusioni tra le multinazionali dell’energia e della chimica (Chevron, Dow, DuPont, Exxon, Shell, Total) e quelle delle sementi (Adm, Bunge, Cargill, Monsanto, Weyerhaeuser). Dietro queste alleanze «ci sono le nuove imprese della biologia sintetica, come Life Technologies Inc, Amyris, Solazyme e Evolva, promosse a ruoli dominanti nei settori alimentare, dell’energia, dei medicinali e dei prodotti chimici», come spiega chiaramente l’articolo Alcuni dati sul ruolo delle multinazionali farmaceutiche, apparso su www.resistenze.org.
La sperimentazione di farmaci su cavie animali e umane non ha di fatto alcun controllo: c’è tutto un mondo di disperati su cui si possono testare sostanze di ogni genere, senza mai rispondere dei gravi effetti collaterali da queste provocati. Qualunque medicina è disponibile, a pagamento, per il consumatore, anche su internet, mentre la sanità pubblica, a causa dei tagli, non dispone neanche del più banale antibiotico o reagente per le analisi del sangue. I farmaci salvavita vengono commercializzati a caro prezzo in tanti Paesi e, rivendicando il brevetto e “la proprietà intellettuale” delle formule chimiche, i colossi della farmaceutica impediscono che certi medicinali siano venduti a prezzi inferiori (come è accaduto in India, dove c’è stata una battaglia legale tra il governo locale, la Novartis e la Roche). In vari stati africani vengono ancora sperimentati vaccini e sostanze per malattie sconosciute – o inesistenti – su bambini che subiscono gravi effetti collaterali.
Noi italiani, tuttavia, non siamo certo più furbi e intelligenti: usciamo soddisfatti dalle farmacie con buste piene di medicinali inutili e spesso dannosi, specie quando vengono presi senza una reale necessità e per lungo tempo. Eppure, possederli ci infonde grande sicurezza, pur sapendo che la maggior parte di essi non è terapeutica ma solo sintomatica: pertanto, non definiamoli «medicine curative», perché tali non sono. Anche in Germania, però, non si scherza: il consumo di amfetamine e di psicofarmaci da parte dei lavoratori e degli studenti tedeschi è aumentato del 400% negli ultimi dieci anni, con l’avallo del servizio sanitario nazionale. Ha perfettamente ragione, dunque, il gruppo musicale il Parto delle nuvole pesanti quando canta «ci vorrebbe una terapia sociale / non un farmaco scientifico // ci vorrebbe una terapia morale / non un farmaco anestetico» (Terapia sociale, in Che aria tira, Ala Bianca/Warner; per la nostra recensione del disco: Ma “Che aria tira” in Italia?).
LucidaMente ha denunciato spesso l’uso improprio dei farmaci. Cfr. gli articoli: Se la medicina non guarisce…; La logica del profitto contro la razionalità terapeutica; Gli effetti devastanti delle benzodiazepine; e, su questo stesso numero, riguardo al doping, Campioni senza valore.
Le immagini: alcune composizioni fotografiche a cura dell’autrice.
Mariella Arcudi
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)
Mai letto tante stronzate tutte insieme. Ma si sa, avercela con Big Pharma fa audience molto più che essere informati e puntuali.
Gentilissima dottoressa, grazie per averci scritto.
Si può esprimere ogni opinione liberamente (almeno sulla nostra rivista). Tuttavia, ci risulta che il suo parere potrebbe essere inficiato proprio dal fatto che forse lei ha lavorato per anni per le multinazionali farmaceutiche.
Il turpiloquio gratuito, invece, oltre a essere di cattivo gusto e ormai conformista e pienamente in sintonia con la volgarità della nostra disgraziata Italia, presenterebbe persino profili di rilevanza penale.
Si possono criticare e contro-argomentare le opinioni con le quali siamo in disaccordo, ma non sono concessi insulti sbrigativi verso le idee e il lavoro redazionale altrui. Questo varrebbe per qualunque blog, ma “LucidaMente” non è un blog: è una rivista telematica con regolare registrazione presso il Tribunale di Bologna n. 7651 del 23 marzo 2006; Registro degli operatori della comunicazione n. 21193; Codice Cnr-Ispri: ISSN 1828-1699
Il direttore
L’aver lavorato in aziende farmaceutiche (complimenti per l’intelligence! se mi fossi chiamata Maria Bianchi, o non avessi firmato con il mio vero nome per intero non vi sareste permessi di indagare così) non crea affatto conflitti di interesse, io non ho mai posseduto aziende, ero solo una dipendente come altre; per di più medico, molto sensibile ai valori ed alle problematiche etiche, come molti altri miei colleghi, d’altronde. O pensate che tutti i dipendenti subiscano il lavaggio del cervello? Al contrario, l’esperienza in merito allo sviluppo dei farmaci mi dà le competenze necessarie (oltre che per poter davvero criticare le aziende farmaceutiche, ma per motivi reali) per valutare quello che la giornalista ha scritto come un insieme di cose imprecise, grossolane, raffazzonate, a volte false. Credo che un giornalista degno di questo nome dovrebbe informarsi, prima di scrivere sciocchezze, e cercare di non scriverle. Quanto al fatto che il mio termine sia stato volgare, sì, lo ammetto, e me ne scuso. Ma questa demagogia a buon mercato, che oscura i VERI motivi di critica, e cerca il consenso scagliandosi solo contro i luoghi comuni, mi esaspera. Non penso proprio che scrivere che l’articolo è pieno di stronzate abbia rilevanza penale. Non vuol dire che la giornalista sia una stronza. Però vuol dire che la giornalista fa molto male il suo lavoro, e questo sì che è davvero volgare. Sempre disponibile ad un “vero” confronto sui temi trattati.
Gentilissima dottoressa,
grazie anche per la sua garbata risposta, che giriamo alla redattrice. E grazie per la puntualizzazione sulla coprolalia usata.
Si figuri se una rivista libera e libertaria come la nostra si mette ad arzigogolare con diritto penale e querele. Diciamo solo che c’è già troppa cafonaggine in giro e quindi, se possibile, è meglio evitare, tra persone civili e colte, che si incrementi tale degrado linguistico e di costume.
Ci segua. Ci fa solo piacere avere lettori attenti e critici come lei.
Gentilissima dottoressa,
grazie ancora per le sue puntualissime osservazioni inviateci, che giro alla nostra redattrice.
Se desidera, può inviarci un suo intervento-articolo-lettera nel quale, partendo dal “pezzo” della Arcudi, può esporre le sue posizioni. Non faremo fatica a pubblicarlo.
Come vede, la nostra rivista è laica (nel senso appunto “laico” e scientifico del termine), cioè pluralista, “problematica”, relativista e aperta a ogni idea alternativa.
se troverò il tempo, nei prossimi giorni o settimane cercherò di scrivere qualcosa sulla realtà (per quello che posso saperne io, naturalmente) delle aziende farmaceutiche.