Vita, morte e resurrezione di una delle tasse più odiate dagli italiani. Ecco la nuova veste con cui si ripresenta e i “doni” che porta in dote. Ancora più gravosi
Nel 2008, con il decreto legge 93 in materia fiscale veniva abolita l’Ici (Imposta comunale immobili) sulla prima casa, come promesso, in campagna elettorale, da Silvio Berlusconi, che aveva fatto della questione un punto nevralgico della sua carta politica. A beneficiare di questa esenzione, come riportato in quei giorni da Il Sole 24 Ore, quasi 17 milioni di famiglie. Scelta equilibrata e lungimirante di un grande statista o specchietto elettorale per allodole con diritto di voto? Di sicuro non la prima: l’Ici era stata introdotta come imposta straordinaria nel 1992 e fin da subito era diventata la maggiore fonte di sostentamento dei comuni, da sempre affamati dagli ingordi e mal oliati meccanismi dello Stato. Proprio i comuni, onde riuscire a sopravvivere, sono stati costretti, all’indomani del 2008, a rivalersi sui cittadini con più tasse e meno servizi. Insomma, il gioco delle tre carte, un vecchio trucchetto di prestigio che ha creato solo l’illusione, ai cittadini, di pagar meno, incidendo spesso in maniera ancor più significativa sull’esiguo bilancio dell’italiano medio.
Lo scenario però cambia a fine 2011 con il Governo Berlusconi commissariato dal tecnico Mario Monti, figura di spicco internazionale, salutato universalmente come “salvatore della patria”. Mentre lo spread rimbalza tra livelli di relativa tranquillità e altri poco confortanti, il Paese sembra riprendersi una credibilità europea persa col precedente premier. Le parole d’ordine del nuovo esecutivo sono, in ordine non invertibile, rigore, equità e crescita.
Il 2012 inizia con la prima parte del trittico politico montiano, ossia con il rigore. Vengono introdotti due nuovi tipi di tasse: l’Imu (Imposta municipale unica), che sa di vecchia Ici e si applica anche e soprattutto sulla prima casa, e l’Ivie (Imposta sul valore degli immobili all’estero), novità assoluta che invece riguarda i residenti italiani proprietari di abitazioni e fabbricati al di fuori dei confini nazionali. Inutile dirlo: nonostante varie proposte di liberalizzazioni, di equità e crescita non è pervenuta alcuna traccia davvero significativa. Un ragionamento un po’ azzardato e, perché no, semplicistico, ci porterebbe a pensare che non esistano grandi sconvolgimenti, visto che ritorna pressoché identico ciò che era stato abolito. E invece no. Qui si trova un errore. Nonostante l’introduzione della nuova tassa, qualsiasi sia il suo peso, resteranno pur sempre i rincari – prima citati – adoperati dai comuni; in più, questi soldi non potranno essere gestiti e investiti dalle amministrazioni locali, cosa che l’Ici prima permetteva, poiché una parte cospicua di questo corpus monetario servirà a coprire le spese dello Stato, alle prese con titoli che nessuno vuole e debiti da finanziare con altro debito.
Chi ci rimette, quindi? I soliti noti: le realtà locali e le classi medio-basse – ammesso che il “medio” possa ancora essere usato. Le fasce ad alto reddito continueranno sempre più a volare alto e la forbice tra ricchi e poveri si allargherà sempre di più. «Tutto cambia perché nulla cambi», alla faccia dell’equità…
LucidaMente ha già trattato argomenti simili a questo. Leggi anche:
2012: Odissea nell’incertezza di Emanuela Susmel;
Serviranno all’Italia “lacrime” e “sangue”? di Giuseppe Licandro.
Gianvito Piscitiello
(LucidaMente, anno VII, n. 74, febbraio 2012)
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