Acceleratore identitario nel tedesco, croce e delizia dell’amore ritrovato nella giapponese Ito Ogawa, i due narratori riuniscono a tavola i loro personaggi, chi in cerca di un io collettivo e universale e chi in ascolto del proprio animo smarrito
L’intera parabola evolutiva annessa alla scrittura di Günter Grass, romanziere e poliedrico artista del XX secolo (di cui abbiamo annotato alcune peculiarità su LucidaMente dello scorso aprile), ruota attorno alla costruzione di una identità tedesca, non da ultima europea, sul modello della Confederazione elvetica. La sua lungimiranza politica non è certamente riconosciuta tra i grandi meriti dell’intellettuale originario di Danzica; una zona limbica, un terreno perennemente conteso tra due civiltà, agone in cui sono scesi i tedeschi per sancire un patto di continuità con la deutsche Einheit, la tanto agognata e sofferta unità tedesca.
La scrittura di Grass, nondimeno, restituisce vivide emozioni, incatenando il lettore grazie al suo potere segretamente persuasivo: un “cerchio magico” che, al pari della fabula grimmiana, riesce a condensare nel logos, atto del pensare, e nel Wort, potere persuasivo della parola, una pletora di significati umani. Provando a riflettere sul “nuovo umanesimo” inaugurato nella stagione della maturità, in taluni temi si riscontrano gli allegorismi e le “metaforizzazioni” più significativi della scrittura grassiana. Una produzione ormai lontana dagli scritti condizionati dai riflessi della guerra – leitmotiv insistente nella narrativa, da Il tamburo di latta, 1959 (Feltrinelli, pp. 608, € 15,00) a Il passo del gambero del 2002 (Einaudi, pp. 204, € 9,00) – e dai condizionamenti politici dell’intellettuale sceso a patti con la Spd [il Partito socialdemocratico di Germania, ndr]. A prestare la sponda al “nuovo umanesimo” è la rappresentazione del cibo con le sue innumerevoli declinazioni. Consumare il pasto assurge a una funzione di vita sacra e sacralizzata. Riuniti al tavolo figurano di rado gli esseri considerati nella loro singolarità e nella solitudine impressa dalla vita truce e dal volto lugubre delle città moderne.
Sotto gli occhi del lettore sfila una pluralità di personaggi. Dai soldati privati anzitempo della propria puerilità nel diario autobiografico del 2006, Sbucciando la cipolla (Einaudi, pp. 384, € 14,00), all’ultimo scritto composto nel 2015, Della finitezza (Vonne Endlichkait, Steidl Verlag, pp. 176, € 18,90), la tavola è sempre miseramente bandita: nessun fasto luculliano, né la soddisfazione che modella le convinzioni della gestrice della locanda “Al Lumachino” della scrittrice giapponese Ito Ogawa (Il ristorante dell’amore ritrovato, Neri Pozza, pp. 192, € 9,00).
Come vedremo meglio nella seconda parte del presente saggio, all’ostello del Sol levante un buon pranzo sanerà gli animi resi inquieti dalle ansie del presente e dalla perentorietà delle scelte cui sono destinati gli uomini e le donne in fuga tra le montagne deserte e innevate del Giappone. Al pari della locanda nipponica, colorata sì ma senza fronzoli né pretese, il tavolo della cucina dimessa e scalcinata di Grass offre la sinecura per l’anima, oltre a sganciare le considerazioni ontiche sull’essere dai cliché e dai luoghi comuni che intridono la borghesia tedesca di ipocrisia morale e falso perbenismo. Dinanzi a brodaglie riscaldate con mezzi di fortuna, i diciottenni di Grass ripercorrono il breve vissuto e pongono le premesse per un futuro all’insegna di suggestioni dettate da quell’ideale di cui parlano gli americani: la democrazia partecipativa. Ne L’incontro di Telgte (Einaudi, 1979, pp. 188, € 14,40), gli intellettuali riunitisi in una fantomatica cittadina tedesca del Seicento si confrontano sui valori che la letteratura e la cultura potranno giocare nei secoli a venire: una profezia espressa da cultori ante litteram della libertà di espressione e di stampa.
Mentre il mondo è una volta di più alle prese con i rivolgimenti della Storia, mentre le lotte di potere logorano i principati tedeschi smantellando l’ultimo baluardo dell’atavico senso della partecipazione teutonica al sociale, gli intellettuali si dilettano con locandiere e pasti improvvisati all’ombra del cardo: simbolo e profezia di una Germania pronta a risorgere dalle ceneri.
Grass apre la condivisione del pasto a una plurivocità di significati. Il vino a profusione, unito alla grazia delle locandiere pronte ad attualizzare nella fugacità di un incontro carnale il principio della caducità della vita, consente di ristabilire le priorità dell’uomo sull’esistenza, restituendone il significato cardinale: al di là delle esasperazioni prodotte dalla storia e dal perenne tentativo umano di rincorrere il progresso e le sue simbologie, la vita è condivisione, il banchetto coincide con il ritorno all’humanitas, il “nuovo umanesimo” anticipa il nuovo cominciamento epocale. E si potrebbe andare avanti con una pletora di immagini collegate al valore ecumenico del cibo che unisce, dell’eulogia che inizia all’esistenza autentica. Grass avrebbe reagito con invettiva carica di livore alla tenzone prodotta dallo scambio dei rituali cristiani collegati alla condivisione del pane quotidiano, ma non avrebbe contestato la genealogia di valori e simbologie collegati al cibo: dalla grazia della Madre Terra che offre all’uomo i frutti benedetti al piacere restituito al palato da un piatto di frattaglie di carne insaporite secondo le ricette delle terre di confine a lui più care.
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Gianluca Sorrentino
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 186, giugno 2021)