Le società contemporanee sono ormai non solo multietniche ma anche multiculturali. In che rapporto si collocano il mantenimento dei propri usi e costumi originari e l’integrazione nel Paese ospitante? Quali meccanismi si smuovono nel tessuto collettivo?
Come osservato dal ministro Tommaso Padoa-Schioppa (1940-2010), le società contemporanee sono irreversibilmente diventate società multiculturali. Dunque, è quanto mai necessario partire dal presupposto che una cultura, minoritaria o maggioritaria che sia, è sempre etnicamente connotata perché essa è comunque legata a un’etnia, dominante oppure no. Anzi, anche nel Diritto penale, ogni infrazione è etnicamente e culturalmente motivata, repressa e non socialmente accettata.
Comunità immigrate tra propria cultura e integrazione nella società ospitante
Probabilmente può apparire una considerazione xenofoba ma, a prescindere da una certa retorica pseudoprogressista, un reato culturale ha chiaramente sullo sfondo il patrimonio spirituale di un intero gruppo etnico, di un popolo, di una nazione. È fattualmente inevitabile che, in un dato territorio, l’etnia dominante imponga la propria politica criminale, cioè l’insieme delle valutazioni e misure assunte da una determinata società con lo scopo di contrastare il numero delle infrazioni all’ordinamento giuridico-penale.
Ma oggigiorno – e ancora di più nel futuro prossimo – il Belgio e la Svizzera sono divenuti Stati ove il popolo autoctono è in netta minoranza. Si pensi pure alla forte presenza di comunità magrebine in Francia o turche in Germania. Parimenti, in Canada, nell’ultima cinquantina d’anni abbondano le presenze indiana e africana. Del resto, pure in Italia esiste una corposa comunità sikh che aspira a tener viva la cultura e la religione delle origini, nel miraggio di un desiderato e atteso ritorno nel Paese natio.
Tuttavia, differente e ben più complessa è la condizione degli immigrati di seconda o terza generazione, ossia dei figli e dei nipoti di chi si è trapiantato vent’anni fa. In tal caso, infatti, l’immigrato, ormai naturalizzato, reclama il giusto diritto di iniziare a partecipare alla vita governativa, legislativa e giudiziaria di quello che era, per i propri padri, lo Stato ospitante.
Sempre con riferimento agli immigrati di seconda o terza generazione, essi, ad un certo punto, decidono talvolta di abbandonare la propria cultura. Hanno tagliato i legami con la nazione d’origine e sanno che il successo loro e dei propri figli dipenderà dalla integrazione – se non dalla completa assimilazione – nelle istituzioni della società d’accoglienza, come accaduto nel Novecento presso le comunità italofone statunitensi. Con il passare dei decenni e delle generazioni, la multiculturalità polietnica o si dissolve o si trasforma in una mescolanza pacifica di culture.
I reati culturalmente motivati
Ciononostante, prima della naturalizzazione, rimane il problema dei reati culturalmente motivati, che sono illeciti per l’Ordinamento ospitante ma risultano perfettamente legali e normali nel sistema legislativo o tribale d’origine. Per esempio, le comunità irlandesi e italiane, negli Usa dei primi del Novecento, mettevano in atto delitti d’onore e aggressioni fisiche reputate ordinarie da quelle minoranze.
I casi di reato culturalmente motivato sono quotidianamente oggetto della cronaca giornalistica, anche in Italia. Per esempio, abbondano i reati sessuali ai danni di minorenni considerati/e già adulti/e all’interno dei codici culturali originari. Sicché la Criminologia definisce culturally motivated crime l’incesto rituale, la poligamia, i matrimoni forzati e fondati su una visione illimitata e violenta della potestà genitoriale e di quella maritale.
Senza dubbio, uno dei più odiosi reati culturalmente motivati è e resta quello delle mutilazioni genitali attuate per lo più ai danni di bambine di alcune comunità musulmane e sanzionato dagli articoli 583 bis e 583 ter del Codice penale italiano, introdotti dalla legge n. 7 del 2006.
Appiattimento delle diversità e omologazione alla società ospitante
Tuttavia, nel lungo periodo, lo iato tra legge autoctona e stranieri può essere superato da mescolanze familiari con immigrati non di prima generazione. In effetti, la sopravvenienza di matrimoni misti e la nascita di una figliolanza altrettanto mista facilitano molto l’integrazione dei gruppi minoritari.
In ambito scolastico, gli alunni non autoctoni vengono riconosciuti, almeno tendenzialmente, nella loro identità e, solitamente, sono accettati dai coetanei provenienti dall’etnia maggioritaria. Ciò, in linea di principio, prima della comparsa del disagio adolescenziale. L’alterità, quindi, scompare quando l’individuo si adatta alla visione dominante del mondo in cui vive.
In buona sostanza, nel lungo periodo, le diversità si appiattiscono, i costumi si omologano e viene spontaneamente cancellata l’identità pregressa, per lasciare il posto a una convivenza alternativa e non conflittuale. Tale è stata la situazione della comunità indiana nel Regno Unito, ove l’integrazione della quarta generazione è ormai un dato di fatto.
Cultura, etnia e fattore religioso
Importante è pure sottolineare che le diversità culturali rimangono vive a prescindere da presunte tare biofisiche ereditarie. Affermare il contrario significa aprire pericolosamente la strada al razzismo ed alla xenofobia filonazista. Soltanto i codici culturali variano, mentre le origini etniche sono flessibili e non debbono mai costituire un marchio infamante e incancellabile.
Da ultimo, va notato che il collante religioso aiuta assai l’omologazione, come dimostra, in Italia e nel resto dell’Europa occidentale, la più veloce integrazione degli stranieri sudamericani e filippini di tradizione cattolica, ma anche degli slavi di fede ortodossa.
Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Kindel Media; cottonbro studio; Andrea Piacquadio).
Andrea Baiguera Altieri – criminologo italo-svizzero – Brescia/Bellinzona
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)