Ne “Il gelso dei Fabiani” (Mgs Press), troviamo storie di vita vissuta oltre confine attraverso un grande amore
I profumi di una natura incontaminata e profumata, una divertita dolcezza verso approcci e malizie amorose oramai superati, un grande senso di pace. Tutto questo – e non solo – si respira e si prova leggendo Il gelso dei Fabiani. Un secolo di pace sul Carso (Mgs Press, pp. 264, € 18,00) di Renato Ferrari. Sfogliando le pagine del libro – un vero e proprio romanzo di memoria – si viene catapultati nel XIX secolo, in atmosfere, linguaggi e metodi comunicativi che il lettore odierno faticherebbe altrimenti a immaginare.
Uno dei valori aggiunti dell’opera è, senza ombra di dubbio, la capacità dell’autore di trasmettere sfumature del pensiero femminile. Nella prima parte è Ferrari direttamente – in qualità di biografo – a raccontare la nascita e l’infanzia della propria bisnonna, soffermandosi talvolta anche su ampie note storiche dell’epoca aurea di Trieste, necessarie a fornire al lettore un completo contesto geopolitico del periodo. Ma dal giorno della sua partenza per Kobdilj (sul Carso sloveno), a parlare è improvvisamente la protagonista, Charlotte von Kofler, nata il 29 settembre 1827, figlia di una donna triestina – di sangue anche genovese – e di un aristocratico tirolese, precedentemente vissuto a Bolzano. Trovando il bisnipote in difficoltà nel reperire le informazioni utili per stendere la sua biografia, l’anima della donna si insinua prepotentemente nella mente dello scrittore. La sensazione provata dal lettore è quella di una repentina sottrazione di penna, per mano di Charlotte che si diverte a narrare la propria adolescenza, non tralasciando particolari anche delicati, seppur trattati con innocenza, della grande storia d’amore con colui che sarebbe diventato suo marito.
Sedici anni ha infatti la ragazza quando, per ragioni legate alla salute della madre, si trasferisce con lei a Kobdilj, in un lungo viaggio su una carrozza trainata da una coppia di cavalli, in compagnia di Giovanni, il primo cocchiere, di Adele, la cameriera, di Geneviève, alla quale era stata affidata la sua istruzione, scolastica e di buone maniere, di Charlotte e delle sorelle. Un capitolo intero è dedicato alla descrizione del Carso che, a quell’epoca, intimoriva i triestini e non soltanto, soprattutto per la mancanza di vegetazione e di adeguate strade per raggiungerlo in sicurezza. Sarà invece la protagonista a svelare quanta ricchezza, necessaria alla sopravvivenza del corpo e dell’anima, nasconda la propria terra, nutrita fra conche e doline. E ancora sedici anni ha Charlotte quando incontra l’uomo che le cambierà la vita, trattenendola nel villaggio sloveno fino alla sua morte, avvenuta all’età di novantasei anni.
Anton Fabiani è uno dei figli di Teresa, proprietaria di svariati possedimenti terrieri a Kobdilj, padrona di casa e, in un certo senso, lo spirito stesso di quel luogo. L’amore fra lui e Charlotte costituisce una fiammella vitale nell’esistenza di entrambi. Vent’anni di differenza di età, due origini e ceti sociali differenti. Eppure fra loro è colpo di fulmine a prima vista, che genera una dinastia di dodici figli viventi, tra cui il celeberrimo architetto Maximilian Fabiani. La narrazione della protagonista – per mano del bisnipote – non ricomprende l’intera esistenza, ma si concentra sul periodo del fidanzamento della coppia, sulla descrizione di un pozzo che equivale a “vita” o della panca del loro primo bacio, su emozioni di un tempo perduto, nelle quali il lettore dei giorni nostri brama trovare stimoli e battiti di cuore. Non è un caso se, ancora oggi, Il gelso dei Fabiani – pubblicato nel 1975 – viene letto. Non smetterà mai di essere un romanzo di nicchia che incuriosisce molteplici lettori, soprattutto chi è desideroso di sapere come si viveva sul Carso in un’epoca antecedente la tempesta di nazionalismo che ha seminato divisioni mai colmate.
Le immagini: la copertina del libro Il gelso dei Fabiani. Un secolo di pace sul Carso; la villa e il gelso della famiglia Fabiani.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno XIV, n. 161, maggio 2019)