Secondo l’autore, ciascuno di noi è potenzialmente un carnefice e lo dimostra servendosi di numeri ed evidenze sperimentali che assottigliano lo scarto tra buoni e cattivi fino ad annullarlo del tutto. Ma è proprio aumentando la nostra consapevolezza al riguardo che accrescono le probabilità di contrastare queste forza negative.
Né totalmente virtuosi, altruisti, sensibili e neppure interamente disonesti, egoisti, distaccati. In quanto esseri umani siamo un po’ tutto questo, un impasto di caratteristiche discordanti che il principio di coerenza dispone in scomparti accuratamente separati e che il ritmo ripetitivo della vita mantiene tali: osserviamo noi stessi e gli altri nei soliti contesti, lasciamo che siano i ruoli sociali a interagire; l’esito comportamentale non può che essere prevedibile e in linea con le aspettative. Diventa invece impossibile pronosticare ciò che sarà di noi e degli altri quando le dinamiche situazionali si rimescolano in modo da creare condizioni nuove e impreviste.
I risultati di numerosi studi di psicologia dimostrano come, in circostanze estreme, gli esseri umani siano inesorabilmente esposti al potere della situazione al punto da umiliare, torturare e uccidere un altro uomo. Ognuno di noi sentirà certamente un impulso a dissentire, poiché penserà di possedere abbastanza forza per resistere alle influenze esterne. Tuttavia, i fatti dicono il contrario: nei laboratori di psicologia sociale gli scienziati hanno osservato gente comune, di varia età ed estrazione socioculturale, con profili di personalità perfettamente nella norma, dare scosse elettriche letali a una vittima innocente, picchiare altri partecipanti, restare inerte dinanzi a una crisi epilettica di un giovane collega.
E fuori dai laboratori non accade diversamente. Donna Summers, vicedirettore di un McDonald’s in Kentucky, obbedì agli ordini telefonici di un finto poliziotto fino a umiliare e molestare sessualmente una giovane impiegata: «Consideri la cosa a posteriori e ti dici: io non lo avrei fatto – ha dichiarato successivamente la donna – ma se non ti trovi in quella situazione, in quella circostanza, come sai cosa avresti fatto? Non lo sai. Non puoi saperlo».
Il presunto poliziotto chiamò altri settanta fast-food riuscendo sempre a farsi obbedire da chi lo ascoltava dall’altra parte del telefono. Le settanta vittime erano persone comuni; nessuna di loro avrebbe mai pensato di potersi degradare fino a quel punto.
Testimonianze a favore del potere situazionale giungono anche da ambienti lontani dalla psicologia. Howard Zinn, storico tra i più influenti del secolo scorso, racconta la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale alla guida di un caccia: «Gli uomini che ho conosciuto in aviazione […] non avevano il desiderio di uccidere, non erano entusiasti della violenza e non amavano la guerra. […] Le imprese sanguinose che compivamo erano il risultato di un insieme di esperienze facilmente immaginabili: eravamo stati educati a credere che i nostri capi politici avevano buone ragioni e che potevamo confidare nella giustizia delle loro azioni nel mondo; avevamo imparato che nel mondo ci sono i buoni e i cattivi, paesi buoni e paesi cattivi, e il nostro era buono. Eravamo stati addestrati a pilotare gli aerei, a sparare con i cannoni, a usare i congegni di puntamento e a essere orgogliosi se lo facevamo bene. E ci avevano insegnato a obbedire agli ordini: non c’era motivo di discuterli perché dalla nostra parte tutti erano buoni e dall’altra cattivi. D’altronde, non eravamo costretti a vedere le gambe di una ragazzina spazzate via dalle nostre bombe: noi stavamo a diecimila metri di quota da dove non potevamo vedere gli esseri umani, né ascoltare le loro grida. Certamente tutto questo è sufficiente a spiegare come gli uomini possano partecipare alla guerra. Non è necessario brancolare nell’oscurità della natura umana».
A questo punto sembra che la malvagità non sia prerogativa esclusiva di individui deviati o pazzi, ma che chiunque possa infierire contro un altro essere umano. La classica opposizione tra bene e male ci era sicuramente più congeniale, poiché permetteva un orientamento facile negli intrecci della morale e un’immediata identificazione dei cattivi. Sapevamo che erano loro i responsabili di crimini e violenze, che erano loro i personaggi da tenere a distanza; noi invece, incorruttibili, abitavamo dalle parti della moralità. Almeno fino a ora.
L’AUTORE
Piero Bocchiaro (pierobocchiaro.blogspot.com) è research fellow alla Vrije Universiteit di Amsterdam, dove coordina un progetto di ricerca sulla disobbedienza all’autorità. Autore di articoli scientifici e del volume Introduzione alla psicologia sociale (con S. Boca e C. Scaffidi Abbate, il Mulino, 2003), ha insegnato all’Università di Palermo e trascorso periodi di formazione e ricerca alla Stanford University. Psicologia del Male (Laterza) è del 2009.
L’immagine: la copertina del libro di Piero Bocchiaro.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 11, 15 luglio 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 55, luglio 2010)