Nel bel racconto “Una burla riuscita” lo scrittore triestino inserisce nel testo principale alcune incantevoli favole con protagonisti i graziosi volatili
Piccoli capolavori miniati entro un piccolo capolavoro. Così possono definirsi le favole che Italo Svevo colloca all’interno della novella Una burla riuscita (1925-26), pubblicata in Solaria. Rivista mensile di arte e idee sull’arte (anno III, n. 2, febbraio 1928) e riedita di frequente fino a oggi, da sola o all’interno della raccolta Il buon vecchio e la bella fanciulla e altri racconti (Dall’Oglio, Milano 1975). [Per gli approfondimenti sulla pubblicazione della novella, la sua genesi e gli aspetti critici, rimandiamo a Beatrice Stasi, Storia di una burla forse riuscita: genesi di una novella sveviana, in Ettore Catalano (a cura di), El otro, el mismo. Proiezioni autobiografiche nella letteratura italiana, Progedit, Bari 2012 (pp. 127-144), e all’edizione Italo Svevo, Una burla riuscita. Edizione critica sulla base di un nuovo testimone, a cura di Beatrice Stasi, Pensa, Lecce-Rovato, 2014, pubblicazione a sua volta qui recensita].
Protagonista del racconto è Mario Samigli, un impiegato con aspirazioni letterarie, autore di un romanzo pubblicato ormai quarant’anni prima, senza successo. Egli vive a Trieste col fratello Giulio, gottoso, malaticcio e dipendente dalle terapie e dai farmaci. Due figure crepuscolari e un’opera nella quale sono presenti i temi tipici, quasi ossessivi, della narrativa del grande scrittore triestino, quali l’inettitudine, il sogno del successo letterario, la malattia, le cure, le medicine, la vecchiaia. Tuttavia, in questo nostro contributo non vogliamo narrare la vicenda che coinvolge i due fratelli in Una burla riuscita, né affrontare le tematiche sveviane. Il nostro intento è far conoscere ai lettori dei piccoli, poetici, commoventi capolavori, incastonati all’interno di un’altrettanto preziosa novella lunga meno di ottanta pagine (qui per intero). Si tratta delle favole alla cui composizione Mario si dedica, quasi come compensazione per i mancati riconoscimenti artistici. Tali favole assumono una molteplice diversità di toni (sentenzioso, ironico, spiritoso, malinconico, triste, atroce, moralista, straziante, poetico, surreale, metafisico) e si collegano all’avvicendarsi dei fatti narrati nella novella, innestandosi in essi e fornendone un’ulteriore, possibile chiave di lettura.
Inizialmente esse hanno come personaggi animali di ogni tipo, anche esotico. Durante la guerra, però, Samigli si appassiona a uno degli «uccellini» più comuni e umili, il passero:
Poi ci fu un altro piccolo progresso nella sua opera con la scelta di protagonisti più adatti. Non più gli elefanti, tanto lontani, né le mosche dagli occhi privi di ogni espressione, ma i cari, piccoli passeri ch’egli si prendeva il lusso (grande lusso, a Trieste, di quei giorni) di nutrire nel suo cortile con briciole di pane. Ogni giorno egli spendeva qualche tempo a guardarli moversi, ed era quella la parte più brillante della giornata, perché la più letteraria, forse più letteraria delle stesse favole che ne risultavano. Se desiderava addirittura di baciare le cose di cui scriveva! Di sera, sui tetti vicini e su un alberello intristito nel cortile, sentiva cinguettare i passeri, e pensava che prima di piegare sulla schiena al sonno la testina, si dicessero le avventure della giornata. Al mattino era lo stesso cicaleccio vivo e sonoro. Si dicevano certamente i sogni della notte. Come lui stesso vivevano fra le due esperienze, quella della vita reale e quella dei sogni. Erano infine degli animali che avevano una testa in cui potevano annidarsi dei pensieri, e avevano dei colori, degli atteggiamenti eppoi anche una debolezza da far compassione, e delle ali da destare l’invidia, perciò la vera e propria vita. La favola restò tuttavia la piccola mummia irrigidita da assiomi e teoremi, ma almeno la si poté scriver sorridendo.
E la vita di Mario s’arricchì di sorrisi. Un giorno scrisse:
«Il mio cortile è piccolo, ma, con l’esercizio, vi si potrebbero spendere dieci chilogrammi di pane al giorno». Un vero sogno di poeta cotesto. Dove trovare in quell’epoca dieci chilogrammi di pane per gli uccellini privi di tessera? Un altro giorno: «Vorrei saper abolire la guerra sul piccolo ippocastano nel mio cortile, la sera, quando i passeri cercano il miglior posto per la notte, perché sarebbe un buon segno per l’avvenire dell’umanità».
Mario coperse di tante idee i poveri passeri da celarne le esili membra. Il fratello Giulio che abitava con lui, e pretendeva di amare la sua letteratura, non sapeva amarla abbastanza per includervi anche gli uccelletti. Pretendeva che mancassero d’espressione. Ma Mario spiegava ch’erano essi stessi un’espressione della natura, un complemento delle cose che giacciono o camminano, al disopra di esse, come l’accento sulla parola, un vero segno musicale.
L’espressione più lieta della natura: negli uccellini neppure la paura è verde e abietta come nell’uomo, e non mica perché celata dalle pene, ché appare anzi evidente, ma non altera in alcun modo il loro elegante organismo. Si deve anzi credere che il loro cervellino non la sappia mai. L’allarme viene dalla vista o dall’udito, e nella fretta passa direttamente alle ali. Gran bella cosa un cervellino privo di paura in un organismo in fuga! Uno degli animalucci ha trasalito? Tutti fuggono, ma in modo che pare dicano: Ecco una buona occasione per aver paura. Non conoscono le esitazioni. Costa tanto poco fuggire quando si hanno le ali. E il volo loro è sicuro. Evitano gli ostacoli rasentandoli, ed attraversano il più fitto groviglio di rami d’alberi senza mai esserne arrestati o lesi. Pensano soltanto quando son lontani, e cercano allora d’intendere la ragione della fuga, studiando i luoghi e le cose. Inclinano con grazia la testina a destra e a sinistra, e aspettano con pazienza di poter tornare al luogo donde son fuggiti. Se ci fosse della paura ad ogni loro fuga, sarebbero morti tutti. E Mario sospettava che si procurassero ad arte tante agitazioni. Infatti potrebbero mangiare in piena calma il pane che viene loro donato, e invece essi chiudono gli occhietti maliziosi ed hanno la convinzione che ogni loro boccone è un furto. Proprio così condiscono il pane asciutto. Da veri ladri non mangiano mai sul posto ove il pane è stato gettato, e là non c’è mai lite fra di loro perché sarebbe pericoloso. La contesa per le briciole scoppia al posto ove son giunti dopo la fuga.
Grazie a tanta scoperta, stese con facilità la favola: «Un uomo generoso, regolarmente, per lunghi anni, aveva regalato ogni giorno del pane agli uccelletti, e viveva sicuro che l’animo loro fosse pieno di riconoscenza per lui. Non sapeva guardare costui: altrimenti si sarebbe accorto che gli uccelletti lo consideravano un imbecille cui, per tanti anni, avevano saputo rubare il pane senza che a lui fosse riuscito di catturare neppur uno di loro».
Da questo momento la produzione di queste deliziose, incantevoli favole, aventi come protagonisti i passerotti, divengono quasi una costante nella vita di Mario, nonché cartina al tornasole degli eventi che gli capitano. Di seguito le abbiamo estratte da Una burla riuscita, sperando di non averne tralasciata alcuna e di regalare ai lettori dei momenti piacevoli. Inoltre, per distinguerle ancora meglio l’una dall’altra, abbiamo provato a fornire loro un titolo (tra parentesi quadre).
[«PERÒ SIAMO DI MENO»]
E intimamente tristi erano tutte le sue piccole mummie: durante la guerra diminuì sulle vie di Trieste il transito dei cavalli i quali poi erano nutriti di solo fieno. Mancavano perciò sulla via quei semi saporiti lasciati intatti dalla digestione. E Mario si figurava di domandare ai suoi piccoli amici: «Siete alla disperazione?». E gli uccellini rispondevano: «No, ma siamo in meno».
[LA BONTÀ, UNA MALATTIA INGUARIBILE]
Un ricco signore amava tanto gli uccellini da dedicare loro una sua vasta tenuta ove era proibito d’insidiarli o anche solo di spaventarli. Costruì per essi dei buoni ricoveri caldi per il lungo inverno, riforniti abbondantemente di nutrimento. Dopo qualche tempo nella vasta tenuta s’annidarono una quantità di uccelli rapaci, di gatti e persino di grossi roditori che aggredirono gli uccellini. Il ricco signore pianse, ma non guarì della bontà ch’è una malattia inguaribile, e lui che voleva nutriti gli uccellini, non seppe interdire il cibo ai falchetti e agli altri animali tutti.
[LA DIFFIDENZA]
Di tempo in tempo appariva nel cortile e rinnovava nei passeri la diffidenza. Sono animali lenti quando non volano, e per eliminare una diffidenza abbisognano di lungo tempo. La loro anima è come una bilancetta, su un piatto della quale pesa la diffidenza e sull’altro l’appetito. Questo cresce sempre, ma se si rinnova anche la diffidenza, essi non abboccano. Con un metodo rigido si potrebbero far morire di fame accanto al pane. Una triste esperienza se fatta a fondo. Ma Mario la spinse fino a poter riderne, ma non a far piangere. La favola (un uccellino gridava all’uomo: «Il tuo pane sarebbe saporito solo se tu non ci fossi»).
[L’IGNORANZA DEL BENEFATTORE]
Ad un uccellino furono offerti dei pezzi di pane troppo grandi per il suo beccuccio. Con piccolo resultato l’uccellino s’accanì per vari giorni intorno alla preda. Fu ancora peggio quando il pane indurì, perché allora l’uccellino dovette rinunciare al ristoro offertogli. Volò via pensando: “L’ignoranza del benefattore è la sventura del beneficato”.
[IL SUCCESSO SORPRENDENTE]
Nacque la favola dal titolo: Il successo sorprendente. Eccola: «Un ricco signore disponeva di molto pane e si divertiva a sminuzzarlo agli uccellini. Ma del dono approfittava una diecina o poco più di passeri, sempre gli stessi, e buona parte del pane ammuffiva all’aria. Il povero signore ne soffriva, perché nulla è tanto disgustoso come veder poco gradito un proprio dono. Ma ebbe allora la ventura di ammalare, e gli uccellini che non trovarono più il pane cui erano usi, cinguettarono dappertutto: “Il pane che c’era sempre non c’è più, ed è un’ingiustizia, un tradimento”. Allora una moltitudine di passeri si recò a quel posto ad ammirare la provvidenza che aveva cessato di manifestarvisi, e quando il benefattore risanò, non ebbe pane abbastanza per saziare tutti i suoi ospiti».
[LA BELLEZZA DI VEDERE DALL’ALTO]
Mario non era molto persuaso che il Brauer meritasse un salario tanto più alto del suo. Occorse tale invidia per far nascere la favola. Dunque anche il povero Brauer si mutò in un passerotto, ma fu accompagnato nella sua metamorfosi da Mario stesso. Ai due passeri naturalmente veniva offerto del pane perché essi esistono perché la bontà umana possa esercitarsi a buon mercato. Il Brauer volava ad esso per la via più diritta, e perciò più bassa. Mario volava in alto ed è così che arrivava in ritardo. Ma digiunava volentieri confortato dalla bellezza della vista di cui dall’alto aveva potuto godere.
[IL PANE E LA PANIA]
Si racconta che molti uccelli perirono perché sullo stesso posto s’annidarono due uomini di cui uno buono e generoso, e l’altro malvagio. Su quel posto, per lungo tempo, ci fu il pane del primo, in ultimo la pania dell’altro.
[IL BOVE E IL PASSEROTTO]
Ad un passerotto famelico avvenne di trovare un giorno molte briciole di pane. Credette di doverle alla generosità del più grosso animale che avesse mai visto, un pesante bove che pascolava su un campo vicino. Poi il bove fu macellato, il pane sparì, e il passerotto pianse il suo benefattore.
[MEGLIO VIVERE IL PRESENTE]
Fatta la luce, Mario cercò la favola. Credette di trovarla nel rimprovero ch’egli si faceva di non saper godere tranquillamente della promessa di tanta buona fortuna. Diceva ai passeri: «Voi che non provvedete affatto per l’avvenire, dell’avvenire certo nulla sapete. E come fate ad essere lieti se nulla aspettate?». Infatti egli credeva di non saper dormire dalla troppa gioia. Ma gli uccelletti erano meglio informati: «Noi siamo il presente – dissero – e tu, che vivi per l’avvenire, sei tu forse più lieto?».
[L’ERRORE DEL BENEFATTORE]
La favola seguente può essere considerata in certo senso quale una profezia: In una via suburbana di Trieste vivevano molti passeri, che lietamente si nutrivano con le tante porcheriole che vi trovavano. Vi si stabilì poi un ricco signore, il cui piacere maggiore era di offrire loro del pane in grande quantità. E le porcheriole giacquero inutili sulla via. Dopo alcuni mesi (in pieno inverno) il ricco signore morì, e ai passeri, dai ricchi eredi, non fu concesso più una sola briciola di pane. Perciò quasi tutti i derelitti uccellini perirono non sapendo essi ritornare al loro costume antico. E nel sobborgo il defunto benefattore fu molto biasimato.
[LA NATURA IN MINIATURA]
Un uccello canoro in gabbia […] si vantava di cantare la natura e non sapeva dire che del vasetto dell’acqua e di quello del miglio fra i quali viveva.
[LA MORTE INCOMBE, CRUDELE]
«Un uccellino fu strozzato da uno sparviero. Non gli fu lasciato che il tempo sufficiente ad una protesta molto breve, un solo altissimo grido d’indignazione. All’uccellino parve di aver fatto tutto il suo dovere, e la sua animuccia se ne vantò, e volò superba verso il sole per perdersi nell’azzurro». Quale conforto! Mario si fermò ad ammirare quell’azzurro cui l’anima degli uccellini appartiene come la nostra al paradiso.
La seconda venne a correggere con un sorriso il proposito gridato ad alta voce di non occuparsi mai più di letteratura. Arrivava ben tardi quel proposito. E Mario ne seppe ridere come se qualche bestiolina innocente accanto a lui avesse commesso il medesimo errore: «Un uccellino fu ferito da un colpo di fucile. L’ultimo suo sforzo fu dedicato a involarsi dal luogo ove era stato colpito con tanto fragore. Riuscì a ficcarsi nell’oscurità del bosco ove spirò mormorando: “Son salvo”».
E la terza chiarì la seconda. […]: «Un uccellino acciecato dall’appetito si lasciò impaniare. Fu posto in una gabbiuccia ove le sue ali non potevano neppure stendersi. Sofferse orribilmente, finché un giorno la sua gabbia non fu lasciata aperta, ed esso poté riavere la sua libertà. Ma non ne godette a lungo. Reso troppo diffidente dall’esperienza, dove vedeva cibo sospettava l’insidia, e fuggiva. Perciò in breve tempo morì di fame».
[LA SUPERBIA E LA MODESTIA]
«La rondinella disse al passero: “Sei un animale spregevole, perché ti nutri delle porcheriole che giacciono”. Il passero rispose: “Le porcheriole che nutrono il mio volo, s’elevano con me”».
Poi, per difendere meglio il passero col quale s’immedesimava, Mario gli suggerì anche un’altra risposta: «È un privilegio quello di saper nutrirsi anche delle cose che giacciono. Tu, che non l’hai, sei costretta all’eterna fuga».
La favola non voleva finire più, perché molto tempo dopo, con altro inchiostro, Mario fece parlare un’altra volta il passero: «Mangi volando, perché non sai camminare». Mario si metteva modestamente fra gli animali che camminano, animali utilissimi che possono, in verità, disdegnare coloro che volano, cui il piacere di volare tolse ogni desiderio di altro progresso.
E non era finita. Pare anzi che a quella favola pensasse ogni qualvolta sentiva la comodità di disporre di tanto denaro. Un giorno addirittura s’arrabbiò con la rondinella, che pur non aveva aperto il becco che una volta soltanto: «Osi biasimare un animale perché non è fatto come te?».
Crediamo di essere stati i primi a raccogliere e pubblicare on line tutte le favole presenti all’interno di Una burla riuscita. Concludiamo augurandoci di essere riusciti a immergere i lettori in un mondo incantato; e, inoltre, fruibile a prescindere dalla lettura del racconto nella sua interezza. Un mondo magico, poetico, meraviglioso, quanto straziante. Come la vita e la bellezza.
Le immagini: a uso gratuito da pixabay.com.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 181, gennaio 2021)