Sin dall’epoca del cinema muto la penetrazione delle ferrovie, in Italia più lenta che in Inghilterra, ha esercitato una grande influenza sulla settima arte. Alla città di Napoli spetta, però, il primato dell’inaugurazione della prima linea ferroviaria, la Napoli-Portici, nel 1939, alla quale seguiranno la Milano-Monza nel 1840 e la Pisa-Livorno nel 1844.
Innegabile è la somiglianza del cinema con questo mezzo di trasporto: nello spettatore cinematografico, come nel viaggiatore, avviene un mutamento della percezione spazio-temporale. Infatti, a causa della linearità della strada ferrata, il passeggero non avverte più le irregolarità del percorso e ha quasi l’impressione di aver perso contatto con il paesaggio, da cui lo separa il finestrino del treno, sorta di schermo cinematografico attraverso cui cogliere la realtà in movimento.
Un binomio di lunga data – In L’arrivée d’un train en gare de La Ciotat (L’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat) (1895) i fratelli Lumière filmano l’arrivo alla stazione di un treno, rendendolo il protagonista assoluto della storia ed attribuendogli un ruolo quasi di disturbo nella celebre scena in cui piomba sugli spettatori travolgendoli. In The great train robbery (L’assalto al treno) di Edwin S. Porter (1903) e nel cortometraggio The Lonedale operator di David Wark Griffith (1911) il treno è il luogo deputato all’azione. In entrambe le pellicole ci viene mostrata la stazione della ferrovia – e, in particolar modo, l’ufficio del telegrafo -, inquadrata in modo realistico da Griffith, che dà allo spettatore l’impressione di vedere i luoghi in cui si svolge la rapina.
Il treno: protagonista aggiunto nei film – La ferrovia fu poi uno dei principali sottogeneri del travelogue, forma ibrida a metà tra il documentario e la conferenza, in cui il passaggio effettuato dal treno nella campagna faceva procedere il racconto attraverso lo spazio ed il tempo, mentre la figura del conferenziere che raccontava le proprie avventure garantiva l’identificazione del pubblico. Le riprese erano effettuate dal treno stesso su cui era montata la macchina da presa che fotografava il paesaggio da proiettare sullo schermo. Fu in questo periodo che ebbe inizio una vera e propria cooperazione tra case cinematografiche e società ferroviarie per le quali i film costituivano una valida forma di pubblicità. Le riprese di treni lanciati a grandi velocità, le cosiddette corse-fantasma, la situazione romantica del bacio fra innamorati nel tunnel, divennero elementi tipici dei film di questo periodo, arricchiti da vere e proprie gag. Ricordiamo nel classico del muto What happened in the tunnel (1903) di Porter la sequenza dell’innamorato che, tradito dall’oscurità del treno entrato in galleria, bacia la persona sbagliata.
Lo stretto legame stabilitosi fra cinema e treno divenne ancora più evidente nel 1906, anno in cui salirono alla ribalta gli Hale’s Tours. Si trattava di una trovata ingegnosa: i film erano proiettati in un falso vagone ferroviario utilizzato a mo’ di cinematografo, con il pubblico seduto al posto dei passeggeri e uno schermo posto di fronte.
Una importante metafora del progresso – Quando il cinema acquistò il carattere di un’arte ben definita, queste connessioni si smorzarono, sebbene il treno continuasse ad assolvere un ruolo importante in alcuni generi cinematografici come il western ed il thriller. Nel western il treno diviene, oltre che il luogo privilegiato per gli assalti degli outlaws, il simbolo del progresso. E’ John Ford a celebrare la ferrovia in The iron horse (Il cavallo d’acciaio) (1924), caricandola anche di un valore simbolico: frutto del lavoro di operai di nazionalità differenti, diviene espressione della fratellanza fra gli uomini. Sulla sua scia, Sergio Leone in C’era una volta il West (1968) sancisce, con la creazione della ferrovia, la penetrazione della civiltà nei territori vergini dell’Ovest, segnando così l’inizio di un mondo nuovo come la ferrovia transcontinentale del film di Ford che unisce l’Est con l’Ovest.
Nelle visioni di Hitchcock e De Palma – In quanto luogo dell’attesa, a cui è legato l’arrivo o la partenza di un personaggio, il treno fa convergere su di sé la suspense del racconto. E’ inevitabile, quindi, che i thriller se ne servano come ambientazione ideale per mettere in scena intrecci carichi di mistero: il treno è il luogo di spie in The Lady vanishes (La Signora scompare) (1938) di Alfred Hitchcock, nel quale persino la scomparsa di un’anziana signora (sotto le cui spoglie si nasconde, in realtà, un agente segreto) può passare inosservata. Sempre il regista inglese farà del mezzo un uso anomalo in North by Northwest (Intrigo internazionale) (1959), girandovi una scena d’amore. Dopo di lui, solo Brian De Palma, considerato non a caso il suo erede, è riuscito a legare i sogni di un individuo all’arrivo di un treno. In Carlito’s way (1993) è quasi palpabile l’ansia e gli sforzi del protagonista per salire su quel treno che dovrebbe scindere per sempre i legami col suo passato. Proprio quando il treno fa il suo ingresso nella stazione, Carlito Brigante verrà eliminato, davanti agli occhi della sua donna, da un gangster rivale.
Le “stazioni italiane” e il lento declino – Tutt’altro che secondario è il ruolo assunto dal treno nel cinema italiano. Basti pensare a Il ferroviere (1956) di Pietro Germi, in cui il mondo delle locomotive, contrassegnato dalla ripetitività degli orari e delle partenze, ci introduce nella squallida esistenza di un uomo, sconvolta dalla tardiva scoperta della passione. Anche ne La stazione (1990) di Sergio Rubini assistiamo al duro impatto con la vita, simboleggiata dalla bionda ed annoiata signora di passaggio, da parte di uno smarrito capostazione di provincia. In entrambi i film i personaggi, pur sentendosi attratti dal nuovo, preferiranno non mutare il corso della loro esistenza. Nel cinema contemporaneo il treno, ancorato al suolo, e lento rispetto ai più recenti mezzi di trasporto, ha assunto un carattere un po’ rétro, divenendo la cornice ideale per un classico come Assassinio sull’Orient-Express (Murder on the Orient-Express) (1974) di Sidney Lumet. Inevitabile che nell’età della velocità venisse soppiantato dall’automobile e poi dall’aereo, protagonisti assoluti del road movie e del genere catastrofico.
L’immagine: la locandina di Assassinio sull’Orient-Express.
Monica Florio
(LucidaMente, anno I, n. 4, maggio 2006)