Nel suo recente libro la “viaggiatrice globale” Raffaella Milandri racconta la lotta degli Uomini rossi contro le grandi multinazionali in difesa di Madre Terra
Sarebbe bello che con la parola “globalizzazione” si intendesse un mondo in cui tutti hanno accesso alle stesse possibilità e opportunità, dove ognuno fosse consapevole dell’esistenza di tante altre civiltà e ne conoscesse, almeno a grandi linee, la religione, il modo di vivere, le credenze e le tradizioni; un mondo dove le diverse comunità convivessero rispettando le reciproche differenze.
Al di là dei pensieri utopici, il termine “globalizzazione” indica oggi solo il trionfo del turbocapitalismo finanziario e un appiattimento e un’omologazione di gusti, pensieri e modi di vivere, così da facilitare la produzione di beni uguali per chiunque, in nome di un benessere fittizio che sta mettendo a repentaglio il nostro pianeta e la specie umana stessa. Questi temi sono molto cari a Raffaella Milandri, scrittrice, fotografa, viaggiatrice e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni. Profonda conoscitrice delle popolazioni native americane – è membro adottivo della tribù Crow in Montana e membro onorario della Four winds cherokee Tribe in Louisiana –, ha pubblicato recentemente il libro Gli ultimi guerrieri. Viaggio nelle riserve indiane (Mauna Kea Edizioni, San Benedetto del Tronto 2019, pp. 138, € 14,00). In questa sua nuova opera racconta la lotta dei Sioux-Lakota, tribù autoctona americana, contro il governo statunitense e le multinazionali in difesa delle proprie terre sacre, le Black Hills, sulle quali incombe la minaccia di oleodotti, miniere di uranio e d’oro. LucidaMente l’ha intervistata per saperne di più sulle popolazioni originarie dell’America settentrionale e sulle loro relazioni con l’Occidente.
Lei conosce bene i nativi americani: che rapporto hanno con il mondo occidentale?
«I nativi americani, dai Crow agli Inuit, vivono all’interno della principale società consumistica del mondo, quella statunitense appunto, pertanto sono avvezzi alla modernità: guidano la macchina e cucinano utilizzando il barbecue, ma non ne sono affascinati. È appena uscito [il 2 gennaio, ndr] il libro Voyager for the Cheyenne del poeta nativo Lance Henson (Mauna Kea Edizioni, San Benedetto del Tronto 2020, pp. 128, € 14,00), nel quale si trova una riflessione importante: i governi e le multinazionali sono sempre più affamati di potere e risorse. Finora sono stati deturpati territori abitati prevalentemente da nativi e indigeni, ricchi di materie prime. Avendole esaurite, sta iniziando lo sfruttamento dei territori abitati da “occidentali”, per i quali si prospetta la stessa sorte toccata agli indigeni. Lo sfruttamento delle risorse e dei terreni non è un problema circoscritto, riguarda tutti e, per una volta, “cowboy” e “pellerossa” si trovano accomunati dallo stesso destino di distruzione».
Secondo lei, con il loro impegno sui temi ambientali, i nativi possono essere considerati promotori di una coscienza ecologica?
«Assolutamente sì. Sono i migliori ambientalisti e il motivo è molto semplice: vivono in zone circoscritte e da sempre hanno adattato il proprio stile di vita alle risorse che il territorio offre, ottimizzando quelle disponibili, senza abusarne e dunque correre il rischio di deturpare l’ambiente. Inoltre, tali popolazioni non sono interessate allo stile di vita consumistico tipico dell’Occidente e non vogliono assolutamente vivere come noi, a differenza, per esempio, degli abitanti di Paesi ormai pienamente sviluppatisi economicamente e industrialmente, come la Cina o l’India, che ambiscono a seguire un modello tale e quale al nostro. Modello che, però, abbiamo visto, sta lentamente uccidendo il pianeta. Nelle zone abitate da etnie che vivono secondo i ritmi della natura non si sono mai estinti animali né si sono compromesse risorse ambientali. Per questo rapporto simbiotico e rispettoso della Madre Terra, simili microcosmi possono assolutamente essere il simbolo di un tipo di vita veramente ecosostenibile».
Chi sono gli ultimi guerrieri di cui parla nel libro?
«Nel testo racconto il viaggio che ho fatto lo scorso anno negli Stati uniti in visita alla tribù dei Crow, dai quali sono stata adottata. Durante il mio soggiorno, ho avuto modo di studiare le differenze tra questo popolo e quello dei Lakota (i Sioux-Lakota e i Crow sono storicamente nemici: fra l’altro, si affrontarono nella famosa battaglia del Little Big Horn, nella quale i primi combattevano per la libertà, mentre i secondi si erano alleati con il generale George Armstrong Custer e l’Uomo bianco). Gli ultimi guerrieri sono proprio i Lakota, animati da spirito molto combattivo nel proteggere la propria lingua e cultura e, soprattutto, le Black Hills, il territorio sacro che rivendicano dal 1874. Nonostante gli accordi di Fort Laramie del 1868, infatti, secondo i quali era assegnato ai Lakota, esso è stato ampiamente sfruttato dai bianchi per le sue ricchezze naturali: oro, uranio e petrolio (articoli recenti sul tema qui e qui). La battaglia che portano avanti è però più ampia e in difesa di tutto il pianeta; la disperazione più grande, infatti, è dovuta al fatto che la Terra soffre e va protetta: una sorta di coscienza ambientale e cura del mondo condivisa da tutti i popoli indigeni dei diversi continenti».
Qual è la visione culturale di questa etnia?
«Secondo i Lakota, nella grande Madre Terra – o Unci Maka nella lingua nativa – tutto è connesso: uomini ed esseri viventi, ma anche pietre, monti, mari e fiumi. Perciò, se soffre un elemento, soffre anche tutto il resto. Ciò mi fa venire in mente la frase che Cavallo Pazzo, il celebre capo Lakota, disse a Toro Seduto poco prima di venire ucciso: “Al di sopra e al di là della sofferenza, la Nazione rossa si rialzerà e sarà una benedizione per un mondo malato. Un mondo pieno di false promesse, di egoismo e divisioni. Un mondo desideroso di nuova luce. Vedo un tempo fra sette generazioni in cui tutti i colori dell’umanità si riuniranno sotto il sacro Albero della Vita e tutta la Madre Terra diventerà un solo cerchio, di nuovo. In quel giorno, ci saranno tra i Lakota coloro che porteranno conoscenza e comprensione di unione tra tutti gli esseri viventi; i giovani bianchi verranno tra la mia gente e chiederanno quella saggezza”».
Se si pensa che Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che sta muovendo milioni di giovani nel mondo, si è recata in visita ai Lakota, sembra proprio che quella di Cavallo Pazzo sia stata una premonizione. Chissà che non sia davvero la loro saggezza a mostrarci come salvare il pianeta e la specie umana.
Le immagini: la copertina del libro Gli ultimi guerrieri. Viaggio nelle riserve indiane; l’autrice Raffaella Milandri, in uno scatto nella riserva; Greta Thunberg in visita ai Lakota.
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(LucidaMente, anno XV, n. 169, gennaio 2020)