La mobilitazione nata quasi un anno fa per contestare le nuove accise sui carburanti, si è ormai trasformata in un vero e proprio movimento contro le riforme neoliberali del governo francese. Nel mese di settembre i manifestanti sono giunti al loro quarantacinquesimo atto. La cronaca dal nostro inviato sul campo
È uno scenario decisamente fuori dal comune quello che sabato 21 settembre si presenta agli occhi dei parigini. Le vie deserte, gli agenti con i mitra spianati e le perquisizioni a ogni angolo di strada ricordano più i, purtroppo celebri, fotogrammi degli attentati terroristici, che le immagini di una qualsiasi assolata mattina di inizio autunno. Tale data è stata, infatti, scelta dai gilets jaunes, gli ormai famosi gilet gialli, come occasione per tornare a marciare per le strade della capitale francese: è il quarantacinquesimo atto di un movimento che, da quasi un anno, porta avanti una battaglia senza esclusione di colpi contro le politiche economiche e sociali del presidente Emmanuel Macron.
Questa volta, però, il messaggio da parte delle autorità è chiaro e viene diffuso dalla Prefettura di polizia di Parigi nei giorni antecedenti alla manifestazione: 7.500 agenti verranno schierati a protezione delle cosiddette zone rosse, al fine di bloccare qualsiasi genere di assembramento attorno ai palazzi del potere. Il risultato è quello di un risveglio in un clima da golpe, più che da corteo di piazza. Gli Champs Elysées sono, letteralmente, invasi dai cellulari dei reparti speciali, i cui agenti, schierati fin dalle prime luci dell’alba, impediscono sistematicamente ogni raduno. Lanci di lacrimogeni e cariche si susseguono senza tregua, da parte di poliziotti che, in larga misura, decidono di mascherare il volto dietro ai passamontagna. Decisione insolita, emblema di un’atmosfera pesantissima. Non, certo, solamente per l’aria resa irrespirabile dai gas. La frustrazione è alta e la tensione palpabile. Ci sono gruppi provenienti da varie città della Francia che inscenano riunioni improvvisate e discutono sul da farsi: «Non possiamo dargliela vinta così! – intima un’anziana signora proveniente da Angers – Questa è dittatura!».
C’è chi prova qualche ultima incursione nelle strade che si snodano fra il teatro dell’Opéra e l’Arco di Trionfo. Decidiamo di aggregarci a loro. Qualcuno sventola la bandiera nazionale, altri intonano a più riprese la marsigliese, intervallata da cori contro il presidente Macron, il ministro dell’interno Christophe Castaner e gli agenti. In pochi minuti sono i corpi scelti del BRAV-M, nuovissimi reparti in moto creati appositamente per contrastare i gilets jaunes, a rinfrescare la memoria agli ultimi irriducibili: il ronzio delle motociclette è accompagnato dal rumore delle granate lacrimogene a frammentazione e dal suono dei manganelli che percuotono gli scudi. Si fugge, si costruiscono barricate improvvisate e ci si disperde di nuovo. «Questo è fascismo! Non ci fermerete! Macron fils de pute, dimissioni!», grida un uomo sulla quarantina nel mezzo di una strada ormai deserta, ai margini della zona rossa. A metà giornata saranno 123 le persone arrestate, senza che, di fatto, nessuna reale manifestazione abbia potuto avere luogo.
La giornata non può, evidentemente, concludersi così e l’epilogo sarà ben differente rispetto alle premesse. Sotto lo slogan «fine del mese, fine del mondo, stessa lotta!» (tema affrontato in questo articolo di LucidaMente) è, infatti, prevista la confluenza del movimento dei gilet gialli all’interno del corteo pomeridiano per il clima. Il concentramento, questa volta autorizzato, è dall’altra parte del centro storico, a debita distanza dai palazzi considerati a rischio e il colpo d’occhio al nostro arrivo sortisce tutt’altro effetto. I viali che circondano i giardini di Luxembourg strabordano di manifestanti: una larghissima composizione giovanile si mischia a migliaia di persone che indossano gilets fluorescenti. Tramite le voci dei tanti testimoni giunti in forze le notizie dei fatti della mattinata sono arrivate anche qui e, una manciata di minuti dopo la partenza della manifestazione, la situazione degenera. In testa al corteo un tricolore sventola in mezzo al fumo e un migliaio di manifestanti ha ingaggiato uno scontro furibondo con gli agenti. Un impeccabile servizio di primo soccorso, organizzato da alcuni medici e infermieri volontari appartenenti al movimento, presta assistenza ai feriti.
Un giovanissimo manifestante ci chiede aiuto, non riesce più a respirare e ha difficoltà a tenere gli occhi aperti a causa dei gas urticanti. Gli offriamo i limoni che abbiamo portato con noi per limitare l’effetto dei lacrimogeni. Ci ringrazia: «Sono bretone, siamo partiti da Brest questa mattina all’alba per essere qui in tempo e nessuno può impedirci di manifestare. È il mio primo corteo, ma non ho paura. Dimissioni!» e torna nella mischia. Viene eretta una barricata, dalla quale si innalza un grosso rogo. Dietro, la situazione torna alla normalità.
Il corteo non si scompone e marcia serenamente fino alla fine del percorso previsto, salvo qualche tafferuglio di minore entità. Secondo la prefettura di Parigi sono circa 20.000 i manifestanti, più del doppio per gli organizzatori. L’appello di Greenpeace ad andarsene a causa delle violenze non sortisce effetti importanti e l’impressione è quella di una piazza molto compatta e unita, soprattutto, da un’estrema insofferenza maturata in undici mesi di mobilitazioni e violenze che hanno lasciato sul campo diversi mutilati in maniera permanente. Nel finale, di nuovo lacrimogeni e cariche all’interno del parco di Bercy, dove avrebbero dovuto svolgersi i comizi conclusivi. Le autorità spiegheranno, poi, che l’intervento era stato necessario a causa di alcune torce fumogene lanciate sulla strada da parte dei manifestanti, ma le modalità paiono più quelle di una vendetta a freddo, in un clima di surreale calma. L’unica certezza è quella di un’evidente crepa prodottasi in seno alla società francese, in cui l’astio nei confronti di un potere inviso a molti si è gradualmente trasformato in un’ondata di profondo sdegno e delegittimazione difficilmente colmabili.
Con il calare della notte, sui social media appaiono nuovi video di cortei improvvisati, roghi e cariche sugli Champs Elysées. Qualche centinaio di manifestanti ha deciso di sfruttare le tenebre per guadagnare la propria rivalsa. Avranno la peggio due turisti, fermati dagli agenti con metodi decisamente poco ortodossi. La giornata termina così, all’interno di un contesto di scontro estremo, di cui tuttora non si scorgono né la fine, né le potenziali soluzioni. Intanto, i gilets jaunes hanno lanciato per il 16 novembre una «mobilitazione nazionale senza precedenti», il cui fulcro sarà Parigi: si contesta, in particolare la nuova riforma delle pensioni. Tema caldissimo. Un nuovo autunno rovente sembra essere alle porte.
Nicola Lamri
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, ottobre 2019)