Il “censimento” dei carabinieri di Bologna, l’assurdità della Legge Merlin, la perdurante ipocrisia
La prostituzione in Italia, si sa, è uno di quei problemi da sessant’anni “sotto al tappeto”, come quella polvere che è meglio nascondere piuttosto che far affiorare. C’è, ma ufficialmente facciamo finta di niente, salvo vietare, per la salvaguardia dell’occhio pudico dell’occasionale passante – geniale trovata del Berlusconi IV e in particolare dell’ex ministro Mara Carfagna – vestiti troppo succinti a quelle ragazze che passeggiano per la strada.
Con il nobile intento di “censire” il fenomeno, i carabinieri di Bologna hanno battuto per tre mesi, a fine 2011, le strade della prostituzione cittadina sottoponendo alle scollacciate ragazze un questionario da riempire. Generalità, provenienza, anni di svolgimento della “professione”, compenso a prestazione e guadagno medio giornaliero, costi di locazione e, ciliegina sulla torta, «dichiarazione in merito alla presenza di sfruttatori». Riga che sarà rimasta presumibilmente vuota, a meno che la sventurata di turno non volesse rischiare di “perdere il posto” dopo essere stata massacrata di botte (o magari buttata cadavere in un canale di scarico). Per questa attività i carabinieri locali hanno dispiegato ben 253 uomini, suddivisi in 72 posti di controllo, che hanno identificato 248 ragazze (98% rumene, 1,8% russe, 1,6% moldave e uruguaiane per un’età media di 26 anni e un guadagno compreso tra i 200 e i 500 euro al giorno). Secondo quanto ha riportato il Corriere di Bologna, l’Arma avrebbe dichiarato: «Non è un questionario, nessuna schedatura, è un modulo che serve per capire chi sono le prostitute, in che condizioni vivono, se pagano affitti regolari e quanto guadagnano. I dati verranno poi girati all’Agenzia delle Entrate per le verifiche fiscali». C’è qualcosa che non va.
La legge Merlin del 1958, chiudendo i bordelli, ha di fatto sancito che la prostituzione non esiste. E, in effetti, l’articolo 7 recita: «Le autorità di pubblica sicurezza, sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrativa non possono procedere ad alcuna forma diretta o indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente nei loro uffici». Nessuna tutela sanitaria, nessuna difesa contro lo sfruttamento e infine nessun controllo sui guadagni. Le prostitute sono e restano i fantasmi del benpensantismo. Per non vedere un problema basta solo girarsi dall’altra parte. Come mai ora i loro proventi vengono segnalati al Fisco? Come mai vengono schedate se il meretricio non è un reato? È quello che chiedono i radicali con una interrogazione urgente a risposta scritta ai ministri degli Interni, della Giustizia e della Difesa, firmata dalla deputata Rita Bernardini e dalla senatrice Donatella Poretti. Che i fantasmi diventino improvvisamente carne e ossa sembra un’ottima cosa. Per i fantasmi, per l’erario e per dimostrare che in fondo possiamo anche aspirare a essere un paese civile. Ma le tasse devono essere pagate su un mestiere riconosciuto e (soprattutto) tutelato dalla legge in tutti i suoi aspetti, non su una “professione” che ufficialmente non esiste.
Il fenomeno del commercio sessuale coinvolge almeno 9 milioni di italiani e 70.000 lucciole (dati 2007 del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio) con tutte le conseguenze sociali e sanitarie del caso. Vogliamo continuare a girarci dall’altra parte?
Leggi anche: Lucciole sì, ma non più schiave: proposta l’abrogazione della legge Merlin.
Le immagini: fotografie di Betto (http://www.flickr.com/photos/bettofoto), per gentile concessione dell’artista.
Cecilia Maria Calamani (da Cronache Laiche)
(LM EXTRA n. 27, 16 gennaio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 73, gennaio 2012)
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