- RATIO STORICO-POLITICA DEI DIRITTI SINDACALI NELL’IMPRESA
La libertà sindacale del 1° comma dell’art 39 Cost rimarrebbe un principio astratto e poco incisivo qualora dovesse operare solo sul piano extra aziendale e non evolvesse in “diritto sindacale” interno all’impresa. Da qui la preoccupazione del titolo II dello Statuto dei lavoratori di ribadire l’operatività del principio di libertà sindacale dell’art 39, 1° comma Cost, anche nei luoghi di lavoro.
Sarebbe poca cosa, però, se la libertà sindacale si fosse esaurita nel riconoscimento del solo diritto dei lavoratori ad organizzarsi collettivamente all’interno dell’azienda e a costituire propri organismi sindacali, senza consentire l’attivazione di ulteriori situazioni strumentali, individuali e collettive, in grado di dinamizzare l’azione sindacale: assemblee, diritto ad appositi locale ecc.
È proprio per questi motivi, dunque, che il titolo III dello Statuto dei lavoratori ha ricondotto a specifiche situazioni di diritto, che prescindono dalle dinamiche dei rapporti di forza, lo svolgimento di alcune attività sindacali nell’impresa: assemblea (art 20); referendum (art 21); affissione (art 25); raccolta di contributi sindacali e proselitismo (art 26); riunione in idonei locali aziendali (art. 27). E’ bene sottolineare che i diritti sindacali del titolo III rappresentano un quid pluris rispetto alla libertà sindacale in azienda, riconosciuta dalle norme del titolo II.
Il diritto a svolgere una specifica attività sindacale comporta, pertanto, in linea di massima, un immediato sacrificio delle ragioni tecnico-produttive del datore di lavoro.
Proprio in ragione di loro tale natura, i diritti sindacali del titolo III sono generalmente accordati non a qualunque organizzazione dei lavoratori presente in azienda, così com’è per la libertà sindacale del titolo II, ma solo alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA e/o RSU), in quanto costituite nell’ambito di sindacati particolarmente qualificati, cioè i sindacati rappresentativi dell’art 19 St.lav. Ai componenti delle RSA (e/o RSU) il titolo III attribuisce altresì appositi permessi per lo svolgimento dell’attività sindacale, cui si aggiungono, nel titolo IV, altri permessi per i dirigenti provinciali e nazionali dei sindacati rappresentativi dell’art. 19 St. lav ed altresì un’aspettativa per i lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali. Completa il quadro una particolare tutela contro il trasferimento ad altra unità produttiva del membro di RSA o RSU, nonché contro il licenziamento individuale illegittimo del medesimo.
- ASSOCIAZIONE E ATTIVITA’ SINDACALE IN AZIENDA (ART. 14)
La norma d’apertura del titolo II della l. n. 300/1970-’art. 14- sancisce il diritto per tutti il lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro. Questo articolo, insieme alla disciplina relativa agli atti e ai trattamenti economici collettivi discriminatori (artt. 15 e 16) e alla norma che pone il divieto di costituzione di sindacati di comodo (art. 17), costituisce la concretizzazione a livello aziendale del principio di libertà di organizzazione sindacale (art 39, 1° comma, Cost.).
L’art 14 si caratterizza innanzitutto quale espressione di una linea garantistica, tendente ad affermare il diritto dei lavoratori, uti singoli, ad associarsi sindacalmente nei luoghi di lavoro. Inoltre esso garantisce pure il diritto di costituire e far operare in azienda organizzazioni ed organismi sindacali al di fuori di quelli indicati dall’art 19 St.lav. A detti organismi, pur privati degli specifici diritti promozionali del titolo III, va infatti riconosciuta, proprio in forza dell’art. 14, tutta la serie di prerogative e libertà implicite nella garanzia costituzionale di libertà sindacale. La tutela si estende, pertanto, anche alla creazione di sindacati nuovi, magari autonomi o comunque di tipo aziendale, con l’unico rilevante limite che non si tratti di sindacati di comodo.
Inoltre l’art. 14 tutela lo stesso pluralismo sindacale: assicura la protezione legislativa a forme di dissenso sia stabilizzato in forme alternative all’associazione sindacale tradizionale, sia esprimentesi in momenti di organizzazione collettiva spontanea di carattere transitorio o occasionale (comitati di sciopero, di agitazione e di lotta). Unico limite all’operatività di questi gruppi rimane quello dell’art. 18, regola generale per tutti i fenomeni di carattere associativo (liceità dei fini, non segretezza).
- IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE (ARTT. 15 E 16)
L’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampia consacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi. Più tardi si sono aggiunti i divieti di non discriminazione per ragioni di sesso, razza e lingua (art 13 L. n. 903/1977), poi quelli per handicap, età orientamento sessuale, convinzioni personali. È opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici motivi vietati.
La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende, oltre ad alcuni atti tipici specificamente indicati, quelli diretti a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale o cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi. Sono esclusi solo i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a ledere gli interessi protetti.
L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea).
Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti c.d. omissivi del datore di lavoro, alcuni dei quali sono esplicitamente previsti negli art. in esame (es. rifiuto di assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici).
- SINDACATI DI COMODO (ART. 17)
L’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (e dunque anche agli enti pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Si è così inteso colpire il fenomeno dei sindacati di comodo o “sindacati gialli”: organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale.
Per quanto riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur sempre della tutela dell’art. 18 Cost., in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione.
- IL DIRITTO DI ASSEMBLEA (ART. 20)
Funzione dell’assemblea, così come del referendum, è di permettere ai lavoratori, anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e decisione delle politiche contrattuali e sindacali.
Ai sensi del 1° comma dell’art. 20 “i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell’unità produttiva”. La titolarità del diritto di riunione spetta dunque ai singoli prestatori di lavoro- ciascuno dei quali può parteciparvi nei limiti delle 10 ore annue- mentre il potere di convocare l’assemblea è riservato a ciascuna RSA.
Le assemblee possono essere indette dalle RSA unitariamente o separatamente, anche in forma orale, secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni comunicate al datore di lavoro. Hanno altresì pieno diritto di convocare l’assemblea le RSU, una volta subentrare alle RSA dei sindacati partecipanti all’elezione.
Resta ad ogni modo fermo, ex art 4 dell’A.I, il potere di indire assemblea da parte delle oo.ss. aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL applicato nell’unità produttiva “singolarmente o congiuntamente per 3 delle 10 ore annue retribuite spettanti a ciascun singolo lavoratore ex art 20 St.lav.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che, essendo l’assemblea la riunione delle persone qualificate dalla omogeneità e dalla convergenza dei rispettivi interessi, mal si concili con la sua natura la pretesa del datore di lavoro di partecipare ad essa. Problema ancora più delicato è se all’assemblea abbiano diritto di partecipare i dirigenti dell’impresa. La risposta è senz’altro negativa ove i dirigenti intendano prendervi parte come inviati dell’imprenditore. Altra questione che ha fatto discutere riguarda l’operatività del diritto di assemblea nei confronti dei lavoratori in CIG, o in sciopero e la risposta è stata positiva in ambedue i casi.
L’assemblea deve riguardare «materie di interesse sindacale e del lavoro» (può dunque concernere anche tematiche di carattere non strettamente rivendicativo-aziendale, bensì politico in senso ampio, non invece aspetti che afferiscono esclusivamente al campo della politica). La prova del carattere sindacale di una tematica è fornita dalla sola circostanza che il sindacato ne faccia oggetto del proprio interesse.
L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di 10 ore annue per ciascun lavoratore (elevabili dalla contrattazione collettiva). Le ore possono essere consumate a scelta del singolo e sono regolarmente retribuite. Il diritto di riunirsi in assemblee non trova comunque limiti temporali per quanto riguarda le riunioni fuori dall’orario di lavoro. Le assemblee nell’unità produttiva possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi.
- IL REFERENDUM (ART. 21)
Il diritto di referendum, finalizzato a far emergere l’opinione dei lavoratori (iscritti e non) su determinate tematiche, con precise limitazioni è regolato dall’art 21 St. lav.
Come per l’assemblea la facoltà di convocazione è riservata alle RSA, che possono però esercitarla soltanto congiuntamente, o alla RSU unitariamente intesa, ogni qualvolta questa, eletta nei luoghi di lavoro, sia automaticamente subentrata nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni spettanti alle RSA.
La disciplina particolarmente restrittiva del potere di indizione dei referendum appare ispirata ad un duplice obbiettivo: a) garantire una qualche stabilità alle strategie ed opzioni del sindacato, evitando una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori dissenzienti o di sindacati minoritari; b) nell’impedire una eccessiva proliferazione di consultazioni nei luoghi di lavoro, nell’interesse della parte datoriale.
Sotto il profilo dell’oggetto il referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale.
Per quanto concerne le modalità di svolgimento, l’art. 21 dispone che il referendum debba tenersi in ambito aziendale e fuori dall’orario di lavoro, salvo ulteriori modalità previste dai contratti collettivi.
Dottrina e giurisprudenza hanno optato per un rilievo del referendum circoscritto al rapporto associativo tra lavoratore e sindacato; così l’esito negativo non influisce sull’efficacia dell’accordo collettivo sottoposto a referendum, ma presenta solo una valenza “politica”.
- DIRITTO DI AFFISSIONE (ART. 25)
Anche l’art 25 St.lav, come gli art 20 e 21, mira ad assicurare il collegamento tra il personale dell’unità produttiva ed il sindacato. In questo caso, però, il collegamento non implica una partecipazione dei lavoratori, che rimangono passivi fruitori dell’attività di comunicazione.
Il diritto di affissione compete alle RSA nonché, ove costituite, alle RSU e alle OO.SS. aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL applicato nell’unità produttiva, secondo le disposizioni dell’A.I. 20 dicembre 1993. Il diritto si esercita “all’interno dell’unità produttiva” dove il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre appositi spazi (bacheche sindacali) che rendano esercitabile il diritto.
L’attività di affissione può avere ad oggetto pubblicazioni, testi e comunicati “inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro”. La previsione è interpretata in senso estensivo, considerata altresì la tendenza dei giudici a negare il potere del datore di lavoro di esercitare un controllo sul contenuto degli scritti dei quali viene richiesta l’affissione
Resta discussa l’inesistenza di qualsiasi forma di autotutela da parte del datore di lavoro, soprattutto ove il documento ecceda i limiti stabiliti dalla legge, ovvero risulti offensivo, diffamatorio per il datore o in generale integri gli estremi di un reato.
- PROSELITISMO E COLLETTE SINDACALI NEI LUOGHI DI LAVORO (ART. 26)
In funzione di sostegno al sindacato, l’art. 26 riconosce ai singoli lavoratori il diritto “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”.
L’attività di proselitismo non coincide esattamente con una forma qualificata di propaganda, in quanto comprende -oltre a comportamenti manifesti- momenti ed aspetti operativi, volti a concretamente promuovere l’ingresso di nuovi elementi nell’organizzazione sindacale.
All’attività di proselitismo l’art 26 accomuna quella di raccolta dei contributi per le organizzazioni sindacali. Si tratta di quote che ciascun lavoratore iscritto è tenuto a versare (in forza dell’iscrizione) al proprio sindacato, in esecuzione delle previsioni statuarie e di delibere degli organi sociali, per garantire un gettito finanziario idoneo alla costituzione del fondo comune.
L’art 26 non è ispirato al criterio selettivo dell’art 19 St.lav, come altre norme del titolo III. Beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo sono, infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, con la differenza, rispetto ai diritti di assemblea e di referendum, che la situazione attiva conferita al singolo non è subordinata all’esercizio di un potere da parte dell’organizzazione sindacale. Il proselitismo e la raccolta di contributi sindacali ad opera dei prestatori di lavoro in favore delle proprie organizzazioni incontrano il limite “espresso” del rispetto del “normale svolgimento dell’attività aziendale”.
Originariamente, l’art 26 conteneva due successivi commi, che riconoscevano un vero e proprio diritto delle associazioni sindacali di percepire i contributi sindacali tramite ritenuta sulla busta paga dei lavoratori. Con l’abrogazione dei commi 2° e 3° dell’art 26, ad opera del referendum popolare dell’11 giugno 1995, il suddetto diritto dei sindacati alla percezione dei contributi mediante automatica trattenuta datoriale sul salario dei lavoratori iscritti è stato privato di fondamento legislativo, anche se i più significativi contratti collettivi nazionali di categoria disciplina a tutt’oggi la materia in maniera analoga alle disposizioni legislative abrogate.
- LOCALI PER LE RSA (ART. 27)
Oltre ad idonei spazi su cui affiggere testi e comunicati (art 25), le rappresentanze sindacali hanno diritto ad utilizzare appositi locali per l’esercizio dell’attività sindacale, messi a disposizione dall’azienda. La prerogativa è riconosciuta alle RSA o alle RSU, se costituite.
Da notare tuttavia il fatto che la disposizione di cui all’art. 27 distingue due ipotesi. La prima delle quali concerne le unità produttive con almeno 200 dipendenti: in esse è fatto obbligo al datore di lavoro di mettere a disposizione delle RSA permanentemente un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Secondo la giurisprudenza l’idoneità e la disponibilità del locale devono intendersi in senso lato, comprendente cioè una certa capienza, un minimo di attrezzature e la possibilità delle RSA di riunirsi nel predetto locale in ogni momento che esse ritengano opportuno, senza nessuna limitazione e nessun obbligo di darne notizia al datore di lavoro.
La seconda ipotesi riguarda le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nel cui caso viene meno il requisito della permanente disponibilità. Il 2° comma dell’art 27 infatti subordina la concessione di un idoneo locale per le riunioni che di volta in volta le RSA o le RSU decideranno di tenere, quindi prevedendo una situazione di potere più precaria di quella ipotizzata nel 1°comma. La violazione di tale diritto e la concessione di tali spazi costituisce condotta antisindacale.
- PERMESSI PER I DIRIGENTI SINDACALI AZIENDALI (ARTT. 23 E 24)
La carica di dirigente sindacale aziendale dà diritto a permessi retribuiti (art. 23) e a permessi non retribuiti (art. 24), che facilitano l’esercizio delle attività sindacali, al riparo da ritorsioni del datore di lavoro.
I permessi retribuiti sono concessi ai dirigenti delle RSA o ai componenti della RSU, ove esistente, “per l’espletamento del loro mandato”. Con questa locuzione deve intendersi il complesso delle attività e delle funzioni inerenti alla sfera di competenza delle strutture sindacali aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva. La situazione prevista dall’art 23 dà luogo ad un esonero legale dall’obbligazione lavorativa, che rende possibile al dirigente sindacale di assentarsi dal lavoro per svolgere le funzioni inerenti alla propria qualifica, con conservazione dell’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro.
I permessi non retribuiti dell’art. 24 sono, invece, concessi ai dirigenti di RSA o ai componenti di RSU che vi subentrino, oltre che alle OO.SS. aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL “per la partecipazione a trattative sindacali o congressi e convegni di natura sindacale”. È irrilevante la compatibilità dell’assenza del lavoratore che si avvale del permesso con le esigenze aziendali. Spetta alle RSA, alle singole componenti sindacali della RSU o all’associazione sindacale che inoltra al datore la richiesta dei permessi, il ruolo di garanti della corretta destinazione sindacale del permesso medesimo. La fruizione del permesso non dipende da un atto di concessione o di autorizzazione del datore di lavoro, la cui volontà è ininfluente. Il dirigente che intende godere del diritto ha semplicemente l’onere di darne comunicazione, a seconda dei casi, tramite la RSA o la RSU, o l’organizzazione sindacale titolare (per i permessi non retribuiti), per iscritto al datore di lavoro di regola 24 ore (per i permessi retribuiti) o tre giorni prima (per i permessi non retribuiti), senza necessità di indicare nello specifico le ragioni della richiesta.
Le norme infine prevedono limiti circa i soggetti beneficiari e il numero delle ore di permesso usufruibili, che variano a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva.
- PERMESSI E ASPETTATIVA PER I DIRIGENTI SINDACALI ESTERNI (ARTT. 30 E 31)
A norma dell’art. 30 St. lav., i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali dei sindacati di cui all’art 19 St. lav. hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti. I lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali e nazionali, a norma dell’art. 31 1° e 2° comma, possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato (così come i lavoratori chiamati a talune funzioni pubbliche elettive).
- GUARANTIGIE PER I DIRIGENTI SINDACALI AZIENDALI
L’art. 22 e l’art.18 commi 7°, 8°, 9° e 10° prevedono una tutela speciale a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti. In ordine al licenziamento, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata di tipo processuale: egli può essere provvisoriamente reintegrato nel posto di lavoro con ordinanza, in ogni stato e grado del giudizio, ove il giudice ritenga prima facie non sufficientemente provate o irrilevanti le ragioni del datore di lavoro. Inoltre, se il datore non ottempera all’ordinanza di reintegrazione viene condannato, oltre che a versare a favore del lavoratore la normale indennità risarcitoria -commisurata alla retribuzione globale di fatto-dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, “anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (art. 18, 10° comma).
Il trasferimento, invece, dell’unità produttiva dei dirigenti delle RSA, dei candidati e dei membri di commissioni interne, ai sensi del 1° comma dell’art. 22, può essere disposto solo previo nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza. La mancanza del nulla-osta sindacale, perché non richiesto o non concesso dall’organizzazione sindacale a cui il dirigente della RSA appartiene, rende inefficace (o meglio nullo) il provvedimento di trasferimento, cosicché il lavoratore può rifiutarsi di ottemperare all’ordine di spostamento dal suo normale posto di lavoro, mentre l’organizzazione sindacale può ricorrere allo strumento dell’art 28 St.lav, data l’idoneità della condotta datoriale ad alterare l’equilibrio tra potere manageriale e contro-potere sindacale nell’unità produttiva.
In assenza di una chiara specificazione legislativa si è posto innanzitutto il problema della identificazione e quantificazione dei lavoratori cui è consentito avvalersi della tutela dell’art 22 e dell’art 18, comma 7° e seguenti.
L’opinione oggi prevalente è quella dell’applicabilità della tutela ad ogni lavoratore, che, indipendentemente dalla sua posizione formale all’interno dell’organismo aziendale, svolga un’attività tale da potersi ritenere responsabile dell’organizzazione della struttura sindacale aziendale. Domina, dunque, un criterio di effettività del ruolo ricoperto dal dipendente nella struttura sindacale.
Il problema pare, tuttavia, ridimensionato dalla crescente diffusione delle RSU, per le quali l’A.I 20 dicembre 1993 fissa precisi limiti di componenti, disponendone il subentro ai dirigenti di RSA nella titolarità dei diritti e elle tutele del titolo III, incluso, quindi, quelle degli artt 18, commi 7° e seguenti e 22, in tema di licenziamento e trasferimento.
- CAMPO D’APPLICAZIONE DEL TITOLO III DELLO STATUTO (ART. 35)
Per l’art. 35, comma 1°, le disposizioni del titolo III, rispetto alle imprese industriali e commerciali, “si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”; sempre per il 1° comma dette disposizioni si applicano anche alle imprese agricole che occupano più di 5 dipendenti. Il 2° comma dell’art. 35 precisa che al fine del raggiungimento della consistenza occupazionale indicata è sufficiente che l’impresa occupi più di 15 dipendenti nello stesso comune “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti”.
- DIRITTI SINDACALI NEL LAVORO PUBBLICO
Sul versante del lavoro pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato. Nel settore del lavoro nella P.A i componenti della RSU sono pienamente equiparati ai dirigenti di RSA, mentre su quello dei diritti e delle prerogative collettive, tutto è rinviato agli accordi sulla costituzione e il funzionamento delle RSU.
L’art 50 del D.lgs n. 165/2001 mantiene una disciplina speciale per distacchi, aspettative e permessi sindacali, affidando ad un apposito accordo quadro tra ARAN e confederazioni sindacali rappresentative il compito di determinare i limiti massimi, ai fini “del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione” dei medesimi. L’accordo quadro (AQ) riconosce distacchi, aspettative e permessi ai sindacati rappresentativi, e permessi alla RSA, nonché alla RSU, previo trasferimento ad essa delle garanzie spettanti alle RSA medesime dei sindacati firmatari degli accordi per la disciplina delle rappresentanze unitarie. Quanto al secondo profilo, la disciplina contrattuale individua un contingente complessivo per ciascuno degli istituti: distacchi sindacali retribuiti; permessi sindacali retribuiti; aspettative non retribuite, permessi sindacali non retribuiti.
I distacchi sindacali retribuiti consentono ai dipendenti pubblici, membri di organismi direttivi dei sindacati rappresentativi, di svolgere a tempo pieno attività sindacale con sospensione del rapporto per tutto il periodo del distacco. I permessi sindacali retribuiti, invece, sono riconosciuti, in via giornaliera ed oraria, oltre che a quei soggetti, alle strutture sindacali titolate alla contrattazione integrativa, nonché ai componenti delle RSU, ai dirigenti di RSA, ai terminali associativi di sindacati rappresentativi. Delle aspettative sindacali non retribuite ne possono godere i dipendenti che ricoprano cariche in seno ad organismi direttivi dei sindacati rappresentativi ai sensi dell’art 31 St. lav. Quanto, infine ai permessi sindacali non retribuiti ne godono i rappresentanti sindacali titolati alla contrattazione integrativa, i componenti di RSU, i dirigenti di RSA, i terminali associativi dei sindacati rappresentativi, i componenti degli organismi direttivi dei sindacati rappresentativi, per la partecipazione a trattative, congressi e convegni di natura sindacale in misura non superiore ad otto giorni l’anno.
- DIRITTI DI INFORMAZIONE E CONTROLLO
Al di fuori dello Statuto, uno degli sviluppi più significativi in tema di diritti sindacali riguarda i c.d. diritti di informazione, di consultazione e di controllo rispetto a scelte organizzative o a politiche economiche e industriali dell’impresa. Essi possono avere origine diversa (legislativa, contrattuale) e si legano alla tematica generale della partecipazione del sindacato alle scelte imprenditoriali.
Lo sviluppo maggiore dei diritti in questione si ha nella contrattazione collettiva. Il diritto sindacale di informazione, consistente nella semplice comunicazione di conoscenze al sindacato; in taluni contratti collettivi, detto diritto sfocia poi nell’obbligo dell’imprenditore di sottoporre la materia ad esame congiunto con la controparte, soprattutto in relazione alle conseguenze delle scelte aziendali sulle condizioni di lavoro e sull’occupazione.
L’informazione si articola a diversi livelli -nazionale, regionale, provinciale, d’impresa o di gruppo di impresa- e coinvolge diversi soggetti: i sindacati nazionali di categoria che hanno sottoscritto il contratto, le loro articolazioni regionali o provinciali, le RSA o RSU; oggetto delle informazioni sono, generalmente, le questioni riguardanti l’organizzazione produttiva, il decentramento, le strategie aziendali.
Già nel corso degli anni ‘80, si è assistito ad una evoluzione delle forme di partecipazione dei lavoratori nell’impresa, con la frequente istituzione, ad opera dei contratti collettivi, di organismi permanenti ad hoc, composti dai rappresentanti dei datori di lavoro e delle OO.SS dei lavoratori, con compiti partecipativi in determinate materie: pari opportunità, formazione professionale, ambiente di lavoro ecc.
Un impulso all’evoluzione ulteriore di modelli partecipativi nel nostro paese parrebbe venire dalla normativa comunitaria. La Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa (art 27) e la Costituzione Europea, che ha recepito quella Carta, colloca la partecipazione tra i mezzi che l’Unione sostiene per conseguire gli obbiettivi della promozione dell’occupazione, del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, della protezione e del dialogo sociale, dello sviluppo delle risorse umane, della lotta contro l’emarginazione. La questione del coinvolgimento dei lavoratori nell’andamento delle imprese è stata, poi, affrontata nel dettaglio da una serie di direttive comunitarie. Tutto ciò con l’obbiettivo più generale di favorire relazioni sindacali aziendali ispirate al dialogo sociale, così da salvaguardare la competitività delle imprese e garantire il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Alessandro Saggini
(LucidaMente, anno XV, n. 171, marzo 2020)