Viaggio dalle terre di emigrazione ai supermarket delle nuove mafie
“Dai, amico, compra qualcosa, dai, un caffè”. Roland fa su e giù per via Petroni e dintorni tutti i santi giorni. E’ uno dei tanti ragazzi che girano per le vie del centro di Bologna. Dalla busta che porta fa uscire di tutto. Fazzolettini, calzini, accendini. Viene dalla Liberia, uno dei paesi più poveri dell’Africa sub-sahariana, e ha quarantotto anni. Oggi il suo Paese è dilaniato da una guerra continua tra fazioni, prima per accaparrarsi i diamanti, poi il legname, risorse queste che secondo Greenpeace (Tronchi di guerra) avrebbero un importante “ruolo nel traffico illecito di armi, così come nell’insicurezza e nella destabilizzazione dell’area”. E l’Italia è uno di quei paesi che contribuisce a questo stato di cose, in quanto importatore, nonostante nel 2000 la risoluzione 1306 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia provato il legame tra traffico del legno e traffico di armi verso la Sierra Leone.
Meglio lo smog che essere colpiti da una pallottola
Roland racconta che da dove viene non c’è giorno che non si speri di restare vivi. “Sopravvivere” dice “vuol dire sperare di essere uccisi da una pallottola piuttosto che restare storpi, senza un braccio, una gamba, o con gli occhi bruciati”. E’ felice della sua vita ora. “Ci sono giorni che non mangio, amico, ma va bene, va bene. Cosa penso di starmene tutto il giorno in mezzo al traffico? Non m’importa, qui mi piace persino respirare lo smog; sto meglio, davvero, poi oggi mi hai dato due euro, è un cappuccino questo”. Storie d’immigrazione come questa a Bologna ce ne sono tante, nonostante l’Emilia-Romagna, come ricorda l’Osservatorio dell’Immigrazione, sia tra le prime regioni italiane a essersi dotata d’una normativa che mira al superamento dell’intervento emergenziale ed episodico, includendo richiedenti asilo, rifugiati, e assicurando loro una serie di diritti sociali fondamentali come l’istruzione, la formazione professionale, l’apprendimento linguistico, l’assistenza sanitaria e il diritto al lavoro (art. 2 della legge regionale 5/2004).
Come Amhed invece, che arriva dalla Tunisia, ce ne sono anche di più. Basta frequentare gli internet point che a decine si spargono per la città. A starci dentro si capisce che sono luoghi dove si chiamano le famiglie rimaste nei paesi d’origine, i parenti, gli amici. Ci si incontra, si scambiano notizie, si parla del vissuto bolognese, di politica. C’è gente che fa mestieri diversi. Imbianchini, operai, muratori, badanti, e c’è chi, senza documenti, lavora in nero. Si ride, si piange, come Lia, che ha italianizzato il suo nome ucraino: oggi non riesce a sentire suo figlio di dieci anni. Sono luoghi dove emerge l’integrazione con la città e tra le diverse nazionalità ma anche le difficoltà del vivere quotidiano a Bologna. “Vorrei essere lì” dice arrabbiato Amhed “vorrei che tutto questo fosse capitato a un altro, che Allah mi perdoni”. Giustifica la rabbia con la fatica di vivere. “Pensavo di cambiare tutto, ma a stento riesco a campare, quello che mando alla mia famiglia non basta mai”.
Il sogno occidentale come prodotto/servizio delle nuove mafie
Il divario tra il modello di vita occidentale pubblicizzato dai media dei loro paesi e la realtà socioeconomica d’arrivo per queste persone è spesso un’esperienza forte. Sono quasi 48 mila in provincia di Bologna i titolari di fogli di soggiorno, carte di soggiorno e Carte Ue rilevati all’inizio del 2007 (dati della Questura e dell’Osservatorio dell’Immigrazione di Comune, Provincia e Prefettura U.T.G.), con una quota di minori superiore alla media nazionale, il 21,2 per cento (stime del dossier Caritas/Migrantes 2006). Tra le principali cittadinanze che hanno la carta di soggiorno figurano tunisini, filippini, marocchini, pakistani e bangladesi, albanesi e cinesi. I motivi principali della presenza di stranieri in provincia di Bologna riguardano il lavoro subordinato, i ricongiungimenti familiari, il lavoro autonomo, studio e asilo politico. Gli uomini sono in maggioranza rispetto alle donne per motivi di lavoro e asilo politico. Le donne, che hanno superato la metà dei soggiornanti, prevalgono per motivi familiari, studio, residenza elettiva, e fra le tipologie più marginali, per i permessi a favore del recupero dalla prostituzione. A sentire i loro viaggi per arrivare in Italia si capisce che la maggior parte di queste persone è entrata irregolarmente. E’ lo stesso Rapporto sulla criminalità del Ministero dell’Interno a confermare che “la componente regolare dell’immigrazione è fatta, in larga misura, da stranieri precedentemente irregolari o, addirittura, clandestini”.
La tratta degli esseri umani
La fase di trasporto avviene o in forma apparentemente legale, in quanto i migranti vengono dotati di documenti falsi, o illegali; con la “tratta” le organizzazioni fanno viaggiare le persone in situazioni disumane, ricorrendo frequentemente a violenze individuali e collettive. Nella maggioranza dei casi lo sfruttatore fa parte di una rete criminale transnazionale composta da gruppi di persone o singoli individui con un grado di differente specializzazione. Esistono quindi esperti nel reclutamento, nella contraffazione dei documenti, nel trasporto dai Paesi di origine a quelli di destinazione, nello sfruttamento della prostituzione, anche mediante violenza fisica o psicologica, nel riciclaggio dei profitti illeciti. Attualmente verso l’Italia c’è da una parte una forte pressione di flussi criminali provenienti dalla Turchia e dagli stati dell’ex Unione Sovietica, attraverso il Kosovo (citato come “lo stato delle mafie” in un recente quaderno speciale di Limes), e l’Albania. Dall’altra, la pressione via Mediterraneo, gestito, sempre secondo il rapporto del ministero, da organizzazioni “in Libia con ramificazioni nei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, nonché referenti logistici nei Paesi di destinazione utilizzati anche per favorire la fuga dai centri di accoglienza”.
Poi c’è la criminalità nigeriana, tra le più attive nella tratta di esseri umani, e quella cinese, che rende i clandestini debitori di chi ne ha organizzato l’espatrio, divenendo in Italia manodopera di straordinaria economicità: paghe bassissime alle quali si aggiunge l’elevata capacità lavorativa. Queste hanno a loro volta rapporti con altre organizzazioni criminali operanti all’interno del territorio peninsulare. Da una parte le organizzazioni italiane forniscono, in alcuni casi, assistenza logistica; dall’altra organizzazioni straniere, ma ormai tanto stabili nel nostro paese che richiedono alle reti criminali transnazionali la fornitura continua di cittadini stranieri, avendo diversificato i settori illeciti in cui utilizzarli: sfruttamento sessuale, lavoro dei campi, segmenti del lavoro in nero.
La via Emilia, arteria fondamentale della regione, lo è anche nello sfruttamento della prostituzione da parte delle organizzazioni criminali, e Bologna ne rappresenta un centro nevralgico. Tutta la rete di prostituzione in città è infatti organizzata seguendo questo asse, passando per la città da San Lazzaro a Borgo Panigale, per giungere fino a Rimini, punto d’arrivo in Italia dall’Est Europa, fino a Modena, da dove possono ripartire verso Germania, Francia, ecc…
Un rischioso viaggio dalla Nigeria
Nella testa del cliente, che spesso per un falso moralismo all’italiana se ne lamenta quando le ha sotto casa, sono “vie del sesso”, strade dove può comprare, da giovani donne, prestazioni sessuali. Nei piani delle organizzazioni mafiose che gestiscono il fenomeno, rappresentano veri e propri supermercati in grado di fruttare enormi profitti, il terzo dopo armi e droga. Come ogni supermercato che si rispetti anche questo ha la sua organizzazione capillare. Il prodotto nell’area di Bologna è costituito, come ricorda Marco Bruno, coordinatore del Progetto “Non sei sola” dell’Onlus Albero di Cirene, dal 1997 operativa nel recupero delle ragazze di strada, da donne provenienti per la maggior parte da Romania, Moldavia, Albania e Nigeria, con una marginalità composta da paesi asiatici, come la prostituzione cinese relegata a una nicchia di connazionali attraverso i centri di massaggio. Età, tra i 16 e i 30 anni. Più del 70% delle nigeriane sono di etnia Edo e provengono da luoghi a forte disagio sociale come Benin City, Lagos, una delle città più povere e popolose dell’Africa. Non diversa la situazione di disagio da cui provengono le ragazze dell’Est Europa.
I costi del trasporto se li addebita uno sponsor. Molte di loro infatti, non trovando risposte ai propri problemi nelle istituzioni dei paesi di provenienza, si affidano a organizzazioni parallele che ne finanziano il viaggio. Spinte spesso da genitori, mariti e naturalmente da quelle stesse organizzazioni per le quali sono fonte di guadagno. E’ il meccanismo del debito, usato come strumento per ottenere sottomissione e obbedienza. Le ragazze nigeriane possono comprare la loro “serenità” quando finiscono di pagare il debito di 50.000 euro contratto all’atto dello juju con chi gli sponsorizza il viaggio. Un rituale che aggiunge a tradizioni animiste locali una forte componente di violenza psicologica, minacce personali e alla famiglia. “Tutto andrà bene se terrò fede al patto che ho fatto con la mia “madame””, questo potrebbe ripetersi una ventenne nigeriana prima di partire per l’Italia. Trovato lo sponsor si procede a comprare documenti falsi (4/5.000 euro) e trovare chi le porterà a destinazione, con un suo costo che prevede la “corruzione” delle guardie di frontiera in Niger e un primo rischio, il deserto, dove sovente si muore senza lasciare più traccia. In Libia sono altre organizzazioni locali a trasportarle via Mediterraneo fino a noi. Alcune di queste organizzazioni, che rappresentano un vero e proprio boom di “attività criminali” diffuse, si agganciano a organizzazioni più grandi al fine di abbattere “i rischi d’impresa”. Per ogni viaggio scelgono uno dei clandestini che trasportano. Gli insegnano a pilotare le barche con l’offerta di abbonargli il costo del biglietto per l’Italia che va dai 3 ai 10.000 euro, a seconda della fama dell’organizzazione.
La prostituzione come strumento della tratta
Anche le ragazze rumene, albanesi, moldave, partono per un riscatto esistenziale, convinte attraverso diverse forme di reclutamento. Una, nuova e inquietante, è rappresentata da donne stesse che sfruttano, reclutano e organizzano il viaggio. In Romania, secondo uno studio della Commissione governativa risulta che l’anno prossimo gli stipendi lordi più alti oscilleranno tra i 600 e i 1.000 euro: settore bancario, amministrazione pubblica e industria estrattiva. Molte donne, che certamente non potranno mai appartenere a questa schiera di fortunati, partono sotto convinzione di prostituirsi per un breve periodo: le organizzazioni dicono loro che se si guadagna bene si può arrivare fino a 20.000 euro al mese. Poi tornare a casa arricchite, comprarsi una macchina, una casa, aprire un’attività. E’ l’unico modo per cambiare vita. A volte la forma di reclutamento è più cruenta. Per esempio attraverso finti matrimoni, con ragazzi che le sposano con l’idea di fargli cambiare vita in Italia, ma una volta giunti le obbligano con la violenza a prostituirsi. “Il mio ragazzo” è la risposta che danno spesso le giovani alla domanda “chi è il tuo pappone?”. Una volta che si è entrati nel fiorente mercato italiano (sono circa 900 gli uomini che vanno in un mese con una ragazza), le modalità di sfruttamento sono la strada, gli appartamenti, i locali privati, pubblicizzati su quotidiani e giornali, e gli alberghi; le prostitute utilizzano la camera, facendo pagare il cliente, innumerevoli volte in una serata, con fiorenti guadagni anche per gli albergatori collusi.
All’aperto le donne vengono spesso spostate per intralciare l’azione della polizia e delle associazioni impegnate nel settore. Le forme di controllo esercitate su di esse avvengono tramite pedinamenti, percosse, uso di cellulari per conoscerne sempre la posizione. A fare da ronda ci sono anche donne, di solito quelle presenti da più tempo in Italia. Loro danno direttive, conoscono le zone dove piazzare le ragazze e dove fargli consumare i rapporti.
Sfruttatori, “papagiro” e altri…
Attorno al fenomeno della prostituzione a Bologna, oltre al ruolo dei trafficanti, e della logistica criminale interna ai paesi di arrivo, ci si deve scontrare anche con la connivenza di una particolare tipologia di cliente. Sono i “papagiro”, come li chiamano le ragazze, persone anziane agganciate da chi controlla il racket, che in cambio di prestazioni sessuali le caricano per accompagnarle a casa o sul posto di lavoro. Poi ci sono tutti quegli italiani che rimangono all’ombra delle organizzazioni criminali, quelli che emergono dalle cronache giudiziarie. Sono prestanomi, medici che sotto richiesta del magnaccia fanno abortire le ragazze, finti mariti per regolarizzare la schiava di turno, uomini che le fanno assumere falsamente da imprenditori o da privati loro amici, gente che procura alloggi, che fa da tassista accompagnando le donne sui luoghi della prostituzione per poi riaccompagnarle a casa, nel segreto delle loro abitazioni.
Sul fenomeno dello sfruttamento degli esseri umani, in particolare delle prostitute, LucidaMente promette ai lettori altri approfondimenti e rivelazioni (r.t.).
Andrea Spartaco
(LMMagazine n. 1, 15 marzo 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 27, marzo 2008)
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