La raffinata raccolta di prose poetiche I canti dell’occhio (CSA editrice, pp. 48, euro 8,00) di Erika Dagnino, è accompagnata da una Postfazione di Massimo Caviglione, utile a interpretare un’opera certo di non facile lettura. Eccola, per intero, di seguito.
L’occhio, perfezionatissima macchina ricettiva-trasmettitrice è un apparato fisiologico del corpo umano – ma sarebbe interessante estendere il discorso all’animale, presente/assente nel mondo così come abbiamo l’ambizione di rileggerlo, culturalmente. E quindi doppiamente con la vista del corpo e, metafora antichissima, dello spirito, figurato quasi dotato di un megaocchio, acuto fino all’onniveggenza, lo strumento visivo è veicolo di quel portento – sempre sfruttato, mai pensato abbastanza – che è l’immagine.
Si pensi all’importanza capitale della vista in tutte le sue accezioni in campo artistico: la pellicola della realtà, quella che ci scorre continuamente davanti, e che, per un’alchimia, misteriosa e refrattaria ad ogni interpretazione, sfugge a ogni parametro causale, e quella che semplicemente potremmo definire “dentro la nostra testa”, vero motore di ogni più remota dynamis dell’anima, di cui il sogno è soltanto la manifestazione più esibita. Occhio come strumento, dunque, ma anche canale, proiettore e schermo dell’immaginario, veicolo del possibile e dell’impossibile. Prendendo come misura la Realtà, beninteso, quel campo di azione, retroazione e inazione del Tutto, che, ancora una volta si riduce proprio alla somma di quello che si “vede” e che non si “vede”, appunto. Poco importa se con l’occhio della mente o del corpo, due in uno, uno più due. L’importante è che l’Occhio è il vero e unico mezzo di trasporto dell’Anima…
I canti dell’occhio di Erika Dagnino sono appunto canti, quindi per autodefinizione emissioni verbali e musicali di suono appartenenti/riguardanti l’udito e l’orecchio, organo uditivo, che si riferiscono all’occhio, strumento visivo per antonomasia. Ma il sensismo è il contrario della fruizione-contemplazione poetica. Il canto vuole un soggetto, seppure il più absconditus possibile, e un oggetto magari il più astratto e inafferrabile, ed è appunto l’occhio contemplativo-contemplato ad assumere la doppia funzione, materia e intonazione, referente e incipit ispirativo dei componimenti. Anche qui, come in tutte le opere di Dagnino, la parola trascolora (varia, nel senso di variazione, anche musicale) nell’oggetto, che trascolora nell’Altro-da-Sé, quindi nell’Altrove, nel Non-Oggetto, ovverossia l’oggetto quando perde la sua abituale funzione referenziale per assumerne un’altra o mille altre, si disoggettualizza dal contesto, perfino dal concetto, senza perdere la sua sostanza immaginale.
La narratività apparente, quella del dettaglio minimo – seppure cantato concatenato ad altri dettagli – si disarticola, e se l’occhio della mente è catturato dalla fabula poetica ne percepisce il continuo spostamento, la messa in questione ontologica. La narratività permane, ma è la narrazione a cessare di esistere nella sola estrinsecazione spazio-temporale, e resta presente nella sua modalità di corpostruttura, materia polidimensionale e ombra al tempo stesso di se stessa. Corpo delle “cose” come contenitore, struttura, appunto, per un contenuto immateriale, ma fisicamente imbevuto di materia altra, strettamente apparentata all’extramateriale, con un anelito che diventa realizzazione e attingimento mai appagato di quell’Altrove che, come detto sopra, rimane il solo linguaggio e la sola meta, senza contorni ma definitissima di tutte le opere di Erika Dagnino: il Nulla esistentivo che prende forma cessando e non cessando di essere Nulla, ma assurgendo a vera e unica Forma significante. Il significato nasce e si sostanzia lì dove un secolo di tradizione culturale ha visto soltanto l’Assenza. Ma proviamo a cercarlo solo nella Parola, mai nelle parole. E quando saremo a confronto con la Parola sarà come l’incontro con Medusa: solo a nostro rischio e pericolo…
(Massimo Caviglione, Postfazione a Erika Dagnino, I canti dell’occhio, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina del libro di Erika Dagnino.
Simone Jacca
(LM EXTRA n. 19, 15 gennaio 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 49, gennaio 2010)