La sedicenne svedese, paladina del movimento “Fridays for future”, ha coinvolto milioni di persone in una manifestazione contro i cambiamenti climatici in atto. Che tipo di dibattito si è sviluppato attorno alla sua figura? E che ruolo può ricoprire nell’immaginario collettivo?
Ogni corteo ha una sua voce propria. Ogni forma di protesta diffusa ha, in realtà, un unico volto. Basta saper ascoltare e saper guardare. Pensiamo al proverbiale uomo qualunque che, venerdì 15 marzo 2019, in tarda mattinata, sta cominciando a cucinare con la finestra aperta su una delle vie centrali di una grande città. Disturbato dal fracasso e ignaro di tutto, accendendo il gas, esclama: “Ma proprio sotto casa mia devono venire a giocare ’sti ragazzini?”. Poi, incalzato dalle urla, o chiude la finestra o si affaccia e intuisce che non si tratta esattamente di un gioco.
Quasi 1.700 città di oltre cento nazioni, con l’Italia tra le più attive, hanno risposto “presente!” allo sciopero per salvare il pianeta dai preoccupanti cambiamenti climatici registrati negli ultimi anni e previsti per gli anni a venire. Tutto nasce dall’iniziativa tenace di Greta Thunberg, studentessa e attivista di Stoccolma, che – dal 20 agosto 2018 – ha cominciato a manifestare davanti al Riksdag, il Parlamento svedese, al grido di «Skolstrejk för klimatet» (sciopero della scuola per il clima). E l’ha fatto tutti i venerdì (da qui, Fridays for future). Puntuale come un orologio svizzero. O come una teenager svedese. Il tutto poteva anche essere derubricato come una normalissima posa adolescenziale, finché la Thunberg, oggi candidata al Nobel per la Pace, non ha scelto proprio queste parole per esporre le sue idee alla Cop24, la Conferenza mondiale sul clima tenutasi a Katowice, in Polonia, nel dicembre 2018. Parole che smuovono ed esaltano: la giustizia climatica è messa a repentaglio anche da un’insana distribuzione delle ricchezze sul globo.
Da allora, Greta diventa un idolo: il Time la inserisce tra i 25 teenager più influenti al mondo insieme a Kylian Mbappé e i suoi followers su Instagram si moltiplicano. Ve la ricordate Miley Cyrus seminuda che cavalca una palla da demolizione? Ecco, aggiungete due trecce bionde e dei contenuti seri. Sappiamo bene che si tratta di un paragone più che azzardato. La storia della Thunberg è forse molto più vicina all’esperienza di Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace nel 2014, attivista per il diritto all’istruzione, che da qualche anno è completamente scomparsa dai radar del dibattito massmediatico.
Ma anche lei aveva ispirato gli adolescenti cinque anni fa: quelli già politicamente attivi e più sensibili tenevano in bella mostra il suo libro nei loro scaffali semivuoti. E ne condividevano le frasi su Facebook. Entrambe rappresentano una declinazione insolita della figura del teen idol: la capacità di creare hype viene messa al servizio di una battaglia ideologica, non svilita solo per guadagnare qualche milione in più in merchandising. Di sicuro, la platea di riferimento – almeno anagraficamente – resta la stessa. Il 15 marzo dalle strade si levavano cori di voci bianche, c’erano tante facce pulite e scarpe da ginnastica consumate. Ormoni e cannette. Tutti determinati a spiegare come vanno davvero le cose. Tutti con la convinzione di chi ha appena scoperto che la soluzione è semplice. E che gli allevamenti intensivi sono il male. I piatti di plastica poi, non ne parliamo.
Per molti adulti tutto ciò è capitato all’improvviso: si sono ritrovati i social e i talk show invasi da questi sbarbatelli che volevano insegnare loro a vivere. Che dicevano “avete sbagliato tutto”. E, stringi stringi, avevano anche ragione. Ma, si sa, l’atavico problema dell’incomunicabilità generazionale esiste, fa danni ed è stato già ampiamente maltrattato. Quindi le reazioni dei grandi non sempre sono state d’encomio. E non sempre sono state encomiabili. Analizzare ogni intervento contrario all’iniziativa della Thunberg sarebbe molto faticoso per chi scrive, oltre che probabilmente noioso per chi legge.
In questa sede ci interessa fornire un compendio di tutte le critiche che hanno fatto notizia: le dichiarazioni di Maria Giovanna Maglie, i tweet di Nadia Toffa e Rita Pavone e le parole di Giampiero Mughini. Anche sulle basi di questo impianto concettuale è stato possibile imbastire una dialettica tra pro e contro che fa tanto gioco al minutaggio delle conversazioni al bar. Inoltre, come spesso avviene in risposta ai movimenti di protesta, si affaccia sulla questione anche lo spettro del “benaltrismo”, con una o più domande che appaiono sfumate sullo sfondo: “Ai terremotati chi ci pensa?” è la più gettonata. Provocazioni e critiche magari anche condivisibili che, però, di fronte alle folle fresche e chiassose del 15 marzo inevitabilmente impallidiscono. Suonano fioche e vengono sovrastate dai cori stonati di quella giornata. A volte fanno testo, altre volte si perdono nel vento. Come il parere dell’uomo qualunque che ha continuato a tritare cipolla per il soffritto e ha scelto di non affacciarsi alla finestra.
Le immagini: Greta Thunberg con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker; la sedicenne svedese durante i suoi primi scioperi al Riksdag di Stoccolma; una delle manifestazioni del 15 marzo scorso.
Orazio Francesco Lella
(LucidaMente, anno XIV, n. 160, aprile 2019)