Riformismo contro massimalismo, democrazia contro dittatura. Ecco il libro di Alessandro Orsini, edito da Rubbettino: un’analisi di sconvolgente verità
A prescindere dall’essere o meno di sinistra, Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubbettino Editore, pp. 148, € 12,00) si rivela un libro d’interesse “per tutte le stagioni”, carico di una straordinaria forza e attualità, nonostante si basi su un’analisi storica di tipo comparativo. L’autore del saggio è Alessandro Orsini, docente aggregato di Sociologia politica all’Università di Roma “Tor Vergata” e all’Università Luiss “Guido Carli”. Vincitore del premio Acqui Storia con Anatomia delle Brigate rosse, ha pubblicato anche Il rivoluzionario benestante. Strategie cognitive per sentirsi migliori degli altri.
Il libro presenta la contrapposizione tra le due diverse anime della sinistra, esemplificate attraverso la figura dei loro uomini di maggiore spicco nella prima metà del XX secolo, ovvero il comunista Antonio Gramsci e il socialista Filippo Turati. Innanzitutto Orsini definisce Turati come una delle figure più importanti della storia politica italiana, confutando la visione negativa suggerita da Togliatti, che lo relegò in una posizione di quasi dimenticanza sia entro i confini nazionali che internazionali. Passa poi a descrivere il pensiero riformista e anti-violento del leader socialista, nello specifico mediante quello che appare essere il suo più grande lascito: il diritto all’eresia, ovvero il diritto all’errore.
Partendo da ciò, nell’ottica della difesa di una tanto agognata pluralità d’opinione, il saggista oppone il concetto diametralmente opposto – predicato da Gramsci – di “Partito dei Puri” di leniniana lezione, che culmina con il diritto/dovere all’odio verso quello che appare essere un nemico piuttosto che un avversario. Il tutto sempre nell’ottica di un’affermazione a ogni costo delle proprie idee, o meglio di quelle espresse dal partito, più vicine a dogmi papisticamente indottrinati che frutto di una vera e propria “rivalità d’opinione”, costruttiva in quanto fonte di progresso civico e morale.
È proprio l’opposizione tra la pedagogia della tolleranza e dell’intolleranza che guida la mano di Orsini. Riportando stralci di resoconti di discorsi, dimostra come erroneamente “il Gramsci” – inteso come prototipo e non quindi come individualità – sia diventato il paladino di una libertà democratica per cui in realtà non ha mai combattuto, soppiantando la figura riformista “del Turati”, al quale più propriamente si deve riconoscere la paternità della teorizzazione democratica della libertà di pensiero e di espressione, del confronto civile, del rispetto dell’avversario.
Dati i contenuti, il libro non poteva passare inosservato dai media: ha infatti raccolto opinioni tanto autorevoli quanto eterogenee e controverse. Se da un lato Roberto Saviano ne ha scritto entusiasta dalle colonne de la Repubblica, Angelo D’Orsi, tra i più grandi studiosi di Gramsci, ne etichetta il contenuto come una «porcheria […] fatta senza tenere presente la contestualizzazione, che è fondamentale per dare un giudizio». Ancora una volta, o almeno così sembra, “il Gramsci” cerca di imporre con violenza la sua verità. Giambattista Vico li chiamava “corsi e ricorsi della storia”, “col Turati” che continua a rispondere sì con forza, ma sempre nel rispetto di quello che considera un avversario e non un nemico.
Gianvito Piscitiello
(LM MAGAZINE n. 23, 14 aprile 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 76, aprile 2012)
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