La serie noir ideata da Roberto Saviano e realizzata da Stefano Sollima e altri è la più seguita e commentata dell’anno, approdando sugli schermi anche all’estero. Eppure le polemiche e il rischio di emulazione non sembrano mancare
Quando si tratta di prodotti cinematografici e televisivi, raccontare di avvenimenti e personalità negative può essere il segreto del successo: l’analisi della psiche umana nelle sue sfaccettature più oscure suscita interesse nel pubblico, attratto da ciò che esce fuori dai canoni della normalità. Quando, però, tutto questo può oltrepassare il suo consueto scopo di intrattenimento, rappresentando un pericoloso strumento d’emulazione?
È un interrogativo che ruota intorno al caso di Gomorra. La serie, trasmessa sul canale Sky Atlantic, ispirata all’omonimo romanzo di Roberto Saviano, per la regia di Stefano Sollima e altri. La serie televisiva è incentrata su due gruppi rivali della camorra, il clan dei Savastano e quello degli Scissionisti, intenti in una lotta senza scrupoli per il monopolio del territorio e dei vari traffici di armi e stupefacenti. Tutto sembra funzionare alla perfezione: a partire dalla sceneggiatura, dalla regia e dalla fotografia, fino ad arrivare ai dialoghi e all’introspezione psicologica dei vari personaggi. Un lavoro ben fatto, che nel 2014 ha visto trionfare la prima stagione, confermandosi nel maggio 2016 come grosso successo made in Italy, grazie anche alla distribuzione della fiction in lingua originale e con sottotitoli in ben 113 paesi.
L’elemento vincente sembrerebbe essere la credibilità: gli attori, inizialmente semisconosciuti al grande pubblico, calzano in maniera impeccabile le vesti dei loro rispettivi personaggi, facendo emergere una spontaneità cruda e, soprattutto, vera. Il linguaggio prettamente dialettale arricchisce l’aspetto realistico della storia, immergendo totalmente i telespettatori nelle vicende dei quartieri di Scampia e Secondigliano: un’inflessione volgare ben studiata, se non necessaria. Ville, hotel di lusso, sedi istituzionali, uffici pubblici, carceri, vicoli fatiscenti e palazzoni popolari degradati: anche l’ambientazione esalta a dovere il concetto principale, ovvero che la camorra è un sistema ramificato e diffuso in scenari discordanti.
Relazioni parentali e d’amicizia sono intrecciati e accomunati da un unico filo conduttore: il potere. Una rappresentazione della realtà a noi sconosciuta, che senza censure ci mette di fronte alla violenza e alla meschinità di un mondo più vicino di quanto si possa pensare. È inevitabile che si inneschino una serie di polemiche riguardanti gli effetti che un tale prodotto di successo può provocare. A questo proposito l’opinione pubblica non si è fatta attendere. Molte le accuse e le critiche riguardanti il rischio di emulazione mosse a Saviano e alla produzione. I riflessi sociali e psicologici della prima stagione si sono palesati nelle zone più colpite dalla malavita, dove i ragazzini giocano a interpretare i protagonisti della serie, imitandone i movimenti, il linguaggio e le azioni. L’emulazione c’è e non lo si può negare, ma bisogna tenere a mente che Gomorra non fa altro che mostrare una realtà già esistente.
L’umanizzazione del male e la vicinanza all’antieroe permettono una maggior presa di coscienza di un problema che affligge la nostra società; non lo si può capire prendendone le distanze o ritenendolo un qualcosa di lontano. La natura umana è capace di oltrepassare ogni limite: i mostri non esistono, e solo rendendo la realtà più tangibile e concreta è possibile riconoscerla, comprenderla e combatterla. Un vero e proprio processo di crescita che la società è tenuta ad attuare, come è stato per tutti gli eventi storici che hanno cambiato l’umanità.
Silvia Precone
(LucidaMente, anno XI, n. 126, giugno 2016)