Il giornalista Federico Rampini, nel suo libro “Il tradimento” (Mondadori), analizza le drammatiche problematiche odierne dell’Occidente. Proponendo anche le ricette per curarle
È interessante e positivo il fatto che da qualche tempo i più lucidi e meno conformisti ambienti intellettuali di sinistra, o progressisti che dir si voglia, pur differenziandosi dalle forze cosiddette “di destra”, “populiste”, “xenofobe”, “islamofobe”, ecc., stiano uscendo dall’equivoco buonista e dal suo cieco ottimismo. Ovvero da quella litania che conduce a una strada senza via d’uscita (posizione sulla quale in Italia, probabilmente per pigrizia, coazione a ripetere, ignoranza e mancanza di cultura, sono appiattiti sinistra, Partito democratico e l’area cattolica bergogliana).
Ad esempio, riteniamo apprezzabili le nette e ripetute prese di posizione della rivista «per una sinistra illuminista» e laica per eccellenza, MicroMega, e del suo direttore, Paolo Flores d’Arcais (vedi, tra i tanti, Guerra all’Isis: azioni o proclami?). Nel solco di un pensiero libero e in contatto con la realtà, senza pregiudizi ideologici e paraocchi, si colloca pure il nuovo libro dell’editorialista e corrispondente da New York de la Repubblica, Federico Rampini (già vicedirettore de Il Sole-24 Ore). Il titolo (più sottotitolo chiarificatore) del saggio, uscito sul finire del 2016, recita così: Il tradimento. Globalizzazione e immigrazione, le menzogne delle élite (Mondadori, pp. 198, € 17,00). Dall’alto del suo vissuto a Bruxelles, Parigi, Pechino, Usa, del suo lavoro e dei suoi incarichi, anche di docente universitario, l’autore non parla per frasi fatte o per partito preso, com’è tipico di certo centrosinistra, ma sulla base di ciò che ha visto e conosciuto in giro per il mondo.
Nei primi due capitoli della sua pubblicazione (Immigrazione e jihad e Regole per integrare gli stranieri) non ha peli sulla lingua. Parte dal confronto tra l’atteggiamento dei belgi nei riguardi degli immigrati italiani negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, da lui, giovanissimo, vissuto di persona, e quello odierno degli europei e dei migranti islamici. Nel primo caso, «allora sì, il Belgio era un paese razzista», mentre i nostri connazionali e gli stessi immigrati spagnoli o nordafricani «erano uniti dalla stessa aspirazione. Integrarsi. Farsi accettare».
Oggi è esattamente il contrario: «Nell’arco di una o due generazioni si è consumata una rottura totale, drastica». Mentre belgi ed europei in genere sono divenuti seguaci acritici del credo dell’accoglienza, «tanti immigrati musulmani hanno deciso che non vogliono integrarsi». Non solo. Essi ritengono: 1) che la loro civiltà sia superiore; 2) che abbiano dei conti “storici” da regolare con l’Occidente. Due falsità, aggiungiamo noi. Tuttavia, questo mix di disprezzo, odio, vittimismo, sentimento di rivalsa e desiderio di vendetta ha permeato le comunità islamiche residenti in Europa. Tutte, anche quelle che la vulgata corrente ritiene “moderate”. E l’Occidente, in particolar modo l’intellighenzia politically correct, va alla ricerca delle proprie colpe, passate, presenti e… future, trovandole nel defunto imperialismo o nell’attualità pseudosociologica (presunta ghettizzazione e disagi socioeconomici dei migranti). Un insieme da un lato di occidentocentrismo, un complesso di superiorità, per cui l’Occidente sarebbe (ancora) talmente potente da essere la causa di tutto, dall’altro di autocolpevolizzazione negazionista di fronte alla realtà, sicché, in ultima analisi, i veri responsabili di tutto sarebbero gli “islamofobi” e non i maomettani che commettono stragi!
Rampini smonta benissimo tale “narrazione”. Primo. Nazioni come Cina, Corea, India, Giappone (si pensi solo a Hiroshima e Nagasaki), hanno subito dall’Occidente danni e sfruttamenti ben peggiori dei popoli e degli stati islamici e, alla fine della Seconda guerra mondiale, partivano da situazioni molto più difficili rispetto ai secondi. Eppure non sono mai caduti in ideologie di rancore e di recriminazione, anche perché «in nessuno di quei paesi le classi dirigenti hanno instillato e manipolato una cultura vittimistica»; e oggi sono tra quelli economicamente più potenti. Gli stati nordafricani, arabi e mediorientali, a fortissima maggioranza islamica, partivano da condizioni migliori, ma le loro «classi dirigenti hanno sperperato risorse immense, hanno sprecato occasioni storiche; salvo distrarre l’attenzione dai loro fallimenti per addossarli ad altri» (vedi Islam senza diritti umani).
Secondo. Nessun “emarginato” o “sfruttato” ha mai pensato di compiere stragi in nome di un qualsiasi dio. Né gli autori delle tante stragi di stampo islamico sono stati poveri disoccupati, bensì, in genere, immigrati ben inseriti, anche perché spesso di seconda o terza generazione, vale a dire con nazionalità europea. Tanto meno nei comunicati e nelle dichiarazioni jihadiste vi è un accenno a problematiche di ingiustizia sociale. Ci vuol tanto a comprendere che la matrice degli attentati non è sociale, ma ideologico-religiosa? Scrive Rampini: «Quel che odiano dell’Occidente non sono lo sfruttamento capitalistico né le diseguaglianze sociali; ciò che denunciano è lo Stato laico che mette tutte le religioni sullo stesso piano, la libertà di espressione, la libertà dei costumi, l’emancipazione femminile». Terzo. Come i meno giovani ricorderanno, ai tempi del terrorismo delle Brigate rosse italiane, molti comunisti, pur condannando a parole i loro delitti e omicidi, avevano un atteggiamento di giustificazionismo (“sono compagni che sbagliano”; “sono errati i mezzi, ma giusti i fini; in fondo, hanno ragione”) o, ancor peggio, aderivano alla tesi del “complottismo” (“dietro i brigatisti ci sono i servizi segreti”). Solo quando si capì che i terroristi erano davvero comunisti e si fece il vuoto attorno a loro, lo Stato vinse e gli attentati finirono.
Identico è l’atteggiamento degli islamici considerati “moderati”. Tranne una minoranza di intellettuali, spesso ostracizzati nei propri paesi d’origine e costretti ad andarsene per sfuggire all’intolleranza e alle persecuzioni, se non alla morte, i musulmani ritengono gli autori delle stragi falsi musulmani o esagerati nelle azioni, ma giustificabili per essere stati provocati (ad esempio, dai vignettisti satirici di Charlie Hebdo o, più semplicemente, dalla dilagante immoralità occidentale); oppure sostengono che, in realtà, si tratti di attentati organizzati a bella posta dai servizi segreti occidentali o israeliani. Dopo ogni orrendo massacro jihadista, sono poche centinaia gli islamici che scendono in piazza col cartello «Not in my name», mentre, scrive Rampini, dovrebbero chiedersi «Why in my name?». E, intanto, sono loro a “provocare” esibendo smaccatamente i segni di appartenenza alla religione di Maometto (dal velo al burkini, fino ad arrivare al burqa integrale). Chiosa ancora lo scrittore: «Il messaggio, non illudiamoci, è proprio quello: l’Occidente fa schifo» (vedi Islamismo: tutte le verità nascoste).
Dopo aver analizzato nel terzo capitolo del proprio libro, Putin o l’arte della guerra (e l’amico cinese), le strategie delle potenze in ascesa, Russia e Cina, Federico Rampini nei capitoli IV e V del proprio libro esamina il declino economico e sociale dell’Occidente. Significativi i due titoli: Figli più poveri dei genitori, chi ha rovesciato il mondo? e Globalizzazione addio. Le promesse dei teorici dell’economia globale si sono rivelate terribili menzogne: «Per effetto dell’impoverimento e dello shock generazionale, una quota crescente di cittadini non crede più ai benefici dell’economia di mercato, della globalizzazione, del libero scambio». A essere colpiti sono stati «prima la classe operaia e ora anche una larga parte del ceto medio». All’interno di tutti i paesi gli squilibri si sono accentuati, la povertà è aumentata. L’economia si è piegata alla finanza e alle multinazionali, che godono di enormi possibilità di eludere il fisco. L’impegno di espandere, con il libero mercato, anche diritti, protezione dell’ambiente, reale progresso civile, sebbene ripetuto a ogni evidente fallimento del modello di sviluppo globale, non è mai stato mantenuto. La politica si è dimostrata debole o connivente con un andamento economico disumano, crudele e selvaggio. La democrazia comincia sempre di più ad apparire una parola vuota di significato: per la gente comune le grandi decisioni vengono assunte da poteri occulti, fuori da ogni controllo popolare e politico.
E, se il significativo titolo del libro di Rampini è Il tradimento e nel sottotitolo si parla delle menzogne delle élite, chi sono i “traditori”? Innanzi tutto il capitalismo e le banche, che hanno rinunciato al loro storico ruolo positivo, rispettivamente di creatori e agevolatori di ricchezza, finendo per cadere nella speculazione finanziaria. Poi i politici, i vecchi partiti “storici”, che non hanno svolto il proprio compito di difensori degli interessi nazionali e popolari, lasciandosi irretire da miti astratti o facendosi proprio corrompere. Infine, gli intellettuali e i giornalisti, anche se “progressisti” e democratici, che hanno per lo più rinunciato al loro onesto mestiere di studiosi e critici delle storture, accontentandosi di blaterare gli illusori slogan buonisti del pensiero politicamente corretto.
Si può ancora fare qualcosa o siamo giunti a un punto di non ritorno? Nonostante il dubbio sia fondato, Rampini, negli ultimi tre capitoli del suo volumetto (Come reagire al terrorismo?; Così costruiremo un’altra economia; Salvare la democrazia), offre alcune ricette. Problema immigrazione: 1) Rivalutazione, pur con tutti i suoi difetti, della liberaldemocrazia occidentale; 2) Strenua affermazione dello Stato laico e suo severo impegno nel far rispettare i propri princìpi e valori, ristabilendo per tutti ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; 3) «Incalzare le comunità islamiche» affinché prosciughino il brodo di coltura del terrorismo. Problema globalizzazione economica: 1) Ristabilire la verità che «non c’è nulla di “naturale” in questo», ma si tratta di un fenomeno frutto di scelte e, quindi governabile dagli uomini; 2) Interventi degli stati in tema di politica economica ai fini della protezione sociale (modello svedese); 3) Agire sul fisco, premiando chi assume e non, come avviene oggi, chi robotizza i propri impianti industriali.
Infine, la questione della crisi della democrazia: 1) Partecipazione democratica dei cittadini alle decisioni; 2) Non cadere nell’illusione anarco-libertaria dei social media, ma elevare «il livello di competenza, di vigilanza, di allarme sociale», denunciando l’illusione che oggi la verità e la libertà si trovino nella Rete, mentre, al contrario, i media devono assumersi le proprie tradizionali responsabilità di informare… insomma, recuperare «la funzione civile del sistema dell’informazione» (vedi Internet, nuovo totalitarismo?); 3) Prendere coscienza che l’élite radical chic vive in un altro mondo, dorato, rispetto a quello reale, per cui non c’è da fidarsi, anzi essa non va neppure ascoltata. Una sfida, quella che lancia Rampini, che, al momento, non si vede chi, entro le forze politiche “di sinistra” dell’Europa e dell’Occidente, sia in grado di accogliere e realizzare.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 134, febbraio 2017)
A me pare che le democrazie occidentali siano gia entrate sulla via del non ritorno della oclocrazia. I segni descritti da Polibio sono piu che evidenti.
1) Mancanza totale di idee: i temi piu dibattuti sono euro, bilanci, e accoglienza degli immigrati, la demagogia dilagante: piu perfida e camuffata la demagogia dalla sinistra che ovviamente rivolge questa accusa alla destra.
2) La libertà di parola e di pensiero: relativizzata fino ad essere considerata come pericolosa; qualsiasi espressione fuori dal mainstream viene stigmatizzata come xenofoba e razzista; paesi democratici che incarcerano i propri cittadini con l’accusa di “xenofobia e islamofobia”, ma non fanno altrettanto con gli estremisti musulmani che a gran voce e apertamente chiedono la morte dell’Occidente, e la soppressione della liberta di parola.
3) Il culto del multiculturalismo, la xenofilia, e l’ idealizzazione delle culture esotiche, sono gli acceleratori che porteranno l’Europa verso il primo califato.
Siamo arrivati al punto più basso, direi. Al punto “ove il sol non luce”, troppa è stata la cecità ideologica. Una profetessa laica e coraggiosa l’abbiamo avuta. Il suo nome era Oriana Fallaci. La sua guieda era: Ragione e Passione! Abbiamo perduto entrambe. Gli dei se ne sono andati via. Ci è piombata addosso una immane VALANGA! Quella dell’Albergo, in sé atroce, è anche simbolo di un futuro inquietante: il Medioevo Prossimo Venturo!