Nel libro “Il cinema dalla parte degli ultimi” (Porto Seguro Editore) Sergio Battista delinea un percorso storiografico che parte dalla nascita della settima arte e giunge fino ai giorni nostri
Non è una novità che il cinema fin dalla sua nascita si sia posto come un interlocutore valido al fine di dialogare con la società di riferimento ed è altrettanto noto che il concetto di immagine ha avuto e ha attualmente sempre più un grande potere, capace di condizionare scelte e preferenze. Nel volume Il cinema dalla parte degli ultimi (Porto Seguro Editore, pp. 272, € 16,15), da poco in libreria, Sergio Battista, studioso di cinema e di fenomeni sociali, delinea un percorso storiografico e filmografico estremamente interessante, dando voce anche ai più deboli. Ma andiamo con ordine.
Tra i protagonisti, troviamo registi quali Elvira Notari, Elvira Giallanella, Charlie Chaplin, Roberto Rossellini, fino a giungere a Kenji Mizoguchi e ai contemporanei Ken Loach, i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Paolo Benvenuti, Pasquale Scimeca e Andrea Segre. Il libro, partendo dalle opere cinematografiche di questi stessi registi, si apre a uno sguardo prettamente storiografico che mette in relazione i film con i periodi e i contesti storico-culturali in cui si ambientano, analizzando le cause delle difficoltà produttive e dei numerosi interventi censori. Altro aspetto da sottolineare è l’abilità dell’autore nell’andare a cercare tutti i casi nei quali la cosiddetta settima arte, esprimendo un forte connotato etico, è riuscita a influenzare le scelte politiche dei governi: perfetti a tal proposito gli esempi portati dai romanzi del Neorealismo, dai romanzi di A.J. Cronin, usati appunto dal cinema, oppure dall’impatto prima sulla società e poi sulla politica belga del film Rosetta dei Dardenne o della pellicola I, Daniel Blake di Loach, che mette in risalto le disfunzioni della Sanità inglese dovute a scelte di governo liberiste.
Questi sono solo alcuni titoli, ma il libro è intessuto di casi che testimoniano il legame che il cinema stringe con l’interpretazione dei fenomeni socioculturali. Al suo interno, troviamo tra l’altro un escamotage artistico per dare voce agli ultimi, ultimi della società e della Storia: viene proposto il punto di vista di perseguitati, diseredati, proletari, donne e migranti. Uno sguardo probabilmente non nuovo, anzi ci riporta indietro di qualche anno. Purtroppo oggi buona parte della produzione cinematografica sembra aver dimenticato l’impegno civile e sociale, per cui diviene indispensabile riproporre alcune opere per mettere in evidenza che un’altra realtà è possibile.
Il volume in questione analizzando il passato sembra parlarci del presente; durante la sua narrazione non fornisce risposte, bensì suggerisce letture e interpretazioni nell’intenzione di domandarsi, maieuticamente, se un cinema che fa dell’etica la propria forza espressiva possieda ancora una funzione critica e interattiva con la società di riferimento e, soprattutto, se è ancora in grado di comunicare in maniera proficua con una sempre più sfuggente contemporaneità, erede di una post-modernità che pare forgiata a uso e consumo del grande capitale globalizzato. Il cinema dalla parte degli ultimi è un saggio che merita di essere letto per conoscere aspetti della storia del cinema spesso ignorati e per approfondire l’interessante relazione tra la settima arte, la fotografia e la letteratura. Inoltre, scoprire elementi marginali che spesso non trovano spazio nella narrazione ufficiale è utile per la formazione individuale, anche soltanto per rivendicare la possibilità di attuare una riflessione critica finalizzata a un confronto squisitamente democratico all’interno della società.
Le immagini: la copertina del libro Il cinema dalla parte degli ultimi, di Sergio Battista e la locandina di I, Daniel Blake (Ken Loach, 2016).
Maria Daniela Zavaroni
(LucidaMente 3000, anno XVII, nn. 199-200, luglio-agosto 2022)