Ogni nostra scelta può avere conseguenze sugli altri, pertanto l’etica e i suoi dubbi sono attuali e ci riguardano tutti da vicino. E non sempre è sufficiente rispettare la legge
Su un binario sono legate cinque persone e verso di loro si dirige un treno in corsa. Tra queste e il veicolo si trova un bivio svoltando al quale si troverà, bloccato sulle rotaie, un solo individuo. Immaginate di assistere alla scena e di avere di fronte a voi una leva che ha il potere di deviare il treno verso un’unica vittima anziché cinque. Tirereste la leva?
La risposta immediata sarebbe che sì, la scelta giusta è salvare quante più vite possibili. Ma riflettendo meglio è comprensibile anche chi si rifiuta di intervenire, rendendosi artefice di un cambio del destino: non toccando la leva morirebbero certamente più persone, ma non se ne avrebbe la diretta colpevolezza. Al contrario, dirigendo il treno verso quell’unica persona se ne diverrebbe gli assassini. È pur vero che il non fare nulla per cambiare gli eventi non solleva completamente dalle responsabilità. Se si è presenti e si sceglie di non intromettersi, comunque si ha un ruolo attivo nello svolgersi dei fatti. Tale dilemma è stato formulato nel 1967 dalla filosofa inglese Philippa Ruth Foot e ben rappresenta la complessità nel definire quale sia, in determinati contesti, il comportamento corretto da adottare. Sebbene qui si parli di una situazione estrema, in cui nessuno auspicherebbe di trovarsi, nell’attualità non mancano esempi di come la morale non sia unilaterale né oggettiva. Gli ultimi risvolti delle proteste scoppiate negli Stati uniti sotto lo slogan di Black Lives Matter hanno messo in discussione l’etica e i suoi fondamenti.
Nello stabilire un criterio di distinzione fra il bene e il male, uno dei primi elementi citati sarebbe, probabilmente, la legge: essa è concepita in un’ottica di convivenza civile e pacifica e perciò non è giusto trasgredirla. Ma in che modo si dovrebbe reagire quando è lo stesso rappresentante della legalità ‒ o colui che dovrebbe esserlo ‒ a compiere un crimine, come gli abusi di potere e i gravi soprusi delle forze dell’ordine ai danni di George Floyd e di una lunga lista di cittadini afroamericani? In tal caso non è così immediato condannare le azioni sovversive di alcuni manifestanti che, al culmine delle rivolte, hanno incendiato i commissariati responsabili, frantumato vetrine e imbrattato monumenti.
Per quanto forti (e a volte inique) possano sembrare, tali operazioni si collocano all’interno di una situazione di disobbedienza nei confronti dell’autorità e di un intero sistema che non funziona. Occorre peraltro considerare che la risposta di molti agenti è stata ancor più violenta e che tanto malcontento deriva da anni di prepotenze rimaste invisibili. Ebbene, se in alcune circostanze l’illegalità non rappresenta una condotta totalmente deprecabile, seguendo indistintamente le norme giuridiche si può affermare di muoversi nel bene? Non proprio. A tal proposito si è discusso di quanto raccontato nel 1969 dal giornalista Indro Montanelli all’interno del programma televisivo L’ora della verità. Il fondatore de Il Giornale rivelò infatti di aver sposato circa trent’anni prima, durante la sua permanenza in Abissinia, una giovane eritrea di 12 anni. Attaccato al riguardo dall’attivista femminista Elvira Banotti, egli rispose che matrimoni simili erano in Africa la normalità, sottolineando come avesse “regolarmente comprato” la consorte, accordandosi con la famiglia di lei.
È qui nuovamente possibile osservare come l’etica e la legge non procedano di pari passo: congiungersi a una minorenne era permesso, ma ciò non significa che fosse moralmente accettabile. Il dibattito sul caso Montanelli verte proprio su questo: che egli avesse ritenuto la legittimità una motivazione sufficiente, non preoccupandosi della giustizia o meno nell’acquistare un altro essere umano. Il funzionario nazista Adolf Eichmann, come espone la brillante Hannah Arendt ne La banalità del male, è oggi considerato un mostro ma perseguiva quella che nel suo contesto era la normalità: sterminare gli ebrei. Un uomo mediocre, che agiva nel pieno rispetto del sistema e, anzi, in onore di esso, del quale comunque non si dubita la colpevolezza.
E, allora, in che modo si giudica se una condotta è positiva o negativa? La questione è da sempre oggetto di studi filosofici e non conosce soluzioni univoche, anche perché la morale si evolve nel tempo ed è spesso soggettiva, come abbiamo potuto vedere nel dilemma dei binari. Questo non significa che si debba relegarla al mondo accademico: relazionandosi in una società diversificata, il rischio di urtare altre sensibilità è consistente. In tal senso operano diversi attivisti per i diritti umani fra cui Irene Facheris, solita condividere le proprie riflessioni in merito a ciò che è eticamente valido compiere verso altre categorie o meno. La fondatrice dell’organizzazione Bossy ha fornito quella che per lei è una massima da seguire quando ci si riferisce agli altri, ovvero che le buone intenzioni non bastano: se qualcuno soffre per quanto abbiamo fatto, la responsabilità è nostra, poiché autori dell’azione, anche se non volevamo ferirlo. Un esempio può essere il black humor, nonché quell’ironia politicamente scorretta che coinvolge argomenti tabù.
È sufficiente rispondere “stavo scherzando” a chi si sentisse toccato da una battuta per essere sollevati da ogni colpa? Pochi reagirebbero così di buon grado se fossero oggetto di scherno su un loro punto debole. D’altra parte, come fa notare il controverso autore di podcast Marco Crepaldi (I guru dei social e i loro dogmi morali, YouTube), ogni contenuto è potenzialmente in grado di offendere. Anche una foto con il partner, afferma lo youtuber, potrebbe far sentire inadeguato chi è single.
Chiedere a ciascuno di calibrare ogni interazione nel tentativo di non pestare i piedi all’altro è impraticabile. Crepaldi condanna il creare dogmi decontestualizzati e imprescindibili, sostenendo che il giusto e lo sbagliato dipendano interamente dalle circostanze. In mezzo a queste due posizioni, che possono dirsi opposte, vi è un universo di sfumature da analizzare e chi leggerà questo articolo potrà riconoscersi in una (o più) di esse. Probabilmente la risposta sta nel non generalizzare, nell’interpretare il mondo che ci circonda anche sotto una lente etica e morale, riconoscendo che fra i mille fattori decisionali possa esserci anche l’effetto (più o meno grande) che abbiamo sugli altri. Insomma, la risposta consiste nel farsi domande.
Le immagini: il dilemma dei binari; foto di Indro Montanelli e di Irene Facheris (da Bossy).
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XV, n. 175, luglio 2020)