Un siciliano nella storia d’Italia: la vita di “Mommo”, tribuno, sindacalista e intellettuale, vissuto tra Palermo e la Serenissima, protagonista di coraggiose battaglie contro la mafia e il fascismo. Un convegno, cui si potrà partecipare anche a distanza, ne ricostruisce la figura e ricorda i luoghi del suo impegno veneziano
Lo chiamavano “Mommo” e voleva essere dalla parte della Sicilia dei vinti. Aveva sentito parlare delle zolfatare, del lavoro dei ragazzi fra i dieci e i quindici anni, adibiti al trasporto del materiale grezzo dalle miniere sino al luogo dove lo zolfo veniva liberato dal magma. Aveva visto le raccoglitrici di olive, ragazze di quindici o di sedici anni, prelevate alle quattro di mattina e condotte al lavoro che sarebbe proseguito fino al tramonto del sole. Girolamo Li Causi, però, lascerà presto la sua Termini Imerese (Palermo), dove era nato il 1° gennaio 1896, perché vuole studiare, vuole mettersi al servizio degli altri, degli umili. Per questo si iscriverà a Venezia alla Scuola superiore di commercio di Ca’ Foscari nel prestigioso corso di laurea in Economia politica e, nella storia d’Italia, Mommo sarà per sempre Girolamo Li Causi.
Nella città veneta studierà e si laureerà, ma il suo impegno formativo non sarà d’impedimento alle vere ragioni per cui ha temporaneamente lasciato la sua terra. L’istruzione per lui è uno strumento da mettere a disposizione degli altri, soprattutto dei poveri e degli indifesi. Si dedicherà immediatamente all’azione attiva presso la locale Camera del lavoro e abbraccerà il socialismo massimalista e intransigente di Giacinto Menotti Serrati. Gli anni tumultuosi del Primo dopoguerra lo vedono impegnato sul fronte della politica e dell’attività sindacale, mentre le diverse forze di sinistra immaginano una nuova forma di stato, rivolto alle esigenze delle masse. Le distanze, tuttavia, sono inconcepibili. I massimalisti come Serrati e i riformisti come Filippo Turati e Claudio Treves hanno posizioni inconciliabili. Per non parlare poi degli intellettuali dell’ala estrema del Partito socialista italiano che si raccoglie intorno alla rivista L’Ordine Nuovo, quali Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti. Le forze di sinistra sono squassate a causa delle proprie profonde differenze, cui si aggiungono le direttive che giungono da Mosca e che cagionano ulteriore confusione e frammentazione. In questa situazione disgregata emerge lo squadrismo fascista che si rende protagonista di durissimi scontri con assalti alle Camere del lavoro e alle sedi dei partiti. La controffensiva reazionaria ha il suo epilogo il 28 ottobre 1922 con la Marcia su Roma.
Nel 1923 Li Causi inizia a collaborare con il Partito comunista d’Italia. Dal 1925, dopo il discorso di Benito Mussolini successivo al delitto di Giacomo Matteotti, in Italia tutte le forme di libertà vengono limitate. Li Causi opererà pertanto in condizioni di semiclandestinità. Nel 1927 è a Milano, poi a Parigi, quindi – a ottobre – nuovamente in Italia. L’11 maggio del 1928 viene arrestato. La condanna è durissima: venti anni e nove mesi. Sconta nove anni in carcere; poi è sottoposto al regime di libertà vigilata a Ponza e Ventotene. Riacquista la libertà dopo l’8 settembre 1943. Lavora per la Resistenza e poi viene mandato, nel 1944, in Sicilia, per riorganizzare il Partito comunista italiano e il movimento sindacale nell’isola.
La situazione in Sicilia è incredibile, il territorio è in preda a un’euforia separatista che viene strumentalizzata dalle classi possidenti e dalla mafia. L’Amgot (Allied Military Government of Occupied Territories) – il governo militare alleato dei territori occupati che regge la Sicilia sin dallo sbarco nel 1943 – si fida della mafia: in fondo i mafiosi non erano oppositori del fascismo mandati al confino? Quindi, sono considerati degli antifascisti. Anche il frantumato e debole Pci in terra di Sicilia ha le idee piuttosto confuse. Indugia a pericolose simpatie verso il movimento separatista siciliano e ha una certa accondiscendenza nei confronti del fenomeno mafioso, interpretato come resistenza premoderna allo sfruttamento industrial-capitalistico. Li Causi invece no. Vede nel separatismo «un movimento analogo al fascismo», diretto «dai baroni che vogliono conservare intatta la struttura economica attuale» (Massimo Asta, Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento, Carocci), e nella mafia il nemico principale che si oppone allo sviluppo e alla normalità della propria terra. Egli, inoltre, già intravede nella Democrazia cristiana siciliana lo strumento politico della criminalità organizzata. Questo gli procura anche qualche rimbrotto da parte di Togliatti e della segreteria del Pci che invece punta su buoni rapporti politici con il movimento separatista e con la Dc isolana.
Li Causi non teorizza solamente, è nel suo Dna l’impeto, l’azione. Il 16 settembre 1944 sfida il capomafia Calogero Vizzini – “don Calò” – con un comizio nel suo feudo, a Villalba di Caltanissetta, dove era divenuto sindaco per nomina dell’Amgot. Verso la fine della sua orazione subisce un terribile attentato: alcune bombe a mano vengono scagliate, dalla sezione democristiana, contro il palco, gli oratori, la gente che aveva vinto le proprie ataviche paure ed era uscita ad ascoltare quel comunista che si esprimeva con le parole del popolo. Li Causi si salva, ma subisce una lesione al ginocchio che lo renderà per sempre claudicante. Altre tredici persone rimangono ferite. Quel 1944 rappresenta l’inizio degli attentati mafiosi che accompagneranno tristemente la storia d’Italia. Il 27 maggio era stato ucciso a Regalbuto (Enna) Santi Milisenna, segretario della Federazione provinciale di Enna del Pci; stessa sorte toccherà il 6 agosto a Casteldaccia (Palermo) al segretario della locale Camera del Lavoro, Andrea Raia.
È, tuttavia, il 1° maggio 1947 che, con la strage di Portella della Ginestra, viene versato il più doloroso tributo di sangue da parte degli esponenti politici e sindacali, dei contadini e dei lavoratori siciliani, lasciando un segno indelebile nella storia della Repubblica italiana. Quella strage – che, a ben vedere, può simboleggiare l’esordio della strategia del terrore in Italia – probabilmente doveva vedere tra le vittime anche Li Causi. I misteri non sono stati ancora svelati. Il passo di Portella della Ginestra forse era lo spazio scenico predefinito ove i molteplici mandanti avrebbero voluto la clamorosa esecuzione del più tenace nemico della mafia: Girolamo Li Causi. A tal proposito, risulta suggestiva la ricostruzione proposta da Paolo Benvenuti nel film Segreti di Stato del 2003, ma si veda anche la confutazione che ne fa Asta nel libro sopra citato, sulla base del documentato saggio di Giuseppe Casarrubea Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato (Franco Angeli). Quel fatto emblematico, materialmente eseguito dalla banda di Salvatore Giuliano, è la reazione alla vittoria politica delle sinistre, in Sicilia, nelle consultazioni elettorali del 20 aprile. In quelle elezioni, il Blocco popolare ottiene il 30,3% dei suffragi, conquistando così la maggioranza relativa. Come è stato evidenziato negli anni da studiosi e politici (fra cui lo stesso Li Causi), la strage racchiude un intreccio perverso tra politica, mafia e banditismo, impegnati insieme nella difesa di interessi economici e politici, nei quali si inserisce anche l’esigenza imprescindibile degli Stati uniti di esautorare le sinistre dai governi nazionali e regionali nelle aree strategicamente rilevanti.
La storia di Li Causi non finisce qui, la sua battaglia contro la mafia andrà avanti negli anni a livello locale e nel Senato della Repubblica. Il nostro sarà protagonista in varie Commissioni antimafia ai fini dell’elaborazione di una seria lotta a Cosa nostra. Sino alla sua morte, avvenuta a Palermo il 14 aprile 1977, egli rimarrà un riferimento per chi in Italia si oppone al potere e alla cultura delle mafie. La sua azione, infatti, è quanto mai attuale e rimane di esempio per chi, oggigiorno, lotta contro il sistema della corruzione, tuttora spietato e pervasivo, che in Italia ha una sua specifica negatività e spesso si sovrappone o trova rispondenza nel fenomeno mafioso.
Da due luoghi evocativi della vita del politico e dell’intellettuale – Palermo e Venezia – è sorto di recente il comitato Girolamo Li Causi a Ca’ Foscari, del quale fanno parte studenti e docenti dell’Università Ca’ Foscari e dell’Università di Palermo, sindacalisti, attivisti delle associazioni Libera di Venezia e Il Germoglio di Corleone, impegnate nella lotta alla mafia. Nel segno di un rinnovato patto di memoria e solidarietà tra Nord e Sud, il comitato ha organizzato per l’intera giornata di venerdì 22 aprile 2022 il convegno Girolamo Li Causi studente a Ca’ Foscari. Dalla lotta per il lavoro e la democrazia all’impegno antimafia (vedi, di fianco, la locandina col programma e gli importanti relatori), che si svolgerà a Venezia tra Ca’ Foscari e alcuni luoghi del sestiere Dorsoduro, in cui si è espresso l’impegno giovanile di Li Causi. Per seguire il convegno da remoto sulla piattaforma Zoom: Meeting ID: 893 6206 4197; Passcode: NA8mHh (è necessaria la prenotazione in https://forms.gle/HWMqToTnCMfQzajU6).
Le immagini: Li Causi parla dal palco (per gentile concessione della Fondazione Gramsci); Li Causi nell’ottobre 1922 e durante un comizio (per gentile concessione di Luciano Li Causi); la copertina del libro di Massimo Asta; la locandina del convegno veneziano.
Antonio Tripodi
(LucidaMente, anno XVII, n. 196, aprile 2022)