Nella ricorrenza dell’anniversario della morte del grandissimo poeta romagnolo, qualche gossip sulle sue tendenze erotiche, intolleranze, eccessi gastronomici…
Il 6 aprile 1912, a Bologna, lasciava questo mondo Giovanni Pascoli, autore di alcune poesie (L’aquilone, La cavallina storna, X Agosto…) entrate a far parte della nostra memoria collettiva e spesso imparate a memoria sui banchi delle elementari e delle medie (vedi Cento anni fa. Moriva Pascoli, nascevano Antonia Pozzi e Caproni).
A partire dal centenario della morte – celebrato dalla Repubblica italiana con una moneta da due euro e con un francobollo – numerose sono state le iniziative di carattere culturale, storico e letterario che istituzioni, enti e associazioni hanno realizzato per commemorare l’illustre poeta nato a San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli). Non sono mancate, peraltro, ricerche collaterali sui gusti e sugli orientamenti del poeta in campo sessuale, politico e gastronomico. E così sono stati riesumati gli scritti del critico viareggino Cesare Garboli, secondo cui Pascoli era un “voyeur” impotente, nonché le indagini dello psichiatra Vittorino Andreoli, per il quale Giovannino non era affatto impotente, ma indirizzava le sue attenzioni incestuose verso la sorella Ida. Altri ancora sostengono che Pascoli avesse tendenze omosessuali, visto che si rivolgeva a un suo allievo (Michele Fiore) chiamandolo «fiorellino» e non pareva attratto dal gentil sesso. Il dibattito, ovviamente, è destinato a perdurare, poiché nessuno saprà mai che cosa facesse davvero il poeta sotto le lenzuola.
Passando ad altre analisi, qualcuno ha voluto scorgere nel poeta romagnolo tendenze protoleghiste, che emergerebbero dal libro Giovanni Pascoli a Matera, 1882-1884. “Lettere dall’Affrica”, curato da Giovanni Caserta (Osanna Edizioni). Il giovane professore non accettò di buon grado la destinazione, quale docente di Latino e Greco, al Regio Liceo-Ginnasio “Duni” di Matera. Legato come era alle sorelle, il distacco da esse, rimaste a Sogliano, in Romagna, gli procurava una forte malinconia: «Io discesi una notte tra foreste paurose al lume della luna… dopo molto trabalzar di vettura». Così racconta il poeta, che trovò la città «un poco lercia».
Pascoli arrivò a Matera intorno all’una di notte, fra il 6 e il 7 ottobre del 1882. L’arrivo notturno viene così descritto da Caserta: «Pioveva e faceva freddo a Matera quella notte, e poiché non aveva la possibilità di pagarsi un albergo, si riparò in un portone in attesa dell’apertura della scuola, nella quale si stavano svolgendo gli esami di riparazione». L’inizio del soggiorno materano non fu certamente felice per Pascoli, che confessò di sentirsi in «un’Affrica ostile, in un esilio forzato in attesa di tempi migliori». All’epoca Matera contava intorno ai quindicimila abitanti, concentrati nei Sassi, allora considerati una vergogna e solo successivamente (dopo oltre un secolo) dichiarati “patrimonio dell’umanità”. Alloggiò in stanze poco confortevoli «tra topi ed afrori insopportabili”.
Nonostante tutto, “Zvanì” aumentò di peso (come confiderà in una lettera alle sorelle): si vede che i cibi lucani, in fondo, non gli dispiacevano troppo. Non a caso spedì alle amate sorelle un provolone e «quella specie di burro che qui chiamano manteca». Spendeva in vitto e alloggio tutto ciò che guadagnava con lo stipendio di professore. E così, per arrotondare, alla fine dell’anno scolastico 1883-84, decise di fare il regio commissario per gli esami di Stato a Viggiano, in provincia di Potenza. Quel viaggio, che il poeta ricorda come «terribile», fu così descritto in una lettera alle sorelle: «Il paese da cui vi scrivo è in fondo alla Basilicata, perduto fra i monti. Per venirci da Matera bisogna rompersi le ossa, per due giorni continui, sui muli, nelle carrozze, nel vapore, passar fiumi, arrampicarsi sulle montagne, costeggiare precipizi».
Lasciata Matera dopo due anni, Pascoli insegnò a Massa, a Livorno e a Bologna per ritornare al Sud, nel 1898, destinato all’Università di Messina. Anche in questo caso non lesinò le critiche. Le strade della città assomigliavano a quelle di Livorno ma non ne avevano la «nettezza», lo scirocco risultava «insopportabile» e il vitto era carissimo, a parte il pane e il sale. Meno male che si salvava il panorama… Abbiamo già detto che Pascoli, spesso dipinto come dolente e introverso, mostrava uno spiccato interesse – da buon romagnolo – per il cibo e per il vino. Non a caso, secondo un antico detto, c’è un metodo infallibile per capire se ci si trovi in Emilia o in Romagna: «Se chiedi da bere e ti offrono acqua, sei ancora in Emilia. Se invece ti offrono vino, sei arrivato in Romagna!».
E così il nostro Giovannino aveva una cantina sempre ben fornita e amici e colleghi lo andavano a trovare volentieri. A una delle serate livornesi «esuberanti d’allegria» (come ricorda Severino Ferrari), partecipò in un’occasione anche Giosuè Carducci, noto intenditore e degustatore di vini. «Carducci fu qua e venne a farci grande onore: Mariuccina però rimase male quando fece il conto… di cantina. Mancavano all’appello un fiasco di Massa e uno di Rufina, uno e mezzo di Samontana, diverse bottiglie di Sangiovese, la bottiglia di Bordeaux. Una strage». Con tali parole, rivolte a Ferrari, Pascoli si doleva dell’eccessivo entusiasmo dimostrato da Carducci per i suoi vini.
Nelle missive dirette all’amico Alfredo Caselli (colto droghiere di Lucca) si può notare la costante preoccupazione del poeta per i cibi e le bevande destinate alla propria dispensa. In una delle lettere di esultanza speditagli da Messina (7 giugno 1900) gli scrive, con orgoglio patriottico: «L’altrieri m’era giunto il tuo vin, dolce amico… Chianti vero che da tanto che sono al mondo non avevo assaggiato mai!… così soave che il suo sapore è un odore! tale, ch’empie d’orgoglio il mio cuore che è italiano anche quando beve; perché non c’è Bordeaux che tenga! Per ora ho empito 4 damigiane, e non so quanti fiaschi: il tutto ben guardato dall’olio. Ma appena avrò tempo, ne farò bottiglie ben suggellate, e ne berrò una per ogni volume che farò, che mi piaccia». Mica male per il poeta triste che considerava la terra un «atomo opaco del Male»!
Mario Gallotta
(LucidaMente, anno IX, n. 100, aprile 2014)
Mi spiace leggere ancora di queste cose e illazioni sul nostro grande Poeta e concittadino. Venite a San Mauro Pascoli a visitare la mostra ancora in corso “Affari di cuore. Gli amori di Zvanì”… scoprirete così che Pascoli aveva un amore in ogni città in cui lavorava, tante amicizie femminili e una valanga di amici… non era affatto un uomo chiuso in se stesso e avulso dalla realtà, anzi. Entro l’anno, oltre al volume “Omicidio Pascoli. Il complotto” di Rosita Boschetti, uscirà anche quello sugli amori del poeta.
Gentilissima prof.ssa Boschetti, grazie per le precisazioni, che accogliamo con piacere.
Per quanto mi riguarda, credo che conti solo l’opera di artisti, letterati, scienziati, ecc. e non la loro vita. Ritengo, infatti, che manuali e docenti sbaglino nell’iniziare le trattazioni con le notizie biografiche. Come se la vita di ciascuno di noi non contenesse, sempre, punti oscuri, traumi, e roba da psicanalisi.
Pascoli è solo e soltanto un grandissimo poeta.
Finalmente un articolo che non olezza di parrucche e parrucconi, gustoso e godibile, che rende il Pascoli più umano e simpatico!
Grazie, Giorgio Fabbri.
Rimarrà sempre un grandissimo poeta. Chi se ne importa di ciò che faceva sotto le lenzuola… Ringrazio anch’io la prof.ssa Boschetti per la notizie riguardo la mostra a San Mauro Pascoli. Terrò presente per le prossime uscite. Articolo comunque bello…
Sarebbe possibile apprezzare e comprendere a fondo la poesia di Leopardi senza conoscerne la vita? E capire la poesia di Sandro Penna senza sapere che era omosessuale? Certi tormenti che il poeta esprime e traduce in poesia si possono capire appieno solo conoscendo i suoi problemi esistenziali. Come sarebbe possibile capire Baudelaire o Rimbaud senza conoscerne la vita?
Sto dalla parte della Togni. In ogni caso, la poesia, come ogni arte, non va capita, ma “sentita”.
Basta con le immagini lacrimose ed oleografiche ! Basta con il povero orfano che piange tutta la vita e ci intristisce in continuazione! Basta con la cavalla storna che ci ha afflitto fin dalle elementari! Viva il Pascoli gioviale che beve il vino con Ferrari e Carducci,spedisce i provoloni alle sorelle e parla di cose allegre con il droghiere di Lucca! Grazie a Mario Gallotta per avermi fatto coprire un aspetto inedito e gradevole del poeta di San Mauro, liberato finalmente dalle antologie e dalle griglie professorali…
Grazie, prof. Berardi. In effetti, come nel caso di Giacomo Leopardi, la scoperta e rappresentazione del Male significa che non lo si accetta e si vorrebbe una vita felice e gioiosa (il poeta di Recanati avrebbe voluto solo godere, e ne è una testimonianza la sua “teoria del piacere”). Invece, proprio gli “allegroni” che non vedono il Male nel mondo sono persone che nascondono tristezza, rancore e violenza infiniti. Da tenersi alla larga, perché insensibili e quindi capaci di tutto.
scoprire, non coprire
Ringrazio tutti coloro che hanno letto il mio articolo e hanno speso una parte del loro tempo per commentarlo. Si tratta di un “pezzo” senza pretese d’alcun genere, scritto anche per sorridere assieme fra i mille problemi che ci affliggono.
Ha ragione l’amico Prof. Tripodi nell’affermare che la poesia va innanzi tutto “sentita”. Pur tuttavia (parlo per me, beninteso) riesco a “sentire” meglio una poesia o a farmi coinvolgere appieno da un’opera artistica solo se conosco le vicende personali dell’autore o il contesto nel quale è nata l’opera. Faticherei non poco ad emozionarmi davanti a una tela del Caravaggio, per fare un esempio,se non immaginassi le traversie esistenziali dell’autore.
Da ultimo ricordo che, alle elementari e alle medie, i poeti sembravano icone poste sull’altare, astratti e lontani dalla vita quotidiana.
Entrare nella loro vita privata me li rende più vicini e mi fa capire che il poeta, come ogni artista, scienziato o filosofo è pur sempre – e per fortuna – partecipe della comune umanità di tutti noi.
Carissimo Mario, considerazioni tutt’altro che peregrine le tue! Ancora complimenti per il tuo articolo.
Sono rimasto sorpreso per le affermazioni proto-leghiste di Pascoli. Certo non pare avesse grandi simpatie per il Sud…Forse, se ancora vivente, avrebbe approvato i cori anti-napoletani della curva bolognese… Un bossiano ante litteram? E bravo Zvanì, anche tu tra i “forza Etna”?
Gentilissimo dott. Rossetti, occorre sempre contestualizzare. Oggi, chissà dove si sarebbe collocato Pascoli. Che – ricordiamo – fu anarchico, socialista, colonialista…
Consiglio alla Prof.ssa Boschetti di leggere “I SEGRETI DI CASA PASCOLI”. L’autore è Vittorino Andreoli, psichiatra di fama mondiale.
Grazie per il consiglio bibliografico.