Fullen, “il campo della morte”: inedita testimonianza sulla costellazione di lager nazisti operativi durante la Seconda guerra mondiale in Bassa Sassonia, ai confini con l’Olanda. Fame, lavoro, ferite, malattia, ospedale
Se la storia e gli orrori dei campi di sterminio più famosi come Auschwitz, Buchenwald, Dachau, sono stati più volte raccontati, anche con documentari e film, e quindi abbastanza noti, restano tanti angoli bui sulle altre centinaia di luoghi di prigionia e di deportazione allestiti dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale.
Stalag VI-C di Fullen, in Bassa Sassonia, vicino al confine olandese. Fu attivo dal 23 settembre 1943 al 29 giugno 1945; dunque, per motivi logistici, anche dopo la liberazione degli Alleati, avvenuta il 6 aprile 1945. Il suo solo nome desta ancora orrore tra i pochissimi sopravvissuti ancora oggi viventi e i loro discendenti che ne serbano il ricordo. Era un lazarettlager, un campo ospedaliero, e rientrava nella costellazione di lager (tra i quali Bathorn, Gross-Hesepe, Oberlangen, Wesuwe, appunto Fullen e altri; vedi immagine 1) posta attorno a quello di Meppen, cittadina allora di circa diecimila abitanti, collocata a 80 km da Osnabrück. A tale campo Ettore Accorsi (San Carlo di Sant Agostino, Ferrara, 1909 – Modena, 1985), frate domenicano, cappellano militare, resistente, medaglia d’oro al valor militare, dedicò un libro, uscito subito dopo la fine del conflitto, dal significativo titolo: Fullen. Il campo della morte (Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo, 1946; vedi immagine 2).
Dei “sottocampi” si parlava poco, erano ignorati dalle organizzazioni di soccorso e, quindi, anche per questo, vi avvenivano orrori di ogni genere. Mentre nei campi principali c’erano alcuni servizi e tutele, in quelli minori come Meppen si era completamente abbandonati a se stessi. Si dormiva sulla paglia; non c’erano coperte; le scarpe, nonostante il freddo intenso, erano zoccoli olandesi; non vi era biancheria intima. Cimici, pidocchi, dissenteria, tubercolosi, cancrena, erano diffusissimi. Poco e scadente il cibo; era abitudine dei prigionieri appropriarsi di nascosto, rischiando la vita, delle bucce di patate gettate nella spazzatura dai tedeschi per cercare di ricavarne ancora del nutrimento.
Una torbiera umida e paludosa circondava Fullen, a poche decine di chilometri dal confine con l’Olanda. Pur non essendo ufficialmente un campo di sterminio (i prigionieri di guerra non dovevano essere eliminati come gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e i testimoni di Geova), era divenuto un lazarettlager riservato a italienischen militärinternierten (“militari italiani”) ammalati, destinati a morirvi senza alcuna assistenza medica. La media era di duemila “ricoverati”. I deceduti saranno il 50% circa. Sulla definizione di “internati” vi è qualcosa da dire. La derubricazione da prigionieri a internati implicava che ai secondi non venivano concessi i diritti derivanti dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Pertanto, erano collocati in un limbo giuridico (sebbene gli internati fossero formalmente riconosciuti da altri accordi internazionali), finendo per essere alla mercé dei tedeschi.
Sull’“ospedale” di Fullen – in realtà, come abbiamo visto, campo finale di sterminio – e dintorni abbiamo reperito due testimonianze inedite. Fullen è l’ultima tappa della deportazione in Germania del soldato semplice Francesco Tripodi, nato a Oppido Mamertina (Reggio Calabria) il 1° febbraio 1923, deceduto a soli 48 anni (anche per i postumi delle ferite e delle sofferenze patite in guerra), a Reggio Calabria, il 20 giugno 1971. Dopo l’8 settembre 1943, come quasi tutti i militari italiani, si rifiuta di “collaborare” con l’esercito tedesco: è il primo atto della Resistenza italiana e del recupero dell’onore della Patria. Saranno 46.000 i soldati italiani trucidati in pochi giorni nei Balcani, a Cefalonia, nel Dodecaneso; e altri 40.000 periranno nei lager.
Tripodi viene fatto prigioniero dai tedeschi in Jugoslavia e “internato” in vari campi di concentramento e di lavoro. Secondo i suoi stessi scritti, prima presso Stargard; poi, dall’ottobre 1943, nel campo di lavoro agricolo di Burzlaff; dal novembre 1943 presso la fabbrica Eumuco (a Kehl?); dal dicembre 1943 nella fabbrica Ortro-Mashinenbau di Opladen-Neucronenberg, dove contrae la tubercolosi. Ad Essen, in fabbrica, nel corso di un’incursione aerea alleata, viene ferito al ginocchio, quindi ricoverato in ospedale, dichiarato guarito, di nuovo ricoverato, per l’aggravarsi delle proprie condizioni, nel Lazaret di Dorsten e, infine, a Fullen, dove la sua sorte doveva essere la morte (pesa 40 chili). Dopo la liberazione del campo, nel settembre 1945 viene rimpatriato e ricoverato per le cure al Centro ospedaliero di Merano, presso l’albergo Meranerhof, al tempo adibito a ospedale.
Nel primo documento (risalente al 1950), Tripodi narra la propria esperienza di deportato in Germania. Come nell’ultima, commovente lettera alla mamma di Novello Bianchi, condannato a morte della Resistenza italiana, che abbiamo da poco pubblicato (La Valdossola, il partigiano e la custodia della memoria), troviamo in filigrana, connotati da tanta ingenuità, i valori della triade dell’epoca: Dio-Patria-Famiglia.
Tuttavia, il testo si conclude con idee nuove: «ricordo di una guerra che se è stata di dolori e di rovine, deve essere anche di redenzione e di nuova fratellanza tra i popoli». Pochi anni dopo, infatti, l’ex deportato aderirà, per qualche anno, prima delle delusioni dell’invasione sovietica di Budapest nel 1956, al Partito comunista italiano. Ancora più sconvolgente una seconda dichiarazione, spontanea, sull’estremo tentativo di sterminio da parte dei nazisti degli ultimi sopravvissuti nei lager. Essendoci stata data la possibilità di vedere gli originali dattiloscritti delle testimonianze, li trascriviamo con estrema precisione lasciando gli errori formali presenti. Ecco, di seguito, i due testi. (Per vedere tutte le immagini presenti in questo articolo nel loro formato originario, cliccarci sopra).
TESTIMONIANZA 1: DALL’8 SETTEMBRE 1943, AI LAGER, ALLA LIBERAZIONE
La mia storia è molto lunga e dolorosa; mi limito però a dirvela in breve, raccondandovi i pisodi e i momenti di maggiore rilievo, cominciando dal famoso 8 Settembre 1943, data rimasta scolpita nella storia d’Italia fra le più tragiche e dolorose, di quelle che la mente umana non può non rammentare senza raccapriccio e senza dolore. Sia però ringraziato Dio se ancora oggi, come, c’è chi può parlare di quella data e dei giorni che seguirono; altri miei fratelli, anzi, nostri fratelli, non possono dirlo, giacchè la loro voce si spense per sempre, tra le torture, le sevizie, gli stenti, la fame…
Fui catturato dai tedeschi, trasportato in Germania e internato nel campo di concentramento di Startagard del quale, con tanti altri sventurati compagni d’armi, venivo assegnato a vari posti di lavoro: in genere fabbriche, officine, nelle quali il lavoro era duro, sfibrante, continuo, sotto la sorveglianza di sentinelle severissime che non transigevano, non lasciavano respiro, lavoro che veniva compensato con uno scarzo piatto di brodaglia fatto per lo più di rape, accompagnato da pochi grammi di pane duro. Ma questo non era tutto, giacchè i bombardieri di coloro che poi dovevano essere i nostri futuri “alleati”, non mancavano di ronzare sulle nostre teste e di lanciare “quei ben noti confetti” che tutti, civili o militari, ragazzi o vecchi, hanno potuto conoscere e constatarne le luttuose e distruttive conseguenze. La guerra è guerra, e quella moderna non risparmia alcuno.
Una notte mi trovavo a lavorare in una fabbrica di Essen, quando la sirena di allarme ci preannunziò l’incursione imminente. Corremmo verso il rifugio, e neanche facemmo in tempo a ricoverarci che già il rombo degli aerei era su di noi. Le prime bombe cominciarono a squarciare, con i lugubri fischi e le potenti detonazioni, il silenzio della notte: avemmo l’impressione, quella volta, che l’accanimento del nemico fosse maggiore del solito. Il nostro pensiero era rivolto a Dio, le nostre anime erano tese, e fra le preghiere, le invocazioni i risultati della terra e dei nostri cuori si affacciavano alla nostra memoria, più che mai, le sembianze dei nostri cari, la nostra patria, le nostre case, tutto ciò a cui eravamo legati.
Ad un tratto uno schianto tremendo fece sobbalzare tutto… un attimo… poi più nulla… Cominciai a riprendere i sensi dopo parecchie ore. Che era accaduto? Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in un altro posto. Le orecchie mi ronzavano, mentre un acutissimo dolore mi dilaniava la gamba destra. Un soldato della Sanità, accortosi del mio risveglio mi si avvicinò chiedendomi: Come ti senti? Li per li ancora non capivo nulla, non risposi, ma gradatamente, guardandomi attorno mi accorsi di essere sdraiato in un ospedale da campo. Istintivamente le mani toccarono la gamba dolorante e constatai che era avvolto in una fascia. Ero dunque ferito. Chissà quanti, quella notte resero la loro anima al Signore, e quanti altri ebbero le membra offese o mutilate.
Dopo poche settimane di permanenza in quell’ospedale avendo il medico dichiarata la mia guarigione, fui di nuovo avviato al lavoro, ma in un’altra fabbrica. Dopo pochi mesi il ginocchio della gamba ferita cominciò a presentare un gonfiore: dapprima ebbi la forza di sopportare la fatica in quelle condizioni, ma quando proprio non resistetti più; fui ricoverato nel Lazaret di Dorsten. Anche lì ci raggiungevano i bombardieri, ma per fortuna i punti colpiti erano un pò distanti dal Lazaret. Ma una mattina, un convoglio ferroviario ci trasportò, in vagoni chiusi ermeticamente e dopo due giorni di viaggio, al campo di Fullen dove, tutti sospesi tra la vita e la morte, passarono altri mesi finchè un giorno, nell’attesa che venisse distribuita la famosa “zuppa”, senza che ci fosse tempo di fuggire nella baracca, delle raffiche di mitraglia proveniente da aerei piombati giù quasi di sorpresa, presero ad investirei furiosamente… Passata la bufera constatai di essere salvo, ma intorno a me, ed a quelli che con me la scamparono, erano disseminati cadaveri intusi di sangue, di polvere. – Poveri fratelli miei, quale ingrato destino, quale immensa tristezza!…
Così, finalmente, una mattina di aprile, quando pareva che gli ultimi residui di forza stessero per abbandonare noi miseri superstiti, udimmo avvicinarsi il rombo di motore: questa volta non per colpirci, ma per metterci in salvo. Erano infatti i primi automezzi della Croce Rossa Americana che vennero a liberarci. La commozione e la gioia di noi tutti non saprei descriverla. Una nuova speranza si dischiudeva per noi, la liberazione era l’inizio di una nuova vita, e bastava il solo pensiero di rivedere e baciare la propria terra amata per sentirci risollevati, rinvigoriti d’un tratto, pieni di proposti, di programmi futuri, di nuovi entusiasmi.
Tutto questo ci fece sopportare meglio alcune sofferenze che ancora si protraevano perchè io, come altri del resto, fui trasferito da un ospedale all’altro prima di essere congedato. L’ultima sofferenza è stata quella sopportata per l’intervento chirurgico praticato al mio ginocchio, ad opera di un amorevole e illustre clinico, dell’Istituto Principe di Piemonte di Napoli, una persona che non dimenticherò mai e per il quale serbo infinita riconoscenza: il Prof. Pacini.
Oggi, dopo otto anni, sono libero e salvo. Tutto ciò che ho sofferto appartiene orami al passato, e mentre vado riorganizzando la mia nuova vita rendo omaggio e ringraziamento al Signore per avermi concesso di sopravvivere, mentre il mio pensiero, commosso, va ai miei compagni che non sono più, ma sono vivi lassù, nel cielo, a perenne ricordo di una guerra che se è stata di dolori e di rovine, deve essere anche di redenzione e di nuova fratellanza tra i popoli.
TESTIMONIANZA 2: IL PIANO DI ELIMINAZIONE DEGLI ULTIMI SOPRAVVISSUTI AI LAGER
Il sottoscritto Tripodi Francesco di Salvatore dichiara: che nell’estate 1944 fu trasferito, perchè molto ammalato, al Campo di Fullen (MEPPEN). Dopo pochi giorni che si trovava in detto campo, non arrivavano più viveri, senonchè verso il terzo giorno, mentre si trovavano inquadrati al centro del campo in attesa di ricevere finalmente qualcosa da mangiare, invece di ricevere il rancio è apparso sul campo un aereo tedesco il quale con una buona mitragliata, lasciò sul campo moltissimi morti e feriti.
Pare che non avendo più niente da dare per mangiare agli internati ed essendo degli esseri ammalati, si era deciso di eliminarli. Dopo la liberazione, le autorità militari americane, trovarono un documento, il quale fu tradotto in italiano e letto apertamente a tutti gl’internati del campo di Fullen, il quale detto documento autorizzava le S.S. di procedere alla eliminazione degli internati ammalati.
Altre testimonianze su Fullen e dintorni: – Video in cui parla l’anziano ex internato Luciano Rossi: Per non dimenticare, Fullen il “campo della morte”; – Testimonianza di Umberto Olobardi, tratta dalla celebre rivista fondata da Piero Calamandrei, Il Ponte (maggio 1955): Ritorno alla libertà;– Testimonianza di Salvatore Vitiello: http://www.testimonianzedailager.rai.it/testimoni/test_23.asp.
Le immagini: In apertura: Cimitero di Fullen; 1. Mappa della costellazione dei lager di Meppen; 2. Copertina del libro Fullen. Il campo della morte di don Ettore Accorsi; 3. Foto della liberazione dello Stalag VI-C; 4. Piastrina militare del soldato Francesco Tripodi; 5. Piastrina di internato 102702; 6. Cartellino della fabbrica Ortro-Mashinenbau di Opladen-Neucronenberg, dove venivano utilizzati prigionieri di guerra; 7. Cartolina per la corrispondenza dei prigionieri di guerra indirizzata dai familiari al campo di prigionia di Krefeld-Fichtenhain (come nell’immagine 6, si legge il numero assegnato al prigioniero Tripodi: 102702); 8. Carta di identificazione degli Alleati; 9 e 10. Momenti più sereni, durante la convalescenza di Tripodi nel sanatorio di Merano (rispettivamente il primo a destra e il primo a sinistra);11 e 12. In calce: dichiarazione spontanea dattiloscritta su carta velina (Testimonianza 2) e foglio di congedo militare assoluto, datato 6 maggio 1956.
Nicola Marzo
(LM MAGAZINE n. 28, 20 gennaio 2014, supplemento a LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)
Salve, sono Lorenzo Grasso, maresciallo dei carabinieri In congedo. Pochi giorni prima dell’arrivo degli americani nel campo di Meppen, mio zio Crescenzo Grasso fu ucciso dalle SA. Se qualche sopravvissuto lo ricorda, sarei grato di poter essere contattato. Buona giornata.
Gentilissimo maresciallo,
grazie per aver postato sulla nostra rivista.
Purtroppo ormai i sopravvissuti a quei terribili eventi sono pochissimi.
Spero che il suo messaggio trovi risposta, ma credo sia davvero difficile.
Salve. Mi chiamo Corinna Camerino e sto cercando notizie su sopravvissuti al campo di Oberlangen nell’aprile 1944, in cui mio padre, classe 1916, in qualità di ufficiale o sottufficiale, fu deportato. Mi ritrovo un ritratto di mio padre fatto da qualcuno le cui uniche indicazioni sono delle scritte: Oberlangen Previtali Prigioniero Aprile 1944 Westvalia. Mio padre si chiamava Camerino Francesco. Ringrazio quanti potranno darmi informazioni.
Gentilissima Corinna,
grazie per averci scritto.
Temo che possibili nuove testimonianze e ricordi dei deportati di Meppen e magari di loro amicizie e solidarietà personali, ormai riferite dai figli e dai nipoti dei detenuti siano davvero rare e difficili da ricostruire e reperire.
Buonasera signora Corinna,
ho letto che cerca notizie di suo padre; anche mio padre – ho scoperto adesso, dopo la sua morte – è stato internato a Meppen; io durante la sua vita credevo fosse stato solo ad Hagen e che la sua fosse stata una prigionia un pò soft, perché lui non ne parlava mai e se parlava non si lamentava. Dopo la sua morte, per sentirmi vicino a mio padre, ho fatto delle ricerche. Dal Centro documentale dell’Esercito ho potuto avere accesso al verbale di interrogatorio da reduce ed ho appreso che era stato a Meppen e poi a Dortmund, mentre dal verbale del Centro Alloggio di Como ho saputo che era stato pure ad Hagen, e che aveva contratto la scabbia. Vorrei tanto potermi mettere in contatto con chi l’ha conosciuto, ma la cosa mi sembra molto difficile; su facebook è stata creata una pagina in cui si trovano i familiari degli internati militari, imi: ho postato la foto di mio padre insieme ai suoi compagni di leva; inoltre, per avere notizie più dettagliate ho scritto all’archivio di It Arolsen.
Buongiorno.
Anche mio nonno Erminio Marianna è stato prigioniero a Meppen dopo esser stato catturato in Jugoslavia dopo il 23 luglio 1943. Ho fatto tante ricerche ma con risultati mediocri. Mia nonna, deceduta qualche anno fa, mal volentieri ricordava… se qualcuno/a ha notizie su compagni o eventi, gli sarei molto grato.
Gentilissimo Simone,
grazie per averci scritto.
Temo che possibili nuove testimonianze e ricordi dei deportati di Meppen e magari di loro amicizie e solidarietà personali, ormai riferite dai figli e dai nipoti dei detenuti siano davvero rare e difficili da ricostruire e reperire.
Buon giorno, mio nonno DI MATTEO NICOLA è stato fatto prigioniero in Albania nel settembre ’44 e portato a Meppen dove vi è morto per tubercolosi.
Se qualcuno ricorda, mi contatti, gliene sarei molto grato.
Ora riposa in pace nel cimitero italiano militare di Amburgo Öjendorf.
Un grazie anticipato.
Gentilissimo Nicola, grazie per averci scritto.
Buon giorno. Mi chiamo Daniela Zuliani. Mio nonno era prigioniero a Fullen (Meppen) si chiamava Carlo Zuliani. Sapeva cantare benissimo e so che doveva anche cantare per i tedeschi qualche volta. Forse qualcuno lo ricorda o ha cantato o recitato con lui. Non so dove sia stato catturato. Sarei molto contenta per sapere di piu su di lui. Molte grazie.
Gentilissima Daniela,
purtroppo, come vede anche dai post precedenti, è difficilissimo che qualcuno raccolga il messaggio. È passato molto tempo e più generazioni.
Grazie, comunque, per avere scritto.
Salve. Mio nonno è stato prigioniero a Meppen.
Gentilissima Lucia, grazie per averci scritto.
Buona sera,
Trovo solo ora questo sito internet.
Anche mio zio Raffaele Filisina, bresciano di Goglione di Sotto, ora Prevalle (Brescia) morì al campo Fullen, Meppen. Era nato il 3.8.1923, morì il 3 ottobre 1944 a Gross Fullen, Meppen.
Riposa ora nel Cimitero d’onore Militare Italiano all’interno del cimitero di Ojendorf ad Amburgo.
Patrizia
Gentilissima Patrizia, grazie per averci scritto e per la commovente testimonianza.
Buona sera. Anche mio padre, Marinelli Salvatore, è stato prigioniero presso il campo della morte, lo stalag VI-C, con numero di matricola 96619. Volevo inserire la foto della sua piastrina! Mai una volta in vita papà ha mai parlato della guerra e delle torture subite nel campo di sterminio per i nostri militari. Anche al ritorno in patria papà è tornato a fare il suo dovere in G. di F. Era nato il 17/9/1923; ci ha lasciato il 14/3/1995.
Grazie e un cordiale saluto a tutti per non dimenticare.
Gentilissimo Franco,
grazie per la sua testimonianza. In effetti, molti nostri internati, tornati in patria, facevano fatica a parlare di quanto accaduto, vale a dire l’orrore assoluto. Voglia di dimenticare? Pudore? Vergogna? Paura di non essere creduti? Non voler turbare parenti e amici? Odio?
Ora sono tutti angeli tra gli angeli…
Mio padre, Natale Bottaro del 1920, catturato a Riano in Yugoslavia, deportato a Meppen e poi a Dortmund ed Hagen. Non parlava mai della prigionia; adesso che mi sono messa in contatto con i familiari di altri internati, apprendo che neppure loro amavano parlare della prigionia, molto probabilmente ciò è dovuto non solo al fatto che sono stati traumatizzati dai tedeschi, ma anche al fatto che al loro ritorno nella loro terra non hanno avuto l’accoglienza che meritavano, erano stati considerati traditori dai tedeschi e da traditori sono stati trattati anche dagli italiani, i quali non hanno capito bene che il loro lavoro per l’industria bellica tedesca era un lavoro coatto. Sono andati in preda a crisi d’identità, hanno pensato ch’era meglio per loro non parlare in un paese dove tutti si volevano scordare ormai dell’esercito fascista. In realtà loro erano stati considerati come degli oggetti caduti di moda, e nessuno ha pensato che erano stati vestiti da soldato ed avevano patito le pene dell’inferno, dicendo NO alla guerra. Qualcuno invece ora parla di RESISTENZA SENZ’ARMI: anche loro hanno fatto la Resistenza e lottato per la Pace.
Salve, anche mio padre Marchiori Francesco è stato internato a Fullen. Suonava la tromba e organizzava degli spettacoli nel campo. Consiglio di visitare il Museo dell’internato di Padova è molto interessante e ci sono ricordi e libri anche di Fullen.
Gentilissima Manuela, grazie per il suo intervento e la sua testimonianza.
Buongiorno,
anche mio padre Pasqualini Aldo era deportato nel campo di Krefeld-Fichtenhain VI-J matricola 50576, come documentato dalla corrispondenza e altri documenti da lui conservati; è deceduto nel 2013.
Il lager esiste ancora?
Ad agosto vado a Colonia per due giorni e mi piacerebbe visitarlo in caso esista ancora.
Grazie in anticipo per la risposta.
Carla
Gentilissima signora Carla,
grazie per averci scritto e aver ricordato suo padre. Purtroppo, non credo vi sia a Fullen qualcosa che ricordi il lager (ho fatto ricerche on line e ho chiesto a conoscenti). Potrebbe scrivere al Municipio.
Grazie
https://www.gedenkstaette-esterwegen.de/
https://www.youtube.com/watch?v=CiFP-gMs4Ho
Buongiorno,
chiedo scusa, ieri scrivevo dal cellullare e mi rendo conto che manca tutto il mio commento. Volevo ringraziare per questa pagina e testimonianza. Inoltre volevo informare che anche mio zio è morto a Fullen.
Non esiste più in quel luogo il campo, ma ad Esterwegen vengono ricordati i vari campi della zona e questo è il loro sito internet:
https://www.gedenkstaette-esterwegen.de/
A Fullen si trova ancora il cimitero dove ci sono tombe di internati non italiani.
Mio zio, come gli altri deceduti italiani, era stata traslato nel Cimitero Militare Italiano di Amburgo. Quando lo abbiamo ritrovato nel 2012, lo abbiamo riportato al suo paese natale e deposto i suoi resti nella tomba di famiglia con i suoi genitori. Per ricostruire brevemente la sua storia, abbiamo realizzato un video e questo è il link https://www.youtube.com/watch?v=CiFP-gMs4Ho.
Grazie di tutto.
Volevo consigliare anche un interessante libro/diario su Fullen:
BINARIO MORTO di Ferruccio Francesco Frisone.
“Catturato dai tedeschi in Albania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Ferruccio F. Frisone subisce una lunga prigionia come internato militare (IMI): prima a Semlin, presso Belgrado, poi, ai confini con l’Olanda, a Versen e nel Lazarett di Fullen, il Lager-ospedale tristemente noto come ‘campo della morte’. Per più di 600 giorni Frisone tiene un diario, che qui viene pubblicato per la prima volta in versione integrale e corredato dai 109 disegni realizzati durante l’internamento. Si tratta di una fonte documentaria straordinaria che racconta una quotidianità intima, sospesa e dolorosa, fatta di fame, freddo, malattia, ma anche di sforzi disperati per conservare la dignità. Una testimonianza ‘per diario e immagini’ che si fa prezioso tassello per quella storia degli italiani tra il 1943 e il 1945”.
Buon giorno. Ho letto tutto con molto interesse e tanta tristezza. Mio nonno, il capitano Vincenzo Moltedo è stato fatto prigioniero al Pireo dopo l’8 settembre e portato a Fullen dove è morto. Nel 1946 la salma è rientrata a Napoli, sua città natale, dove è stato finalmente sepolto con gli onori militari. Qualcuno ha sentito parlare di mio nonno?
Grazie
Pierluigi Moltedo
Probabilmente era con mio nonno, colonnello Mario Sacchi, che fu liberato dai canadesi nel maggio 1945.
Salve, mi chiamo Rudi Lapini presidente di un museo sulla seconda guerra mondiale in provincia di Arezzo. Si chiama Quelli della Karin. Ma cosa più importante è che sono nipote diretto di Landucci Patrizio evaso dal campo di concentramento di Fullen dopo un anno di internamento. Al momento della fuga pesava 42 kg ed ha ricevuto una medaglia al valor militare per tale gesto.
Salve. Grazie per questa pagina. Mio zio Stefano Merlo, nato a Sanremo (imperia) nel 1920, è deceduto nel campo di Fullen il 18 gennaio 1945 a 24 anni. Era Imi (internato militare italiano), catturato a Spalato in Jugoslavia l’8 settembre 43. Di lui mi ha sempre raccontato mio nonno, ne ha fatto deporre una lapide in ricordo di tutti gli Imi qui a Sanremo, i suoi resti sono giunti anni dopo dalla Germania e ora riposano nella tomba di famiglia qui a Sanremo.
La lapide è censita sul sito “pietredellamemoria” se volete visionarla.
Mio padre, Ferruccio Francesco Frisone, ci ha lasciato un diario della sua vita a Fullen che è stato pubblicato nel “Binario Morto” (editore arabAFenice). Il libro contiene più di 100 disegni ed una lista dei soldati deceduti nel lager con le date di morte (era incaricato di preparare le croci). Da alcuni anni abbiamo avuto l’immenso piacere di conoscere famiglie di altri IMI e forse poter aggiungere qualche ricordo dei loro cari. E forse uno di loro vi ha parlato del pittore scenografo del teatro di Fullen… Se lo desiderate, potete contattarmi a grfmilan@aol.com.
Grazie a tutte/i per le toccanti testimonianze.
Angela 7gennaio 2020
Mio padre Russo Francesco è stato prigioniero a Meppen.
Mia madre è stata prigioniera assieme ai suoi genitori nel campo di Dalum sul quale ho difficoltà a reperire notizie. Vi è possibile aiutarmi? Se riusciste a indicarmi libri o testi mi farebbe piacere documentarmi. Grazie comunque e grazie per le testimonianze
Mio padre Vincenzo Mannone era un IMI, tenente, catturato nel 1943 e portato a Luckenvald dove è stato registrato col n.114045. È stato in vari lager (Deblin-Irena, Meppen, Wesuve, Soest) e liberato dagli americani nel 1945. Ho trovato difficoltà a reperire notizie e documenti, solo nel Lebi ho trovato una sua breve scheda.
Grazie per la testimonianza.
Salve. Se possibile, vorrei avere notizie della prigionia di mio padre, catturato in Albania dopo l’8 settembre e deportato in Germania. Internato Stalag VI dal 1943 al 1945, fino alla liberazione nell’aprile del 1945. Mi raccontava che la mattina li portavano a lavorare in una fabbrica di carri armati fuori al paese; non si ricordava il nome del paese, forse Osnabruk. I dati di mio padre sono Pagano Francesco, nato a Sparanise (provincia di Caserta) il 10/12/1922.
Salve. Io avevo il mio padrino Salvatore Francone catturato dai tedeschi in Jugoslavia e deportato ad Osnabruk; non so niente di quegli anni dal 1943 al 1945 trascorsi nel campo. Qualcuno mi sa raccontare qualcosa? Sto provando a scrivere un libro a partire dall’8 settembre per tutti i militari che confidavano ingenuamente nell’amicizia con i tedeschi e di quelli che trovarono scampo sulle navi italiane ancorate al porto di Spalato. Altri ancora per riscattare l’onore perduto decisero di combattere a fianco delle formazioni partigiane molti dei quali persero la propria vita.
Recentemente ho fatto ricerche riguardante documenti lasciati da mio nonno CAMAGGI ALDO (ormai deceduto). Lui proveniva da Bologna ed è stato catturato a Merano e trasferito all’ospedale di Fullen, dove è rimasto per due anni fino alla liberazione nel ’45. Nei documenti che mi ha lasciato ci sono degli appunti, presumo dei compagni deceduti. Esattamente riporta i nomi e penso le tombe dove sono stati sepolti: sono piccoli appunti, niente di che.
Se volete, posso inviarmi una copia di quanto trascritto.
Cordiali saluti
Claudia Magagnoli
Gentilissima signora Magagnoli,
grazie per aver postato sul nostro articolo.
Per l’invio del contenuto degli appunti, le consigliamo questa pagina Facebook:
https://www.facebook.com/groups/140658479207
Salve,
La contatto perchè sto conducendo delle ricerche su mio nonno, Calvo Venerando, che fu un Internato Militare Italiano in Germania dal 1943 al 1945.
Dalla documentazione in mio possesso, foglio Matricolare e caratteristico e documenti ricevuti dal WAST e dagli archivi Arolsen sono in possesso di queste informazioni:
Nome: Venerando
Cognome: Calvo
Nato ad Avola il 25/11/1918
Reparto: 59° Reggimento Artiglieria D. F. nr di matricola 2522
grado: soldato
Luogo e data di Cattura: Calamata, Grecia il 20/09/1943
Luogo Internamento: Stalag VI C nr di matricola: 81181 (dati forniti dal WAST)
Dalle schede DP-2 invece risulta che venne poi detenuto nel centro nr 42-301 ( dati Archivi Arolsen)
Dai dati in mio possesso è possibile risalire con precisione al campo di internamento dove fu detenuto mio nonno dato che il campo VI C di Bathorn fu poi diviso in vari sottocampi?
Esiste un modo per venire a conoscenza del campo di lavori forzati a cui fu successivamente destinato? Dalle ricerche degli Archivi Arolsen pare che il campo di lavoro potesse essere quello di Alsdorf: saprebbe indicarmi a quale Ente/Istituzione potrei indirizzare la mia richiesta per ottenere informazioni al riguardo?
Le sarei grata se potesse darmi qualche indicazione o informazione.
Mio padre è stato catturato in Croazia, deportato nello stalag XB del distretto di Amburgo, poi è stato trasferito nella bassa Sassonia nello Stalag XIA conosciuto come Arbeitskommando 431, dove i prigionieri li facevano lavorare a forza di botte. Mio padre preferiva non parlarne.
Noi familiari abbiamo conosciuto le torture da lui subite durante la prigionia a distanza di parecchi anni quando era stato operato al cervello e sotto gli effetti prima dell’anestesia e nei giorni successivi all’intervento, sotto effetto dei farmaci, scomparsi i freni inibitori, è riaffiorato tutto quello che la mente aveva soffocato.
Ha lavorato nelle acciaierie, negli arbeitskommando di Bochum, nella Reichwilde ai confini con l’Olanda, abbatteva alberi, costruiva trincee di ostacolo all’avanzamento egli alleati. Il lavoro era massacrante, temperature basse e la sera dormiva per terra.
Dear all,
we would like to get in closer contact and do some more research on the above mentioned persons.
Maybe you could send us an e-mail to info@gedenkstaette-esterwegen.de .
Best regards,
Martin of the Esterwegen Memorial (regarding the former camps in Fullen, Versen, Oberlangen etc.)
http://www.gedenkstaette-esterwegen.de
Mio suocero, caporale Cordioli Eugenio di Povegliano Veronese – Verona, classe 1922, fu catturato in Grecia nel 1943, preso e portato dai tedeschi in Jugoslavia e deportato nel campo di MEPPEN; è riuscito a ritornare a casa nel 1945, e nel 2011 è venuto a mancare. Non ha mai voluto parlare di quel periodo di sofferenza ai suoi famigliari o amici, diceva solo che che ha sofferto e mangiato tante bucce di patate, si è ritenuto fortunato di essere tornato a casa.
Cordiali saluti
Laura Montresor
Ho saputo che mio nonno Cheli Angiolo è morto nel campo di Fullen (Mappen) il 7 agosto 1945.
Qualcuno conosce qualche particolare in più sulla storia di questo lazzarettlager? Perché, se la guerra finì in aprile, era ancora attivo in agosto? Ho trovato date discordanti sulla durata della sua attività…
Mio nonno è seppellito nel cimitero monumentale di Amburgo.
Grazie
Patrizia Cheli
Il campo di Fullen e altri sono citati nel cap. VI del libro di Mimmo Franzinelli “Il Riarmo dello Spirito. I cappellani militari nella Seconda guerra mondiale” alla voce “I cappellani nella deportazione”. Non ci sono nomi di deportati ma l’atmosfera terribile si respira nelle testimonianze dei preti colà destinati.