“Quanto più esiste in un periodo storico uno scollamento tra le diverse forme di cultura (e di arte), tanto più la produzione culturale nel suo complesso risulta disomogenea e lo spazio che si lascia alle sottoculture si amplia”. Così Franco Serra, in Mordere il frutto contaminato, descriveva nel marzo 1979(1) gli effetti dei condizionamenti culturali sul fumetto italiano, e non solo, di quel periodo.
Pochi anni prima era stata formulata l’idea della “spirale del silenzio”, “quel processo in cui si forma un’opinione pubblica nuova, giovane o si diffonde la trasformazione di una vecchia opinione pubblica”(2). Un fenomeno di controllo sociale, basato, attraverso criteri di approvazione e disapprovazione, sulla “paura dell’isolamento” e su media in grado di allertare continuamente gli individui irreggimentandoli entro il clima d’opinione dominante.
Di quel decennio tra i Settanta e gli Ottanta, diviso fra “seguire il branco” di una nuova opinione pubblica che veniva formandosi oppure opporvisi con il proprio potenziale creativo, con la libertà d’espressione, hanno parlato di recente a Bologna Filippo Scòzzari, figura fondante del fumetto italiano, e gli scrittori Franco Berardi “Bifo” e Pierfrancesco Pagoda, che hanno altresì denunciato una realtà odierna sterile e culturalmente carente.
E censura fu – I giornali satirici e umoristici, assieme ai fogli d’immagini (apparsi nel 1872 sull’esempio francese e tedesco), sono considerati i precursori del fumetto italiano. Nascono – testate religiose comprese – dalla volontà di diffondere un pensiero sociale e politico, e oscillano tra il diventare strumenti di propaganda e l’essere soppressi, quando “troppo” indipendenti. Primo giornale a essere diffuso con caricature fu il napoletano Arlecchino (1848), anche se Il Caffè Pedrocchi (1846), in un contesto di pesante censura, pur non pubblicando disegni, rappresenta, secondo lo storico dell’umorismo Enrico Gianeri(3), il prototipo dell’umorismo italiano. La correlazione umorismo-censura, assieme alla sequenzialità narrativa, alla serializzazione dei personaggi, alla continuità di pubblicazione, diventa una costante di quest’arte visiva. Da Lo spirito folletto (1848), soppresso dal generale austriaco Radetzky (Johann Joseph Franz Karl), all’Almanacco del Pungolo, testata censurata dagli austriaci un anno dopo la sua prima uscita (1858) e atto di nascita della Scapigliatura milanese, da quelle soppresse dal Fascismo (Pasquino, l’Asino, ecc.), a Travasissimo del 1951, supplemento mensile monotematico del Travaso delle idee, sequestrato per una vignetta che metteva in ridicolo la repressione operata dai celerini inviati dal ministro degli Interni Mario Scelba contro le manifestazioni operaie, episodio che inaugura a tutti gli effetti il rapporto tra la moderna censura delle istituzioni democratiche e l’editoria del fumetto italiano.
Quel mistero buffo della libertà d’espressione – Il 1977 fu l’anno del colore in tv. Vennero compiuti 2.128 attentati terroristici, all’emergenza ordine pubblico s’aggiungevano le difficoltà economiche, duecentomila metalmeccanici sfilarono a Roma. Fu l’anno del Convegno sulla repressione di Bologna – “organizzato da movimenti di estrema sinistra” chiosava il titolo del fascicolo che girava in Questura(4) – e delle polemiche che si scatenarono tra politici e intellettuali del dissenso, riuscendo a far irritare persino Enrico Berlinguer al punto che disse riguardo ai partecipanti, tra i quali il filosofo francese Felix Guattari: “Oggi che il fascismo è parola impresentabile, usano la parola autonomia”(5). Fu l’anno del “caso Fo”, con la reazione degli ambienti cattolici ufficiali alla trasmissione Mistero Buffo di Dario Fo, giungendo fino alla richiesta dell’immediata sospensione del programma da parte del Cif (Comitato italiano femminile) e ad aspre reazioni della Commissione interparlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radio televisivi per i contenuti anticattolici e la linea radical-socialista espressa dal futuro premio Nobel per la letteratura. “Una grande violenza unilaterale contro fondamentali valori religiosi condivisi da molti cittadini” dirà Mauro Bubbico, deputato democristiano membro della stessa commissione, intervistato da Corrado Augias per la Repubblica il 26 aprile di quell’anno. E’ l’anno della polemica sulla libertà d’espressione, di stampa, e Giorgio Forattini, riprendendo il primo logo della Rai, la rappresenta attraverso un Fo crocifisso al simbolo della Televisione italiana. In questo clima s’inseriscono quelli che Scòzzari definisce “sporchi fumettari”, i quali, osservando quanto succedeva in Italia e nel mondo, diedero vita a numerosi progetti editoriali, affrontando le enormi difficoltà poste dalla censura di Stato.
Scòzzari da Re Nudo a Il Male – Per Scòzzari tutto inizia con disperati proclami, “appelli da matto finiti nel vuoto”, dai microfoni di Radio Alice di Bologna, nei quali, come lo stesso ricorda, “cercavo anime gemelle che assieme a me si auto-incaricassero di migliorare l’universo, con le proprie potenzialità, con la propria voglia di cambiare le regole della comunicazione”. Così l’autore decide che è giunto il momento di entrare nel mondo della micro-comunicazione, quella non ufficiale, libera, così come s’andava configurando verso la fine degli anni Settanta. Gratis pubblica per Re Nudo, “rivista acclamatissima ma non ufficiale, una Bibbia per quegli anni”, poi il “salto nell’ufficialità rizzoliana di Linus“, da cui scappa perché “eccitato dalla sirena di Cannibale, giornalino romano che scontava tutti gli stilemi dell’underground americano”. Ancora un salto, questa volta verso Il Male, “settimanale super maledetto e super sequestrato”. Dalla scuola romana Scòzzari assorbe una lezione di libertà e la consapevolezza di poter andare oltre le istituzioni culturali vigenti in Italia. “Il fatto che Il Male fosse sequestrato praticamente ogni numero”, ricorda, “con i pretesti più risibili, era indicativo sia della forza di quel giornale, sia e soprattutto della debolezza d’un paese che ancora teneva la carta stampata irreggimentata”. La redazione de Il Male regala agli autori che ne fanno parte un’altra consapevolezza. Un giornale è tanto più potente quanto più fa succedere cose che vanno al di là della carta stampata. Riuscì persino a scatenare un putiferio convincendo “il presidente Carter che in Italia non esisteva la libertà di stampa”.
Il mitico Frigidaire – Da lì l’ulteriore passo per Frigidaire, “una sorta di Il Male colto”, dal quale Scòzzari trae un’altra altissima lezione. Niente pregiudizi nell’affrontare la scelta degli argomenti, niente “arricciare i nasi quando il grande reportage è appaiato al fumetto o la grande inchiesta alle vignette”. Apprende la formula di Frigidaire: “Giocare con tutti i registri possibili e immaginabili per presentare il mondo attraverso quelle sfaccettature che non erano mai prese in considerazione dai giornali”, come spostare lo sguardo a ciò che succedeva nel pianeta. Una linea editoriale che contribuì, come racconta lo stesso, “a cambiare anche l’impostazione dei quotidiani in Italia, che fino agli inizi degli anni Ottanta avevano dedicato poco agli esteri perché ritenevano più importanti i temi della politica, del costume, della cronaca”. Una lezione fu anche l’essere attorniato da grandissimi creatori d’immagini coi quali gareggiò per spettacolarizzare il reale (Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, ecc.), “un continuo sfidare lo show della realtà cercando di controbatterlo con lo show che inventavamo col nostro cervello”. Infine i lettori, quelli che “t’insegnano che nessuno è abbastanza fenomeno da non meritarsi una stangata, quindi dovevi stare attento a quello che dicevi, a come lo dicevi e perché, in qualche modo abbastanza strano non era proprio la libertà totale quella che avevi sulle pagine, avevi però una libertà in un certo senso irreggimentata da una sorta di responsabilità d’autore: non puoi sempre e comunque permetterti di dire stronzate”.
Dal Made your self al supermarket dello stile – L’eredità culturale, il segno che riviste come Frigidaire hanno lasciato, è l’eclettismo. Pierfrancesco Pacoda, critico musicale e saggista (il Manifesto, Carnet, Rockstar), afferma che Il Male, Cannibale, ma soprattutto Frigidaire, hanno “insegnato che oggi bisogna leggere e raccontare la realtà non attraverso un linguaggio ma una molteplicità di linguaggi”. E se in quegli anni c’erano stili ben determinati, in base al gruppo d’appartenenza o alla musica che s’ascoltava, oggi, afferma il giornalista, “tutto questo è saltato, viviamo in un mondo dominato dal supermarket dello stile, cioè da uno stile che altro non è che la somma, la moltiplicazione, il mixaggio, se pensiamo ai dj, tra stili diversi che appunto s’intersecano”, un fenomeno, per quanto riguarda le culture giovanili o le nuove culture visive, nato con Frigidaire, “nato come uno sguardo esterno su una serie di realtà diverse”. L’esperienza Frigidaire ha insegnato “che per un’artista è importante sporcarsi le mani, non solo con la quotidianità, con la realtà, ma anche col consumo”, e Scòzzari, col suo lavoro per la Vans, ne è l’esempio, con “l’idea incredibile di come un tratto politicamente scorretto potesse invece benissimo conciliarsi o vivere parallelamente alle esigenze della pubblicità”. L’editoria indipendente è l’altra caratteristica dell’esperienza Cannibale, Il Male, Frigidaire. Se si pensa a quel periodo, si nota che il ’77, con movimenti come il Punk in ambito musicale, ha lanciato l’idea del “fai da te”: “Poter creare al di là delle necessità, delle logiche, delle imposizioni del mercato, un messaggio oggi ripreso dai giovani”.
Il prezzo della libertà editoriale – Made your self che Scòzzari ripensa come limite profondo dell’editoria indipendente, “perché riesci a fare solo se hai i soldi per fare e siccome i soldi non li hai mai devi andare in giro a cercarli, è qui che si cominciano a sentire concretamente i topi del potere che erodono la tua libertà fino al punto che devi arrivare a dei compromessi”. Limite che l’autore mette a nudo attraverso i ricordi, come quando parla del rapporto con una società editrice socialista allorquando furono costretti ad “andare a bussare ai socialisti, i quali caddero nel tranello del furbo Vincenzo Sparagna che ebbe buon gioco di fargli credere che di lì a poco sarebbe venuta fuori una bellissima rivista socialista, ma vollero comunque tenersi una quota di controllo dandoci soldi per sopravvivere i primi tre numeri. Come s’accorsero cosa avevamo messo fuori, Alberto Rizzoli cadde dalla seggiola e fecero marcia indietro costringendo Sparagna e noi a rifondere loro la quota di controllo, un giochino anche quello basato sui soldi. Facendoci le più fosche previsioni, “morirete presto”, abbiamo continuato per vent’anni, ma da quel momento in poi le cose si sono fatte ancora più dure, devi sempre insegnare che un conto è la leggenda un conto è la verità vera… sudori, pippaculo, minacce da tutte le parti, anche pesanti, come quando facemmo un numero falso della Gazzetta del Mezzogiorno – affiliata ai socialisti pugliesi – e come s’accorsero che era un continuo dare addosso specialmente a loro minacciarono di morte Sparagna […]. Il prezzo della libertà è costoso, devi avere a che fare con le banche, coi cravattari di Roma, insomma l’editoria o comunque la comunicazione, la libertà personale… è una libertà che hai ma che ti costa veramente cara, quindi a differenza di Suor Dentona [personaggio e uno dei disegni preferiti da Scòzzari, le cui storie compaiono su Il Male nel 1978/79; su Frizzer nel 1985 e su Frigidaire dal 1984 in poi (ndr)] che tutte le volte chiude le sue menate con “la prossima battaglia lo rifaccio”, confesso che questa volta direi “la prossima battaglia parliamone” perché è talmente dura che questa durezza deve essere trapelata al di la delle pagine di vent’anni di produzione e deve aver spaventato in qualche modo perché non sento, non capto la voglia di riprendere quella bandiera… bisogna avere idee, tigna, cattiveria, bisogna essere animati da un odio scòzzaresco che non vedo in giro… Frigidaire non ha avuto la possibilità di figliare”.
Dal no future a oggi – Perché oggi è cosi difficile passare il testimone? Secondo Bifo la questione va riformulata. Bisogna infatti chiedersi: come mai la domanda culturale è cambiata in modo così radicale? Se sino alla metà degli anni Settanta non esisteva pluralità di comunicazione né in ambito commerciale né culturale, nel passaggio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta gran parte della cultura, non solo occidentale, “ebbe come la percezione di un cataclisma in arrivo, la parabola stessa dei movimenti di quegli anni, dalla fase creativa, felice, espansiva, alla fase “la felicità è sovversiva quando si collettivizza”, all’altro periodo, quello che si può sintetizzare nella frase “non ti preoccupare del tuo futuro tanto non ce l’hai” [fu l’ambiente musicale del Punk inglese a coniarla, col no future dei Sex Pistols (ndr)], ecco questa è la parabola che noi possiamo seguire nelle forme di consapevolezza ma soprattutto nelle forme espressive più brutali”. Il segno, l’operazione culturale, estetica, fatta da Scòzzari, visualizza per Bifo “una specie di percezione paranoica d’un divenire nel mondo, una paranoia alla Philip K. Dick, come forma di conoscenza, ma anche tutto un succedersi di linguaggi, di figure stilistiche del decennio tra il ’77 e la metà degli anni Ottanta; modalità di linguaggio che vanno dall’ironia, che in fondo è una capacità di sospensione del reale da parte del linguaggio all’iperbole apodittica, conduzione allo stremo del reale, alla modalità satirica, che si colloca su un piano di realtà che è lo stesso del potere, il lavoro della caricatura per esempio, che in fondo segue la direzione del potere […] e poi c’è la paranoia, la capacità di vedere il mondo come se dietro il mondo ci fosse un’intelligenza cattiva”. I numeri di Actuel, di Frigidaire del 1980, riportano il mutare dello spirito del tempo, rappresentando per Bifo “la registrazione sbigottita di un divenire del mondo che ha incorporato la paranoia scòzzariana, “ma allora il mondo è veramente agito da un’intelligenza malefica”, questa è la percezione degli anni Ottanta”.
La politica e la “generazione che ha imparato più parole da una macchina che da una mamma” – Un movimento di linguaggio e di percezione strettamente connesso a quanto accadeva in politica. Bifo ricorda come, mentre in Francia Actuel sia stato finanziato dal partito socialista di François Mitterrand, “che non aveva la stessa propensione mariolesca del partito socialista di Bettino Craxi”, il rapporto di Frigidaire con il partito socialista di Craxi si sia piuttosto fondato “sulla percezione del fatto che tutto ciò che era stato fino ad allora prodotto come potenzialità liberatoria, creativa, comunitaria, era ormai occupato da coloro che avevano, come unica finalità, quella di moltiplicare il capitale finanziario disponibile”. Uno spostamento culturale che dagli anni Ottanta è arrivato oggi ad assumere le proporzioni di una vera e propria carenza di cultura: “Siamo sommersi, non solo nelle edicole e nella televisione, ma nella culla, da una quantità di stimoli che ci avvertono che dobbiamo stare attenti, che dobbiamo rispondere continuamente, per cui tutto questo è come definitivamente staccato dalla nostra corporeità, dalla nostra affettività. Ecco… una generazione che ha imparato più parole da una macchina che da una mamma […] una frase che ci fa capire l’essenziale di questo mondo in cui viviamo, lo scollegamento tra il linguaggio e l’affettività, fra il linguaggio e il corpo, il panico come unica modalità di elaborare il rapporto con l’altro, perché l’altro diventa fattore di paura dal momento che dai primi anni della tua vita non l’hai mai conosciuto se non nella sua trasfigurazione virtuale”. Una curva dello spirito quindi, che, dal ’77 sino ai primi anni Ottanta, porta inscritta la percezione della modificazione culturale che sarebbe avvenuta, la percezione del cataclisma psichico che stava sedimentando. Sui muri di tutto il paese già nel 1979, fa notare Bifo, “si potevano leggere slogan come “corri a casa tutta in fretta c’è Canale 5 che t’aspetta””.
Quel sottile filo di delinquenza culturale contemporanea – Al di là della paranoia, ma anche al di là degli effetti sulla cultura degli slogan mediatici del periodo, Scòzzari afferma che il filo che ha legato le sue avventure da Re Nudo a Frigidaire è sempre stato la voglia di delinquere: “Erano delinquenti culturali quelli di Re Nudo, incitavano a sprangare lo spacciatore, il fascista che rompeva i coglioni… erano una manica di delinquenti quelli di Frigidaire i quali incitarono al parossismo i poveri stronzi della commissione editoria capitanata dal Dott. Giuliano Amato, che tagliarono i fondi – ecco come torna il dato dei soldi -; delinquenti al potere che non sopportarono la concorrenza di piccole tribù di delinquenti come noi eravamo… avevamo provato a scippare il grande mercato dell’informazione, immettendo la nostra informazione, immettendo i nostri fatti, andammo a volantinare a Kabul – “basta con la guerra!” -, facemmo incazzare tutti quanti, gli unici amici che ci facemmo furono i mujaidin, operazioni extra pagina stampata che fanno la gloria di un giornale. Quelli de Il Male l’avevano capita molto bene”. Delinquenza culturale che continuò con la pubblicazione di documenti per killer professionisti prodotti dalla Cia: “Noi delinquenti pubblicammo materiali dei delinquenti professionisti e venimmo stoppati dai magistrati delinquenti che non sopportavano venisse esplicitato questo tipo di informazione… è una lotta per chi delinque di più, e probabilmente oggi non c’è quella voglia di delinquere, non è stata trasmessa a quelli dopo di noi, per cui ci si adagia sulla navigazione in rete… adesso una grande voglia di delinquenza la vedo esplicitata dai muri imbiancati da Ericailcane e da Blue, graffitisti che col crisma e la grazia delle qualità riescono ad abbellire l’universo, in questo riconosco oggi il nuovo eroismo, in questi ettari imbiancati che migliorano altri ettari di orrori ritrovo gli antichi passi di Frigidaire o de Il Male“.
Note
(1) Alter, anno VI, n. 3.
(2) Elisabeth Noelle-Neumann, La spirale del silenzio, Meltemi, 2002.
(3) Si vedano: a cura di Guglielmo Guasta, Luciano Ferri, Gianni Finlandia, Wladimiro Greco, e la partecipazione di Gec, Enciclopedia dell’umorismo, Editrice Omnia, 1964; a cura di Gec (Enrico Gianeri) e Isca (Emilio Isca), Professione Umorista, storia della caricatura italiana, Visual, 1977.
(4) In Prezzi politici, letti per tutti, articolo di Guido Passalacqua apparso su la Repubblica del 23 settembre 1977.
(5) In la Repubblica, Dieci Anni, 1976-1985, in riferimento all’articolo di Giorgio Bocca del 24 settembre Il PC è l’unico imputato.
L’immagine: particolare de I viaggi di Absôlut, da Le energie del Pianeta R.e.f.e.z.i.o.n.e. di Filippo Scòzzari.
Andrea Spartaco
(LucidaMente, anno II, n. 6 EXTRA, 15 luglio 2007, supplemento al n. 19)
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