Il Vaticano ritorna al culto della personalità stile Wojtyla? Intanto, sul “Corriere della Sera”…
Riceviamo e ospitiamo, in anteprima dal prossimo numero (29, maggio-giugno 2014) del bimestrale cartaceo NonCredo. La cultura della ragione, le riflessioni del direttore, Paolo Bancale.
Il periodo paranoico del culto della personalità, della grandezza per l’immagine, del boato, delle cartoline-precetto mondiali per l’esaltazione di eventi apocalittici sotto il khanato di Wojtyla e per Wojtyla, le moltitudini in viaggio e i viaggi senza fine del polacco dal volto mongolo, sono brutte storie di qualche lustro fa.
Poi, per fortuna, c’è stata la quiete dopo la tempesta rappresentata da Ratzinger, e finalmente la semplicità e ragionevolezza ben poco pretesche di Francesco che meravigliava per il suo essere e agire “normale”, nulla più che se stesso, così come per anni era stato a Buenos Aires con scarponi neri in autobus e metro, e qui a piedi e in Panda, esordendo da papa con un colloquiale «Buonasera» e ritirando personalmente conto ed effetti personali al suo hotel preconclave. Avrebbe detto Giovanni Pascoli: «C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole…»: era infatti un clima zen, la natura che osserva la natura. Ci credevamo: uno di “loro” che snobba i troni, le scorte e i sussieghi cortigiani, che, se gli va, telefona a chi gli pare che parla del “primato della coscienza per credenti e noncredenti”, che dice «chi sono io per giudicare un gay?».
Ma ce lo ricordiamo il passato? Le aperture di credito per simpatia e stima, ovviamente al netto delle posizioni ideologiche, il mondo le ha concesse a Francesco così come, per gli stessi motivi, non le ha mai negate all’attuale Dalai Lama. Noi stessi siamo stati criticati da nostri lettori e da ambienti esterni per aver plaudito “troppo facilmente” alla novità di Bergoglio, anti-casta insperato, dato il mondo cui appartiene, la Curia, con le sue eterne apoteosi del fasto, del dogma, dell’ambizione personale, dell’ipocrisia. E non abbiamo cambiato idea.
Poi ci fu l’happening dello scambio di telefonate, lettere e visite con Eugenio Scalfari, su la Repubblica. Fu un preludio, che ricordò l’atto unico, lo studiato coup de théâtredi quella telefonata di Wojtyla al Porta a Porta di Vespa preparato da Navarro-Vals. Ma non restarono “atto unico”. Le potenti antenne dei ricchissimi circoli mediatici e strategici del Vaticano e cattolico-ideologici si debbono essere accorte che con questo Francesco si era venuto a creare un possumus, uno strumento “della provvidenza” che poteva galvanizzare e ossigenare le asfittiche arterie del cattolicesimo secolarizzato in clima di pedofilia e di così poche conversioni, per giunta di pelle nera.
E da allora i megagalattici press offices e uffici creativi e di comunicazione di Vaticano, curie, conferenze episcopali, diocesi, università cattoliche, congregazioni, opus-dei, santi-egidi, cl e tantissime altre potenti e introdotte multinazionali di specie si sono guardate intorno facendo le loro simulazioni. Non so se tutto questo Francesco lo sappia ed, eventualmente, se lo trovi consenziente, lui che ci appare sostanziale e schivo, ma ci vengono in mente due circostanze. La prima, quando papa Montini (Paolo VI), parlando col fratello giornalista, gli disse (vado a braccio): “chi pensa che nel Vaticano comandi il papa sbaglia di grosso, bisogna vivere qui per accorgersene”; e la seconda quando qualche mese fa un ex direttore del Corriere della Sera e intellettuale assai avvertito, Piero Ostellino, scriveva su Bergoglio nella sua rubrica: «Predica (male) il Papa gesuita “pauperista”, demagogo e vanesio alla perenne ricerca di visibilità mediatica». A suo tempo lessi questo giudizio e lo rifiutai; ma, ora, dopo le megasortite del Corriere nazionale, che dire?
Che si intraveda un oporteat per valorizzarlo come gallina dalle uova d’oro o come cavallo di Troia? Sta di fatto che in un anno ha scritto più libri lui di Camilleri (che dispone di molto più tempo libero), che dopo lettere e intervista su Repubblica arrivò poi il turno de La Stampa, e quindi il 4 marzo il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ha riempito personalmente tre pagine del suo giornale con una ormai “ennesima” strascontata intervista a Francesco che non faceva più novità (come il terzo film sullo Squalo o il quarto sul Padrino), intervista che de Bortoli ha concluso con un «grazie, padre santo», parole che, traslitterate in termini di comportamento, equivalgono a un “prostrato” sottomesso baciamano con un ginocchio già a terra.
Per non parlare poi del fatto che lo stesso principale quotidiano nazionale, un tempo vanto dell’Italia risorgimentale e liberale e della borghesia intraprendente e capace di pensare in proprio, soltanto due (2) giorni dopo viene “allagato” di nuovo dal Vaticano con un gran pavese di due pagine stracolme di agiografie infantili e debordanti, del tipo (e ci limitiamo ai soli titoli): «La normalità (eccezionale) di Francesco» in prima pagina; «Il pontefice candidato al Nobel» (ma che cosa avrebbe fatto al riguardo?); «La riflessione sul digiuno»; «Il papa contro le lotte di potere»; «Sul suo comodino il libro sulle donne»; «Sulle unioni civili valutare caso per caso» (la casistica dei gesuiti, ndr); «Ama ascoltare, conversare, ma sa decidere»; «La voce di un uomo normale che siede sul trono di Pietro»; «Ha cambiato il clima nella Santa Sede e tutt’attorno»; «Bergoglio innova proprio nel ricondurre dottrina e apparati alla portata di sensibilità e bisogni»; «La Chiesa al femminile»; «Visione d’assieme di un padre e interiorità di una madre»; «Il pontefice nella foto indossa il cappello degli alpini».
E non è finita la Francesco soap opera o sequel, che dopo altri due giorni, il 9 marzo, la corazzata Potëmkin lombarda, in crisi per le perdite di esercizio (nonostante che i venti di guerra in Ucraina, l’aereo con 239 persone dirottato e perduto e tanti femminicidi riempiano i giornali), “spara” altre quattro (4!) pagine piene di Francesco-amenità. Sono monotoni tsunami a ripetizione, uno dopo l’altro. Che succede? De Bortoli ha preso i voti o si tratta di interventi voluti dai “poteri forti”, più volte denunciati dall’azionista della Rizzoli-Corriere della Sera Diego Della Valle, sul giornale di proprietà delle grandi banche, queste a loro volta avvolte dai tentacoli del Vaticano? E, se fosse così, che cosa c’è da aspettarsi all’orizzonte?
Non è male stare a guardare e osservare come si muovono “alcuni personaggi” della società economico-politica, compreso lo stesso premier Matteo Renzi con i diritti civili da lui superpromessi ma osteggiati dal mondo clericale che poi non gli è lontano: loro sanno che la Chiesa sa essere, e spesso lo è stata, amica e alleata di dittatori anche perversi, ma guai a perdere! Generosità e magnanimità – la Storia insegna – non sono mai state virtù dei preti al potere.
Paolo Bancale – direttore responsabile di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno IX, n. 100, aprile 2014)
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Il “papismo” è senza dubbio un fenomeno inquietante della società italiana. Ciò dipende dalla confessionalità dello Stato (art. 7 Cost.) introdotta da Benito Mussolini con i Patti Lateranensi ed imposta all’Assemblea Costituente dalla Democrazia Cristiana.
L’entrata in vigore della Carta ha segnato il transito dal fascismo al “papismo” (alla papacy, come dicono, o dicevano, spregiativamente gli anglosassoni), perciò, Piero Calamandrei ha potuto affermare la continuità tra i due termini: “l’Italia fascista che si perpetua oggi in questa Italia pontificia” (Repubblica pontificia, in Il Ponte, VI, 6 giugno 1950, p. 438).
Ciò che dà conto di “quello che avviene senza clamore, giorno per giorno, sul piano economico e sociale, dove la democrazia cristiana [di cui è erede l’attuale arco partitico], con ammirevole pazienza e coerenza, sta sistemando i suoi fedeli non soltanto nei pubblici uffici, necessariamente temporanei, ma nelle più stabili e più lucrose cariche direttive degli istituti controllati dallo Stato, nelle banche, nei giornali, nei consigli di amministrazione delle grandi industrie” (Calamandrei, Repubblica pontificia, p. 430 sq.).
Il risultato è che “questo ordinamento”, al pari di “quello che durò un ventennio”, è divenuto “un regime a doppio fondo; un regime in cui le vere autorità che governano lo Stato non sono quelle che figurano sui seggi ufficiali, ma quelle, potenti ed invisibili, che dall’esterno ne tirano i fili” (Calamandrei, Repubblica pontificia, p. 421).
Il cattolicesimo, come messo in luce dal Protestantesimo storico (non da quello attuale), nulla ha a che vedere con i reali contenuti del cristianesimo. Il papato, i cardinali, i vescovi in quanto di nomina pontificia, il percorso sacramentale (battesimo etc.), il culto della “Vergine”, il culto dei Santi, non hanno alcun fondamento nel nuovo Testamento. Sono, letteralmente, una invenzione dei preti per legittimare agli occhi degli incolti fedeli la loro teocrazia. Il cattolicesimo inganna l’uomo su Dio. Per questo motivo, il Protestantesimo affermò che il “Papatum” è “a diabolo fundatum”.
Il cattolicesimo è il prodotto di una componente umana, profondamente avversa al Decalogo ed alla razionalità, animata dal desiderio di dominio sull’essere umano, di una componente che si è impadronita della religiosità per legittimare e condurre avanti questo nefando programma.
Il cattolicesimo è una un’ideologia politica, che si serve della religiosità per legittimare ed estendere a tutta l’umanità il proprio dispotismo.
Il capo di questa organizzazione è il Pontefice che si autoqualifica come “vicario di Dio” sulla Terra e, dunque, assistito dal dogma della infallibilità (in spiritualibus) e padrone di tutto e di tutti. Egli è, quindi, un despota. Per ciò, il cattolicesimo è anche profondamente avverso alla cultura dei “diritti umani” (human Rights), al diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero definito come “deliramentum” (“deliramento”), “pestilentissimus error” (“pestilentissimo errore”), “immoderata libertas” (“immoderata libertà”), “summa impudentia” (“somma impudenza”), “mors animae” (“morte dell’anima”) (Gregorius XVI), “gravissimus error” (“gravissimo errore”), “horrendum systema” (“orrendo sistema”) (Pius IX).
L’avversione al Decalogo e, quindi, alla razionalità, importa la politica della povertà e della ingiustizia, la riduzione della popolazione nello stato di indigenza culturale e materiale poiché esse sono le fonti supreme del suo potere. E’, questo, un dato storico inoppugnabile: la grandezza della Chiesa cattolica è direttamente proporzionale alla grandezza della povertà della società.
Nessun Papa è buono. Chi sostiene di essere Dio in Terra, di avere, conseguentemente, il diritto su tutto e su tutti, di essere assistito dal dogma della infallibilità, è nemico dell’essere umano.
La liberazione dello Stato italiano dal dominio pontificio, la conquista della sua indipendenza dalla religiosità, è il primo degli imperativi categorici da realizzare nel rispetto dell’art. 138 della vigente Costituzione.
Grazie per l’ampio intervento, ben argomentato.
A marciare contro la tumultuosa corrente del conformismo c’è il rischio di sentirsi matti. Eluso questo rischio, sembra comunque inevitabile percepirsi ai margini, assediati.
Leggere queste sue righe, prof. Donati, è in questo senso confortante.
Tenere fermamente in considerazione l’attacco diretto ai pochi Dritti umani acquisiti da poche comunità (Diritti così spesso concepiti ed espressi in normative drogate dalle ideologie e altrettanto spesso disattesi e traditi), un attacco che si perpetra da un quarto di secolo almeno, ci renderebbe più solerti nella loro difesa, e certo meno vulnerabili all’adozione di sconvenienti adulazioni.
Ma così non è, e i diritti, tanto giovani e vulnerabili, sembrano senza difesa, contro gli strumenti e le strategie sperimentate sin dagli anni ’80 del novecento e perseguite con successo a partire dal decennio successivo (dalla “guerra alla droga” ai terrorismi di Stato, dalle dinastie applicate al sistema democratico, all’insediamento di lacchè nei posti chiave della macchina burocratica dell’esercizio dei poteri, fino al rilancio delle ideologie religiose, dell’arruolamento nei ranghi di queste ideologie, anche in senso conflittuale, militante e militare).
Il direttore di NonCredo, Paolo Bancale, dopo un primo sguardo entusiasta, prende atto del ruolo (strategico) da clown mediatico adottato per Jorge Mario Bergoglio. Tardi? Meglio tardi che mai.
A proposito della pre-santificazione mediatica di Bergoglio, ho scritto di recente alcune righe e, non trovando una mail-box utile su LucidaMente per imbucarle, le ho postate, certo incongruamente, nello spazio “commento” dell’articolo di Roberto Pazzi, nel quale ci si occupa della figura di Ratzinger (https://www.lucidamente.com/26105-il-papa-in-crisi-di-roberto-pazzi/). In quelle righe rilevavo essenzialmente come la Chiesa di Roma da quasi 17 secoli costituisce storicamente il fossato più profondo e affidabile per separare l’individuo dai suoi diritti (intendendo i diritti dell’Essere, non dell’avere o del fare, croce e delizia questi ultimi delle sinistre confessionali).
E a proposito del ruolo cardine della Chiesa nella negazione dei Diritti dell’uomo, si deve sottolineare che l’aspetto più “divertente” e coinvolgente nel gioco mediatico mondiale di pre-santificazione di Bergoglio, sia quello di scrivere e telefonare per le più amene richieste dirette al pontefice: dalla legittimazione dei matrimonio dei sacerdoti, all’eliminazione del peccato di gola per il lancio disinibito degli Slow food. E in questo gioco, nel quale ognuno deve sentirsi protagonista attorno al cratere dell’umano conformismo, il ruolo di laici e non credenti è -dal punto di vista dei loro interessi “naturali”- mortificante; miserabile forse, più che ridicolo: come se si fosse a suo tempo chiesto ad Adolf Hitler di nazificare il pianeta, adottando però un nazismo un po’ meno ortodosso, più buono ed inclusivo.
C’è però una cosa, e una sola (un ossimoro!), che potrebbe chiedersi al pontefice, chiunque esso sia: di fare ammenda e chiedere scusa (non a dio, ma agli uomini) per i crimini commessi e perpetrati contro l’umanità tutta, ivi compresa la comunità cristiana, per poi chiudere i battenti di quell’organizzazione, per sua natura criminale, della quale stringe nelle mani il timone.
Cordiali saluti,
Francesco Falcolini
Grazie per l’ampio intervento, ben argomentato.
Ringrazio per le risposte sorprendentemente adesive. Non tutti, evidentemente e fortunatamente, accettano il livellamento imposto dal regime.
Approfitto dell’occasione per riferire l’esatta interpretazione che deve essere data all’art. art. 7 della vigente Costituzione.
Il suo significato apparente è nel senso che la Chiesa e lo Stato sono entità sovrane ed indipendenti. Il suo significato reale è diametralmente opposto: lo Stato italiano è uno Stato confessionale cattolico (vd. Calamandrei P., Repubblica pontificia, in Scritti e discorsi politici, I, La Nuova Italia, Firenze, 1966).
Nel primo comma, si afferma che la Chiesa e lo Stato “sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
Per intendere questa disposizione si deve accertare quale sia l’ordine proprio della Chiesa, si deve, quindi, stabilire se tale ordine escluda da sé lo Stato rispettandone l’autonomia, ovvero, se lo inglobi privandolo della propria sovranità.
L’ordine in cui la Chiesa è sovrana è quello spirituale, vale a dire, quello morale in ragione del suo essere vicaria di Dio sulla Terra, del suo essere assistita dal dogma della infallibilità, quantunque questi attributi siano una invenzione dei preti non trovando alcun riscontro nel Vangelo.
Ora, se la sovranità in spiritualibus spetta, per decreto divino, alla Chiesa, è escluso che, in pari tempo, possa competere allo Stato. L’ordine della Chiesa è, per sua natura, sovraordinato a quello dello Stato, poiché la Chiesa non è lo Stato-Chiesa, non è la Città del Vaticano. Come fu osservato dal cattolico On.le Riccio nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente, “Non è fra la Città del Vaticano, come Stato, e lo Stato italiano che vennero stretti i Patti lateranensi; ma tra la Chiesa e lo Stato”.
Se in spiritualibus, la Chiesa, in quanto vicaria di Dio, è sovrana, è impossibile che ugualmente sovrano sia lo Stato. Quest’ultimo, per ciò stesso che accetta di entrare in relazione con la Chiesa (non con la Città del Vaticano) ne accetta la vicarietà divina e, dunque, il conseguente doveroso rapporto di subordinazione. La sua competenza viene, così, ad essere relegata in “iis quae artis sunt”, vale a dire, nelle questioni tecniche e/o meramente esecutive.
Il concetto, pertanto, secondo cui “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, è la formula più raffinata che esprime la moderna confessionalità dello Stato italiano, mera prosecuzione della confessionalità, a partire dalla sottoscrizione dei Patti Lateranensi (1929), dello Stato fascista.
Quanto precedentemente sostenuto, è esposto alla obiezione secondo cui, pochi anni or sono, la Corte Costituzionale (Sent. n. 203/89) ha dichiarato che il nostro è un Paese “laico” ed ha iscritto la “laicità” fra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato.
Si tratta di intenderne il reale significato. Questa laicità, in uno Stato confessionale quale è quello italiano, deve essere riguardata alla stregua della “Esortazione Apostolica Post-Sinodale Christifideles Laici” di Giovanni Paolo II: “Col nome di laici […] si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio […], per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano”.
In virtù di questa configurazione, “la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro “propria e peculiare”: tale modalità viene designata con l’espressione ‘indole secolare’”.
Pertanto, la Chiesa non svolge direttamente l’attività di governo della società secolare, ma la demanda ai Christifideles Laici, a questi veri e propri Quisling, tenuti a seguire le sue direttive (Benedetto XVI).
Alla luce di questa visione si intende come lo Stato italiano sia confessionale e, al tempo stesso, laico. La sua laicità non può, allora, essere riguardata come espressione della sua sovranità ed indipendenza in spiritualibus. Al contrario, la sua laicità deve, invece, essere intesa come formula implicante “il divieto a carico dello Stato di farsi portatore di sue verità metafisiche o morali […] Lo Stato, in quanto religiosamente ‘laico’ e in¬competente, non è in grado né di dare giudizi di valore in ordine a fatti o a fenomeni legati alla sfera religiosa ovvero circa verità metafisiche o ad altre questioni di fede, né di proporre o di imporre propri principi morali” (P. Lillo).
La laicità sta, allora, a significare che lo Stato non è gestito direttamente dai preti, ma tramite i Christifideles Laici, tramite i laici che, direttamente o indirettamente, portano avanti le direttive papiste, le prescrizioni del nuovo “Duce” del popolo italiano, ovvero, del suo Ayatollah, mentre i cardinali, i vescovi, i parroci, ne sono i mullah.
Leggo con attenzione e con piacere questo secondo intervento del prof. Donati.
Spero che possa risultare utile coglierne alcuni aspetti ed osservarli da una seconda prospettiva, non più a fondamento giuridico, ma spero altrettanto legittima e documenta.
Innanzi tutto andiamo a rilevare la rigorosa veridicità delle ultime due righe del prof. donati, dove si accenna ad un parallelismo tra la nostrana teocrazia imperfetta e quella dei regimi teocratici di matrice islamica. Sono stato per alcune settimane in Iran e, prima di questo mio viaggio, mi sono nutrito di una ricca letteratura politica e sociale su quella magnifica regione del Vicino Oriente. Il dato forse più evidente, che corrobora la somiglianza tra i regimi teocratici iraniano e italiano, sta nella gestione economica: Alberto Negri calcola, nel suo “il turbante e la corona”, in un approssimativo 40% il peso diretto o indiretto sul complesso dell’economia iraniana delle organizzazioni e fondazioni che fanno capo a quel regime di teocrazia conclamata. Per l’Italia è forse sufficiente ricordare che la Chiesa cattolica possiede e gestisce circa 1/5 di tutti i beni immobiliari presenti sul suolo nazionale. 1500miliardi, secondo una stima riportata da Sole24ore (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-15/chiesa-2mila-miliardi-immobili-082813.shtml?uuid=Ab3cTeUH&fromSearch), contro i 300miliardi delle proprietà statali, del luglio 2011 (sempre Sole24ore: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-29/patrimonio-immobiliare-stato-vale-161237.shtml?uuid=AabyCIsD&fromSearch). Ma se non si volessero considerare sufficienti le cifre riferite al patrimonio immobiliare della Chiesa, si può accennare all’immensa rete di partecipazioni e controllo di Banche, Fondazioni, complessi industriali (…) e, naturalmente, alla rete di controllo e direzione in ambito politico. Determinanti, in queste fitte reti per il controllo economico, politico e mediatico, sono le grandi (e rigidamente inquadrate) organizzazioni laicali.
Come corollario a quanto fin qui scritto, si deve sottolineare che il carattere di economia franca -affiancata ad una ben più onerosa e faticosa economia privata-, esiste tanto a favore del regime teocratico iraniano quanto per quello italiano; se possibile in Italia assai di più, se si considerano i transiti finanziari attraverso lo IOR delle organizzazioni mafiose. E qui vale la pena ricordare che proprio J. M. Bergoglio, nel suo primo viaggio (assai oneroso per i contribuenti brasiliani), ha esortato i popoli e gli Stati latino americani a tenere lontane le riforme in senso anti proibizionista in fatto di stupefacenti. Una esortazione storicamente coerente col pensiero espresso dalla Chiesa, che però suona come una rinnovata alleanza (non può certo addursi una possibile ignoranza da parte di Bergolgio, che in quei lidi è di casa), da una parte coi cartelli che tengono in schiavitù quelle popolazioni e in ostaggio quegli Stati, e dall’altra con le organizzazioni di casa nostra, che da quella fonte di formidabili guadagni traggono i capitali che, almeno in un recente passato, hanno in parte ripulito attraverso i forzieri vaticani.
Approfittando della ospitalità del direttore, Rino Tripodi, colgo un’altro spunto dall’intervento del prof. Donati. Quello relativo alla laicità.
Donati “legge” la sentenza n. 203/89 della Corte Costituzionale, assegnando al termine il suo significato da dizionario della lingua italiana.
La parola “laico” (laico è Roberto Formigoni, CL è organizzazione laicale) e suoi derivati sono solo un esempio emblematico della distorsione dei significati lessicali a favore di interpretazioni ideologiche derivanti da una matrice ideologica confessionale del mondo e della comunità umana. Gran parte del nostro lessico quotidiano, infatti, è viziato da una interpretazione deviante, spesso contrastante, rispetto al significato delle parole usate. Significati storico etimologici che, per altro, resistono ostinatamente, nei vocabolari disponibili, a queste interpretazioni più o meno universalmente accolte.
Queste “accezioni confessionali”, quotidianamente utilizzate, dettano tutto il nostro sguardo sulla realtà. Da queste “accezioni confessionali” derivano, ad esempio, i pochi diritti conquistati da alcune comunità, diritti che per questa ragione ho definito “drogati”.
Molti di questi termini definiscono aspetti della sfera sessuale, e questo per ovvie derivazioni dai totem e dai tabù religiosi. E’ il caso, per esempio, del termine pedofilia, che, nell’accezione ormai comune, capovolge il suo significato. Sono “interpretazioni” che cambiano la realtà o la sua percezione in maniera subdola e perniciosa: è il caso di alcune definizioni, come quella di omosessuale, attraverso la quale si sottende una unica forma di sessualità umana (eterosessuale), definendo di conseguenza le devianze, più o meno tollerate o tollerabili. L’homo sapiens è una specie sessuata, e la sua sessualità si manifesta in molteplici forme, e questa molteplicità appartiene in diverso grado ad ogni individuo della specie. E l’homo sapiens non è certamente l’unica specie alla quale appartiene questa complessità nella sfera sessuale (è sufficiente osservare un branco di cani). In sostanza il comportamento omosessuale può ben dirsi che appartenga alla sfera dell’avere, non dell’essere e quindi dell’identità. Per assurdo quindi l’atto del rivendicare una propria identità omosessuale (così come le battaglie per il “diritto” al matrimonio omosessuale), finisce per costituire una affermazione dell’ideologia religiosa più ortodossa.
Il termine “laico” è invece correttamente rivendicato nella lettera di Ernesto Preziosi (https://www.facebook.com/ernestopreziosiimpegnopolitico/posts/706956729331920) al (ex) direttore di Left, il Magazine dell’Unità. Entrambi, cattolici militanti, si attribuiscono la definizione e il valore morale della laicità. Ma in quella lettera e nella risposta del consensiente direttore, i due vanno oltre. Di fronte ad un recente annacquamento del termine “ateo”, che dal suo storico significato di aberrante e “diabolico” è lentamente slittato verso una più moderata affermazione di inabilità, di assenza di valori umani, essi coniano un termine che, non a caso, non è contemplato nel nostro dizionario: “antiteo”. Termine quest’ultimo che a buon ragione avrebbe dovuto figurare nel nostro lessico. Dal momento, infatti, che a-teo è termine puramente privativo, viene a mancare la posizione di contrapposizione al concetto e all’esistenza di dei.
Non sarebbe corretto approfondire in questo spazio questo argomento. Tuttavia ho voluto cogliere lo spunto derivante dall’intervento del prof. Donati, perché è questo tipo di riflessioni che ci aiutano ad uscire da 17 secoli di cultura cristiana, impostasi come pregiudizio ideologico, ma anche come bagaglio di stereotipi.
La presunzione che pochi decenni di relativo regime di diritto possano aver cancellato il nostro, personale, genetico retaggio culturale, è ciò che dà maggior forza alle attuali (grandi) manovre reazionarie.
In relazione a quanto sopra, osservo brevemente che la vigente Costituzione – non votata dal popolo italiano in quanto approvata da una Assemblea Costituente la cui maggioranza, guidata dalla Democrazia Cristiana, si rifiutò di sottoporla al referendum confermativo – è una applicazione della dottrina sociale della Chiesa.
Ciò pone in evidenza come la Chiesa sia materialmente presente nel tessuto italiano, deputato, infatti, ad essere la fonte economica e politica della sua azione diretta ad evangelizzare l’umanità, vale a dire, ad indurne la soggezione alla volontà arbitraria dei Pontefici in quanto vicari (sic!) del Dio trinitario sulla Terra, a realizzare quel dominio assoluto di famigerata memoria da cui il Primo Mondo si è emancipato tramite la Riforma e l’Illuminismo, mediante, dunque, un percorso storico costato lacrime e sangue, sfociato nella “Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen”.
Il Pontefice attuale non è che un brillante prosecutore di questo nefando programma contrastante, sia detto incidentalmente, con i dettami evangelici.
Chiunque si accosti al cattolicesimo, cessa di essere cristiano (posto che ci tenga ad esserlo), cessa, in ogni caso, di essere democratico (cessa, altresì, di essere italiano).