Agli scrittori “APS”, cioè a proprie spese: un pacato invito a un po’ di prudenza
Ripubblichiamo, in una forma più ampia e riveduta, un intervento del nostro direttore, già apparso qualche tempo fa su il Quotidiano della Calabria col titolo Manuale antifregature per gli autori Aps, sull’annosa questione della pubblicazione di libri a proprie spese.
La seduzione è inganno. L’eros è seduzione e inganno. L’arte è seduzione e inganno. La letteratura è seduzione e inganno. La vita stessa è inganno. E l’editoria? In un Paese dove ci sono più scrittori che lettori e nel quale le case editrici non svolgono il loro compito culturale – vale a dire pubblicare libri di qualità, andando anche alla ricerca di buoni scrittori -, pagare per pubblicare opere prime (…e seconde …e terze) è quasi inevitabile. Quando si compie un esborso, però, si devono pretendere, come in ogni settore della vita, determinati servizi e garanzie.
Più scrittori che lettori: un mercato impossibile – In Italia si stampano 60.000 titoli all’anno, questo in una nazione che si colloca, in percentuale, agli ultimi posti del mondo come lettori. Tutti hanno nel cassetto qualcosa da pubblicare, pochi leggono, ancora meno sono coloro che si interessano di ciò che non compare nella classifica dei “più venduti”. Non esistono quasi più editori alla ricerca del bello, alla scoperta di autori che un giorno potrebbero entrare a far parte della storia della letteratura per il loro assoluto valore estetico. Gli editori italiani vogliono vendere – il che è legittimo – ma poco si curano della qualità artistica di quanto pubblicano. I direttori editoriali hanno una loro logica… Abbiamo così, anche nella narrativa, e pure da parte di etichette famose, il dilagare della parolaccia, delle storie giovanilistiche, dei libri di cantanti o altri personaggi che, col solo loro nome, possano tirare le vendite. Si aggiunga – o forse, meglio, si metta come causa prima – l’imbarbarimento socioculturale che da almeno una ventina d’anni ha invaso l’Italia: volgarità, esaltazione dell’ignoranza e della rozzezza, violenza verbale, cattivo gusto, assoluta mancanza di rispetto per le idee altrui, crisi della scuola… Colpa soprattutto delle tv, in particolare dei programmi “spazzatura”. Certo che, anche la politica… In questo marasma, al contempo di iperproduzione editoriale e di complessivo degrado culturale, pure un lavoro non solo decoroso, ma con pregi superiori a quelli di certe opere che abitualmente si pubblicano, rischia di non essere edito o comunque di sparire senza lasciare traccia.
Chi riesce a pubblicare (senza pagare) – Pubblicare con una casa editrice famosa risulta quindi pressoché impossibile. Ha più alte possibilità di essere pubblicato e seguito nella sua avventura editoriale chi è già inserito nell'”establishment” editoriale-culturale (letterati con già alcuni successi o bestseller alle spalle, giornalisti di pagine letterarie, collaboratori di riviste, professori universitari): in Italia le “conoscenze” sono ancora il mezzo più importante, in qualunque campo, per far carriera. Solo chi fa parte di un giro che gli consenta di entrare in contatto con altre cerchie, ancora di maggior peso, potrà allargare la propria attività e pervenire al successo, fino ad arrivare a esercitare a propria volta, raggiunti certi livelli, una personale influenza e potere. Insomma è un circolo vizioso: se non sei famoso, non ti pubblicano, ma, se non ti pubblicano, come fai a farti conoscere? Senza una promozione editoriale rilevante è difficile farsi notare. Anche la partecipazione ai premi letterari – e non parlo dei più famosi – necessita di un impegno da parte di un editore di discrete dimensioni. Una nicchia di libri che possono trovare editori interessati sono quelli “adottabili” (per università, scuole, corsi di qualunque tipo, dal calcio allo yoga, che magari lo stesso autore rivende ai discenti), dunque con un sicuro numero di copie che saranno vendute.
Il piacere di vedersi stampati – Del resto, è comprensibile il desiderio di pubblicare… Per una serie di motivi: il libro possiede ancora un suo magico fascino; ciascuno di noi è un po’ narcisista e gioisce nel vedere il proprio nome su una copertina; desidera esprimersi, lasciare qualcosa di se stesso, il che è non solo legittimo, ma giusto e bello; pubblicando un’opera, anche presso una piccola casa editrice, si può partecipare a qualche premio letterario onesto ed essere sottoposti al giudizio e alla “pubblicità” altrui (i premi per inediti sono spesso a pagamento e talora poco “seri”); la pubblicazione può essere un trampolino di lancio verso una casa editrice maggiore; comunque si tratta di un’esperienza interessante e affascinante e il prodotto verrà ricordato da noi e dalle persone più vicine a noi per tutta la vita. Come dice il guardiano di Kafka in Davanti alla legge: “Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa”.
Come far pubblicare un proprio libro (pagando) – …E pubblicare è facilissimo: sono centinaia gli editori che vivono della pubblicazione di autori “APS” (così li definiva Eco ne Il pendolo di Foucault, cioè “A Proprie Spese”). Alcune case editrici hanno addirittura un doppio canale: le pubblicazioni con l’etichetta “forte” della propria attività e quelle “APS”, edite con un’etichetta secondaria. Il tutto, beninteso, è completamente legittimo e corretto. “L’importante è che non ci tradiscano gli autori, senza lettori si può sopravvivere” afferma paradossalmente e cinicamente un personaggio del succitato romanzo di Eco. E’ peraltro giusto affermare: che la spesa è giustificata dal lavoro – quando esso è serio – e dai costi che l’azienda editoriale deve sostenere; che solo con un certo impegno di promozione un’opera può essere diffusa e fatta conoscere; che quasi tutti gli scrittori, anche i più grandi, hanno iniziato la loro carriera stampandosi un libro a proprie spese. Inoltre, un fatto è scrivere, un fatto è riuscire a “tradurre” lo scritto su carta coi giusti margini della “gabbia”, caratteri, corpi, segni di interpunzione, titolazioni, ecc.: in questo i “letterati” sono in genere molto carenti e presuntuosi, mentre sarebbe loro utile imparare certe regole di editing, per non fare orrende figure in sede di proposta dei propri “capolavori” alle case editrici. Tuttavia, deve essere subito altrettanto chiaro che è pressoché nulla la possibilità di vendere un buon numero di copie, in grado almeno di compensare l’esborso iniziale e che è improbabile che si raggiunga la notorietà e il successo con un libro “APS”.
Quando la spesa è giustificata… – In genere le case editrici disponibili chiedono un contributo per la pubblicazione che va da 500 a 2.000 euro oppure l’acquisto anticipato di alcune centinaia di copie del libro da parte dell’autore. Se la spesa supera i 2.500 euro, specie in mancanza di revisione dell’opera, suggerimenti, cura dell’editing, si rifiuti. Bisogna peraltro aggiungere che vi sono autori sciaguratissimi (ma non farebbero meglio a evitare di scrivere, se non hanno un minimo di autocritica e autocontrollo su ciò che “creano”?) che inviano opere, specialmente di narrativa, talmente scadenti sul piano dell’editing e della stessa forma grammaticale da richiedere in pratica la riscrittura da parte di un editore con un minimo di etica professionale. Con ogni probabilità fa male quest’ultimo a non rifiutarle tout court(forse non lo fa perché comunque qualcosa di buono c’è o perché pur sempre guadagno è!), tuttavia in questi casi si richiede un tale lavoro che andrebbero aggiunti almeno 1.000 euro in più. In ogni caso si vigili che la grafica della copertina e della stampa risulti gradevole e solleciti la lettura. E non devono esserci refusi tipografici. Sarebbe assurdo, dopo aver speso del denaro, trovarsi in casa centinaia di propri volumi che, a causa della bruttezza grafica e tipografica, ci si vergogna persino a regalare ad amici e conoscenti o a proporre a qualche premio letterario. Posso giurare che ho visto, in libri stampati da case editrici neanche minuscole, indici che non corrispondevano né come pagine, né come titoli, al testo interno, le virgolette a caporale («») rese con i segni di minore e maggiore (<<>>), parentesi che si aprivano… ma non si chiudevano, note a piè di pagina non corrispondenti al richiamo del testo, date di avvenimenti notissimi palesemente sbagliate. Non parliamo poi di certe copertine e di certa veste grafica talmente desueta e scadente, che non si capisce quale differenza ci sia tra un editore e il “tipografo sotto casa”.
Che tipo di contratto – Occorre, quindi, tutelarsi con un onesto contratto. Una sua copia o bozza deve essere consegnata, anche via email, all’autore, in modo che possa leggerla senza fretta. Direi che esso deve essere “leggero”. Vale a dire che deve contenere il minor numero di vincoli possibile per lo scrittore, magari con la previsione che, una volta passato un po’ di tempo, egli possa liberamente disporre della sua opera. Importantissimo è pure rateizzare la somma da versare in almeno tre rate: una a firma contratto, con consegna dell’opera da parte dell’autore, una al momento della stampa delle prime bozze, una a lavoro completamente ultimato. E’ un modo per tutelarsi: l’editore, sapendo che incasserà solo se terminerà (e bene) il proprio lavoro, ha tutto l’interesse a procedere celermente e con serietà. I tempi previsti per la stampa devono essere ragionevoli per entrambe le parti. Diffidare di chi stampa in poche settimane: si vede che non farà un buon lavoro di controllo, di revisione e di editing. Però non ci si fidi neanche di chi non indica nel contratto una data (la logica vorrebbe 3-4 mesi): il libro rischia davvero di uscire alle calende greche! Anche il numero di copie previste è preferibile non sia eccessivo. Molte case editrici non stampano nemmeno le 1.000 (assurdo: sono troppe!) copie previste dal contratto o le mandano al macero dopo un certo tempo senza averle nemmeno distribuite. E’ necessario mettere per iscritto quante copie spettano all’autore. Meno decisiva la percentuale dei diritti d’autore: seppure si arrivasse al 10-12% e vendeste migliaia di copie, state pur sicuri che non vi arricchirete. Essenziale è, invece, che sia garantita la distribuzione dell’opera nel territorio prescelto e, ancor meglio, nelle librerie indicate dall’autore, che così potrà indirizzarvi gli interessati.
Presentarsi bene – Come detto precedentemente, la casa editrice deve assicurare un’ottima veste grafica e un editing attento: occorre farsi dare in visione o in omaggio o procurarsi un libro precedentemente pubblicato e scrutare attentamente l’esterno, l’interno, il testo. Se non ci piace o vi rinveniamo caratteri sgradevoli o refusi, lasciamo perdere. Ancora: è rilevante che l’opera proposta sia inserita in una collana numerata diretta o curata da una persona competente e che la collana stessa sia “sensata” (non mescoli, ad esempio, diversi generi, non abbia titoli ridicoli o generici e presenti già alcune opere in catalogo). Mai farsi pubblicare fuori collana: significa che ci stanno “stampando” senza aver alcun progetto editoriale e senza credere in noi. Un altro “segnale” negativo è che non sia prevista un’introduzione (procurata dallo stesso autore o affidata a una persona di fiducia della casa editrice): essa è garanzia che qualcuno legga e apprezzi il libro. Assicuratosi dalle fregature e dal vedersi stampato un libro peggiore del dattiloscritto originario, l’autore dovrà cercare di contrattualizzare pure la promozione dell’opera (presentazione, invio a critici, giornali, tv); se un editore produce già riviste su carta o per via telematica, almeno si ha la sicurezza che da qualche parte il libro comparirà. Infine, buona fortuna!
Sullo stesso argomento, può leggersi anche l’articolo di Germana Luisi, A.A.A. giovani autori cercano casa editrice, apparso su Scriptamanent.net, n. 39.
L’immagine: Il bibliotecario (1565 circa) di Giuseppe Arcimboldi (1527-1593).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno II, n. 4 EXTRA, supplemento al n. 14, 14 febbraio 2007)