Viaggio mistico nel ginepraio di complottismi che animano la società di oggi
Nel 1992 lo scrittore Steve Tesich affermava sul The Nation: «Noi, come popolo libero, abbiamo liberamente scelto di voler vivere in una specie di mondo “post-verità”». Da quel momento, il termine è stato ripreso da giornalisti, saggisti e politologi, guadagnandosi nel 2016 il titolo di parola dell’anno dall’Oxford English Dictionary. Traduzione dell’inglese “post-truth”, nel quale il prefisso non ha valenza temporale, bensì indica il superamento della verità in favore di una dimensione emotiva.
L’attendibilità ha infatti perso importanza in luogo di una narrazione che, anche andando oltre la veridicità, colpisca il lettore e ne influenzi le idee. Alla stregua di funghi, spuntano così le fake news: notizie false, costruite a regola d’arte per far leva su un pregiudizio, o confermare una convinzione. Questo preoccupante contagio di infondatezza riguarda svariati ambiti (vedi Fake, sua reversibilità e altre meraviglie… social). In politica è illuminante l’esempio di un baldanzoso presidente Usa Donald Trump che, scettico sul riscaldamento globale, lo addita come «un’invenzione dei cinesi». Miriadi le bufale diffuse in una qualsiasi campagna elettorale per racimolare voti: da improbabili tagli alle imposte, a finti scandali per screditare le opposizioni. Nelle settimane precedenti il referendum su Brexit, un londinese apprendeva da scritte di propaganda sugli autobus, che il Regno unito versasse all’Unione europea circa 350 milioni di sterline a settimana. Cifra sapientemente gonfiata, divenuta credibile dal momento in cui apparve sui mezzi rossi a due piani.
Si giunge perfino a schernire evidenze storiche: il (grave) negazionismo dell’Olocausto sostiene che la tragedia non sarebbe veramente esistita, ma inventata per danneggiare la Germania e giustificare lo Stato d’Israele. O a sbeffeggiare la scienza: i cosiddetti terrapiattisti teorizzano che il pianeta non sia sferico bensì piatto; uno di loro, il pilota neozelandese “Mad” Mike Whiddett, per dimostrarlo ha tentato più volte di lanciarsi nello spazio con un razzo fai da te (vedi Le 15 migliori (o peggiori) bufale del web). Sull’onda dell’opposizione ai dati empirici anche gli antivaccinisti, secondo i quali i vaccini sarebbero dannosi alla salute e strumenti di arricchimento per le case farmaceutiche.
La convinzione di essere vittime di un enorme complotto, ordito da ristrette e ricche élites ai danni delle masse, la fa da padrona nella diffusione di notizie fasulle. Mentire è socialmente accettato (se non apprezzato) qualora la bugia confermi le proprie idee. Ed ecco che le storie non si raccontano più ai bambini, bensì a un mondo di adulti votanti e Pinocchio non è più un personaggio di fantasia, ma una realtà quotidiana. Se prima la conseguenza più grave poteva essere un meme scherzoso su Facebook, che faceva da parodia a qualche ossessionato dalle scie chimiche, adesso su teorie cospirazioniste si costruiscono slogan elettorali. Su “komplotti” e “indigniazione” non c’è più molto da scherzare, quando trovano così tanti consensi da alimentare il populismo più becero.
Come siamo arrivati a questo punto? Perché l’ignoranza è diventata una virtù da difendere a spada tratta? Fra le molte possibili spiegazioni, ve n’è una semplice: le bufale ricevono più click, più condivisioni, più approvazione della mera realtà fattuale. Un po’ perché sono storie assurde, pensate per colpire e fare scalpore, un po’ perché una fascia di popolazione vede nella notizia dei guadagni esorbitanti del cugino della Boldrini una rappresentazione dei propri sospetti, una conferma alla propria rabbia (cfr. «La Boldrini vieta il Natale» e le altre bufale). È questo il fenomeno della “camera dell’eco”: ci piace sentire le nostre convinzioni ripetute ancora e ancora, come se a parlare fossimo noi in una stanza che rimbomba. Nella selezione delle fonti a cui prestare fede, molti prediligono quindi quelle in linea con il proprio pensiero, poco importa se producono menzogne.
La comunicazione ha poi un incredibile potere persuasivo. Essa può essere manipolata per convincere chi ascolta, come già accennato sopra. La notte di Halloween del 1938, un’emittente radio trasmise un estratto, rielaborato da Orson Welles, del romanzo La guerra dei mondi (1898) del narratore britannico Herbert George Wells. In esso si narrava, simulando un notiziario, di un’imminente invasione aliena. La recitazione fu particolarmente convincente perché alcuni vi credettero davvero. La stampa ingigantì però la vicenda, titolando di migliaia di americani che, terrorizzati, si preparavano a fuggire dai marziani. In realtà, rispetto al pubblico esposto, a cascarci furono in pochi: fu piuttosto un tentativo dei giornali di screditare gli emergenti programmi radiofonici, mostrandone l’inaffidabilità e la pericolosità, diffondendo una vera e propria “fake news d’epoca”.
Vale la pena soffermarsi infine sulle fonti di approvvigionamento del sapere, composte da sempre meno giornali e sempre più link sui social network. Il fatto di non pagare per l’informazione la rende più scadente e sicuramente meno controllata. C’è da dire che, nella selva di siti web che si hanno a disposizione, un minimo di giudizio e impegno consentirebbe di scovare canali attendibili. Ignorare è dunque in parte una scelta (da qui la frase di Tesich nell’incipit). Così come lo è credere a dati palesemente inverosimili. La verità sta subendo un’incontrastabile deriva, arenandosi sulla bocca dei pochi che hanno ancora il buonsenso di informarsi.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIII, n. 148, aprile 2018)