La società sta cambiando, le diversità al suo interno sono sempre più evidenti, perciò è necessaria una formazione completa in questo senso. Il parere della sociologa Giulia Selmi, vicepresidente dell’associazione
Fino a pochi decenni fa, la maggior parte delle persone nasceva e moriva nel Paese di origine; quelli che si spostavano erano pochi, le regole sociali erano più rigide e la rispettabilità era riconosciuta a chi si omologava al comportamento dominante. Chi “deviava” era pazzo e, di conseguenza, emarginato. Era raro perciò che le diversità – di pensiero, cultura, orientamento sessuale, religione… – si manifestassero in modo esplicito.
Oggi, invece, l’incontro, e spesso lo scontro, è sempre più frequente, complici i cambiamenti della società, le migrazioni massicce, la rivoluzione tecnologica che ci dà accesso continuo a informazioni di ogni tipo. In questa realtà complessa inizia a manifestarsi il bisogno di un’educazione alle differenze, per contrastare discriminazioni e violenze. “Il mondo è bello perché è vario”: negarlo e pretendere l’omologazione può solo generare conflitto. Meglio accettare l’esistenza di modi diversi di vivere e di pensare e educare al rispetto dell’“altro”, cercando di non cadere nella trappola de “il mio punto di vista è meglio del tuo”. Purtroppo alcuni temi rischiano di essere strumentalizzati e, di conseguenza, si generano convinzioni sbagliate e pericolose che impediscono un vero dialogo e una comprensione reciproca. Un esempio noto a tutti è la cosiddetta “teoria del gender” (ne abbiamo parlato su LucidaMente anche qui).
Spiegata superficialmente come un tentativo di cancellazione della differenza tra uomo e donna, è in realtà una corrente di studi che mira all’insegnamento e alla comprensione delle diversità, soprattutto quelle legate al genere (qui un approfondimento sul tema). Per evitare generalizzazioni pericolose (banalizzando: gli omosessuali sono pervertiti, i preti sono pedofili) e il radicarsi di convinzioni errate, sarebbe auspicabile l’ascolto reciproco, supportato da un vero progetto educativo. Giulia Selmi, sociologa e vicepresidente dell’Associazione Educare alle differenze, da anni lavora sul tema dell’educazione di genere, in particolare all’interno del mondo scolastico che più di altri manifesta una necessità in questo senso.
Ci dice: «Viviamo in una società sempre più spesso scenario di situazioni drammatiche; femminicidi, razzismo, omotransfobia sono sintomi di un sentimento discriminatorio piuttosto comune. La nostra associazione lavora per diffondere tra i più piccoli, ma non solo, un’educazione che li accompagni alla scoperta delle differenze dell’essere umano, basata sul riconoscimento e sulla comprensione dell’“altro” e che decostruisca un sistema di pregiudizi e gerarchie che rende possibili violenze e bullismi». Educare alle differenze nasce nel 2014 dalla necessità di tre soggetti – Progetto Alice, Associazione Scosse e Associazione Stonewall – di confrontarsi sulle differenze a scuola. Oggi è una società nazionale e ogni anno organizza un incontro di formazione.
«Non ci aspettavamo questo successo – continua Selmi – che però è sintomo del bisogno forte di insegnanti, dirigenti e operatori del settore di trattare certi argomenti. Realizziamo nelle scuole di tutta Italia attività educative per adulti, bambini/e e adolescenti; ragioniamo insieme sui modelli proposti dai media, dai social, dalla musica, dalla pubblicità, per costruire anticorpi su temi discriminatori. Purtroppo, tali iniziative sono spesso considerate di serie B: l’educazione alle relazioni, alla sessualità, alla cittadinanza è percepita come responsabilità unica della famiglia e non qualcosa da insegnare a scuola, che in realtà è luogo di formazione dei cittadini di domani. Bisogna passare da un approccio puramente didattico a uno educativo, che fornisca competenze di relazione con se stessi e con gli altri, capacità di lettura critica della società e che veicoli una raffigurazione del mondo più ampia e non stereotipata, che sia antidoto alla discriminazione».
Questi progetti sono molto apprezzati nelle scuole di tutta Italia, che spesso sono in difficoltà nel gestire simili bisogni. «Non ho mai trovato resistenza, anzi: i ragazzi e le ragazze mostrano interesse, curiosità e senso critico. Purtroppo, la diffusione – ci tengo a sottolinearlo, da parte di gruppi politici e non delle famiglie – di interpretazioni false ed errate degli studi sul genere ha irrigidito e ristretto gli spazi di possibilità, generando timori tra insegnanti e dirigenti», conclude Selmi.
Una scuola e una società che educhino alla libertà di essere se stessi, senza paura del giudizio e della condanna altrui, lontane da rappresentazioni errate e stereotipate, dove non ci sia timore di affrontare certe tematiche. A tal proposito, segnaliamo il prossimo 16 maggio a Bologna, presso la Libreria delle donne (Via san Felice 16/A), la presentazione del libro di Camilla Vivian Mio figlio in rosa. “Ti senti maschio o femmina?” “Io mi sento io” (Manni Editori, 2017, pp. 184, € 16,00) che, attraverso la vicenda personale dell’autrice, riflette sul tema dei bambini gender variant, cioè coloro che sin dalla primissima infanzia non si identificano con il sesso di nascita. Vivian si unisce a due famosissime madri che hanno recentemente preso posizione sul tema: l’auspicio è che la libertà di essere se stessi non resti privilegio di pochi, ma venga garantita a tutti.
Le immagini: un meeting di Educare alle differenze e la copertina del libro Mio figlio in rosa di Camilla Vivian.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIV, n. 161, maggio 2019)