Forse pochi tra i lettori rammenteranno il referendum consultivo che si tenne nel 1985 nei paesi della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. In quella circostanza la maggioranza dei votanti si oppose alla costruzione di una centrale a carbone, che si voleva erigere proprio nel posto in cui sarebbe dovuto sorgere, a suo tempo, il fantomatico Quinto centro siderurgico.
La lotta ambientalista, in quella occasione, prevalse: la centrale a carbone, infatti, non si costruì mai. Appena due anni dopo un altro referendum – questa volta di portata nazionale – pose fine all’esperienza delle centrali nucleari italiane, sull’onda del disastro di Chernobyl. Fu in quel periodo che in Italia si consolidò la coscienza ecologista e si intensificarono le iniziative in favore dello “sviluppo sostenibile”.
Un concentrato di “bombe ecologiche” – Gli abitanti dei paesi della Piana sono tornati nuovamente in azione all’inizio del nuovo millennio, costituendo il Movimento per la difesa del territorio, nato per protestare contro la costruzione di una serie di impianti per lo smaltimento dei rifiuti e la produzione di energia, associazione che già lo scorso 22 dicembre 2007 ha organizzato a Gioia Tauro una grossa manifestazione in difesa dell’ambiente. L’area geografica della Piana, infatti, è ridotta piuttosto male dal punto di vista dell’inquinamento territoriale, poiché ospita già da qualche tempo un inceneritore per l’immondizia (che viene definito eufemisticamente “termovalorizzatore”, con linguaggio ipocritamente edulcorato), una megadiscarica e un megadepuratore. Come se ciò non bastasse, è stata progettata la fabbricazione di un secondo inceneritore, anche se si sa bene che l’incenerimento dei rifiuti produce – tra le altre sostanze tossiche – anche la diossina, una sostanza chimica altamente nociva (ricordate l’incidente all’Icmesa di Seveso, nel luglio del 1976?) che provoca gravi malformazioni genetiche e favorisce l’insorgenza di tumori. C’è un altro serio problema, inoltre, da affrontare: lo smaltimento delle ceneri tossiche generate dalla combustione dei rifiuti, delle quali non si sa come sbarazzarsi (tre tonnellate di spazzatura incenerita producono addirittura una tonnellata di cenere!). Ricordiamo, a tal proposito, che gli Stati Uniti (che pure si rifiutano ancora di ratificare il Protocollo di Kyoto sulle emissioni dei “gas serra”) hanno smesso di costruire inceneritori dal 1995 e si sono orientati verso modalità alternative nel trattamento dei rifiuti. Nella Piana di Gioia Tauro, perciò, si sta realizzando un vero e proprio concentrato di “bombe ecologiche”, che può mettere seriamente a rischio la salute della popolazione locale.
Perché costruire nuove centrali elettriche? – La provincia reggina – tradizionalmente dedita alla produzione di agrumi – è destinata, forse, ad accogliere in futuro anche una serie di grossi impianti per la produzione di energia. E’ prevista, infatti, la costruzione di due centrali a turbogas (che sviluppano energia elettrica tramite la combustione di gas naturale) e di un rigassificatore (un impianto che serve a riportare il metano liquido allo stato gassoso), mentre, ormai da qualche tempo, la stessa zona è attraversata da un elettrodotto di notevole potenza. Considerando che la Calabria produce già molta energia grazie alle sue centrali idroelettriche (e addirittura ne esporta circa il 26 per cento), non si riesce a capire perché si è deciso di installare due centrali a turbogas e un rigassificatore proprio in questa regione, oltre tutto collocandoli vicino a due inceneritori e a una megadiscarica! Qualcuno parla di torbidi interessi legati alla criminalità organizzata, pronta a speculare sugli ingenti investimenti preventivati, come ha già tentato di fare in passato con il centro siderurgico e la centrale a carbone. Ancora una volta, si stanno portando avanti scelte politiche insensate, che danneggiano – anziché valorizzarle – le due fonti primarie dell’economia calabrese: l’agricoltura e il turismo.
L’importanza del risparmio energetico – Ci sembra necessario sottolineare che il problema dello smaltimento dei rifiuti non potrà mai essere risolto – né in Italia, né altrove – facendo semplicemente ricorso alle megadiscariche o agli inceneritori. Occorre, invece, estendere e generalizzare un’accorta raccolta differenziata (“porta a porta”), attuando il riciclaggio e il cosiddetto “compostaggio” (la stabilizzazione dei materiali di scarto riutilizzabili per l’agricoltura). I rifiuti solidi non riciclabili possono essere depositati in piccole discariche per soli materiali secchi (non soggetti, quindi, a putrefazione), mentre quelli umidi si possono stoccare in idonei impianti di bioessiccazione. Tutte queste attività inducono, a loro volta, lavoro stabile, tutela dell’ambiente e risparmio economico. È indispensabile, però, ridurre all’origine la produzione dei rifiuti, favorendo la diffusione tra i cittadini di una diversa mentalità, meno condizionata dal consumismo e più attenta alle esigenze ambientali. Diventa importante, in tal senso, praticare il risparmio energetico, attraverso un’intelligente contrazione dei consumi superflui, che si può realizzare anche con metodi piuttosto elementari, come ad esempio: usare lampadine ed elettrodomestici a basso consumo energetico, disattivare da televisori, radio, apparecchiature stereofoniche e computer gli stand by, evitare di far scorrere inutilmente l’acqua mentre si lavano le mani o i denti, fare la doccia anziché il bagno nella vasca, usare maggiormente le biciclette e i trasporti pubblici, ridurre il volume degli imballaggi (che da soli costituiscono circa il 40 per cento dei rifiuti totali).
Le fonti rinnovabili – Per affrontare seriamente la crisi petrolifera incipiente – le riserve di “oro nero” cominciano a scarseggiare e il prezzo del greggio sta impennandosi paurosamente – occorrerebbe mutare la politica energetica prevalente oggi nei paesi industrializzati e puntare decisamente sulle “fonti rinnovabili”, producendo, quindi, energia pulita attraverso le centrali idroelettriche, eoliche e fotovoltaiche, le sorgenti geotermiche, i pannelli solari e le centrali termiche che impiegano le cosiddette “biomasse” (materiale organico di vario genere, come legname, carta, residui agricoli, scarti dell’industria agroalimentare, reflui degli allevamenti, ecc.). Per ridurre l’inquinamento urbano, inoltre, sarebbe molto utile diffondere l’uso degli autoveicoli ecologici (elettrici o a idrogeno), il cui impiego è ancora fortemente contenuto, oltre che per gli alti costi di produzione, soprattutto per l’ostruzionismo esercitato dalle multinazionali petrolifere. Più semplicemente, si dovrebbero sprecare meno risorse naturali (per esempio, riducendo gli allevamenti intensivi che comportano la distruzione delle foreste e generano il 18 per cento dei “gas serra” emessi complessivamente), vivendo in modo più sobrio e frugale. In tal senso, ci pare condivisibile quanto sostenuto recentemente da Maurizio Pallante, esperto di tecnologie ambientali, nel libro La decrescita felice (Editori Riuniti), allorché ha così definito il comportamento virtuoso del consumatore: “Comprare il meno possibile e far durare il più a lungo possibile quello che compri”. Senza badare troppo, quindi, alla crescita del Pil, né assecondare la frenesia produttivistica di chi concorre quotidianamente a distruggere l’ecosistema della Terra, riempiendola di immondizia.
L’immagine: veduta dall’alto del porto di Gioia Tauro.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno III, n. 29, maggio 2008)